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L'Ambrosiano

Ius soli: un segnale forte per politici e amministratori senza bussola

Son triplicati gli sbarchi; Lampedusa scoppia; il Mediterraneo è un cimitero; gli accordi con la Libia, utili al petrolio, sono un affare per: Guardia costiera e trafficanti; Salvini, che agli Interni non realizzò ciò che rinfaccia al governo di non fare (i rimpatri) ha pane per i suoi ossessivi social; Meloni nuova leader della destra europea in ascesa che attacca ma non sa (grave) o finge di non sapere (pericolosa) che il blocco navale da lei invocato significa schierare le cannoniere.

Ci manca solo d’esser presi nei conflitti di un’area dove: il nuovo sultano Erdogan giù usa kalashnikov coi nostri pescherecci; la sfinge al-Sisi aspetta qualche incidente per sviare su Regeni e Patrick Zaki; la Terra Santa ora in fiamme: lì sì ci sarebbe da dire e fare, ma sensi di colpa e ipocrisie paralizzano l’Europa. Di fronte ai fallimenti in Nord Africa e Medio Oriente ci son due vie: lasciarsi inghiottire, o mutare prospettiva, lavorare d’immaginazione, imporre un’altra agenda. Zoomiamo su Milano; 20 per cento di stranieri (quasi 300 mila persone), la gran parte regolari; piazza Selinunte, rapper, giovani tra musica e voglia di far sapere che esistono sfidando la polizia: non è banlieue ma neppure solo ordine pubblico.

Cambiamo scena: Roma; Letta lancia due cose “di sinistra”: ius soli e voto a 16 anni. La seconda va con la legge elettorale. Quanto allo ius soli, il suolo è natura, legami, non ideologia, bottega: la politica rispetti il manifestarsi della vita! I comuni istituiscano registri in cui iscrivere come “cittadini” giovani stranieri nati qui; una legge ingiusta non li considera italiani, ma l’Italia li ha generati. L’iniziativa non avrà effetti giuridici, per ora, ma impatto simbolico forte sì: apre prospettive. Le autonomie riprendono a contare; civismo e polis  sono alternativi a un confronto tra partiti ormai simile a un disco rotto; la societas si fa attenta all’altro (chiunque e da dovunque sia), torna a resistere, cercare, reagire, lottare, sperare.

Milano, se ci sei, batti un colpo: alto, forte; sii d’esempio. Se non ora, quando? I tavoli di lavoro faranno sentir bravi, ma a che serve se non rischi in umanità? Milano, esci dal torpore, ritrova la bussola. Il Covid non c’entra. L’apatia è vero virus: toglie respiro all’anima.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La nave di Penelope

Tsunami di voti

Qualche mese fa il Manzoni aveva fatto partire una staffetta di occupazioni che aveva coinvolto dodici scuole superiori di Milano in un paio di settimane. Chiedevano di poter tornare a scuola in sicurezza, dopo mesi di Dad. Pochi giorni fa, gli studenti del liceo classico di via Orazio hanno occupato il cortile. Questa volta la protesta è contro lo tsunami di interrogazioni e compiti in classe che si è abbattuto su di loro dopo il ritorno in classe.

L’appello del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ai professori è di tenere conto dell’anno difficile (pur sostenendo che quello di essere valutati è un diritto degli studenti). Che poi è la stessa richiesta avanzata da diversi presidi al corpo docente.

Ma nonostante questo, non è la prima volta dal rientro che sentiamo gli studenti parlarne. Dai social, dove si sentono messaggi vocali di studentesse in lacrime per lo stress, al sondaggio di skuola.net che, su un campione di 1.500 studenti, decretava che uno su tre temeva il ritorno a scuola per un possibile bombardamento di interrogazioni e compiti in classe, fino alle dichiarazioni degli studenti di varie scuole, intervistati sui quotidiani, che parlano di settimane piene verifiche e interrogazioni, anche diverse al giorno. Alcuni si lamentano dell’occasione persa: si torna a scuola ma invece di approfondire gli argomenti e dialogare tra loro e con i docenti, finalmente in presenza, si preferisce smaltire le valutazioni.

Ora, mi chiedo, è proprio necessario?

Abbiamo visto come i lunghi mesi di isolamento abbiano messo a dura prova i ragazzi e causato un aumento dei disturbi psichiatrici tra gli adolescenti. Alcuni poi si sono arresi e hanno smesso di seguire le lezioni.

Non si può utilizzare quest’ultimo mese per ricucire i rapporti con loro e insegnare loro l’importanza della scuola? Le occupazioni e le proteste, portate avanti per mesi, sono un segno d’amore e consapevolezza verso tutto quello che hanno perso in questi mesi: la scuola stessa. Si vuole tradire la loro battaglia limitandosi a usare questo periodo per riempire il registro?

Non fraintendetemi. Capisco l’esigenza dei docenti di avere delle valutazioni per poter discutere con i colleghi a fine anno del lavoro svolto dai ragazzi, del loro impegno e di eventuali punti di forza o debolezza su cui lavorare. Ma forse, viste le condizioni straordinarie, servirebbe una riflessione sui metodi. Del resto, anche in tempi ordinari, c’è qualcosa che stride nel meccanismo.

Ho parlato di tsunami. Una grande onda che porta con sé, come detriti, numeri da scrivere su un registro e da portare in consiglio di classe entro la fine dell’anno.

È con questa immagine che ricordo alcuni mesi del mio percorso scolastico. Quelli più intensi, che ogni anno arrivavano inesorabilmente prima della pagella. E probabilmente ve li ricordate anche voi, qualsiasi età abbiate. Anzi, rispetto ai ragazzi di oggi, noi avevamo anche una scuola organizzata sui programmi (ora aboliti) che i docenti dovevano finire. E quindi ci si trovava con centinaia di pagine assegnate tutte insieme perché si era troppo indietro su qualcosa.

E così, quando arrivava il momento in cui si dovevano affrontare sei verifiche e quattro interrogazioni alla settimana, c’erano moli improponibili da preparare da zero e non semplicemente da ripassare. Poi ricordo che in quinta avevamo fatto una marea di simulazioni di terza prova. Una bella fortuna, direte. Ma, in realtà, erano utilizzate per smaltire le valutazioni di cinque materie per volta, senza che noi potessimo dire “Eh prof, ma abbiamo già un altro compito in classe, non si può spostare?”.

Ma davvero pensate che questo serva a imparare qualcosa? Ricordo solo tanti libri aperti sulla scrivania e una lettura superficiale di tutto quanto per arrivare alla sufficienza. Del resto, il tempo per digerire i concetti e rifletterci su, a fine anno, non c’era. Non con tutte quelle caselline del registro da riempire. Bisognava accontentarsi.

È una cosa che mi ha sempre indispettita. Non ho mai trovato alcuna utilità a imparare migliaia di nozioni a memoria e non ne sono mai stata capace. Tempo di finire un compito in classe ed era tutto cancellato dalla mia mente. Ho sempre pensato che per mettere a frutto quello che si studia si deve avere tempo e modo di ragionarci su. Come si può fare se in una settimana si studiano i programmi di otto materie per essere valutati? Si fa tutto in maniera superficiale. E così anche uno studente brillante finisce per appiattire il suo rendimento, portandosi a casa voti inferiori a quelli che vorrebbe, insieme al senso di frustrazione e alla sensazione di aver perso tempo senza aver imparato nulla.

E allora, almeno nell’anno della Dad, in uno dei paesi europei con il più alto tasso di dispersione scolastica, sarebbe bello ragionarci su e trovare una soluzione per dedicare questi giorni a far amare la scuola ai ragazzi e a far sentire loro che non sono soli e non lo sono mai stati. Ovviamente molti docenti lo hanno già fatto o lo stanno facendo, lungi da me generalizzare.

Chiudo con le parole del pedagogista Raffaele Mantegazza sulle pagine de Il Giorno: “I ragazzi hanno bisogno di recuperare il gusto di ritrovare la scuola, hanno dimostrato di volersene riappropriare nei mesi scorsi, e adesso rischiamo di perdere questa occasione”.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Politica leggera

Draghi, fatti pagare per fare il Premier

Mario Draghi non percepisce alcuno stipendio da presidente del Consiglio.

Siamo sicuri che sia una buona cosa?

I problemi finanziari del paese non si risolvono certo facendo risparmiare all’erario la cifra spettante all’inquilino di Palazzo Chigi.

Ma non è questo il punto.

La questione del compenso di Draghi rievoca uno degli argomenti cardine dell’antipolitica: quello secondo cui chi rappresenta la collettività dovrebbe lavorare gratis, o comunque essere pagato poco, in nome dello slogan “la politica è servizio e non privilegio”.

E invece i politici devono essere pagati e devono essere pagati bene. Altrimenti diventa una questione di censo che solo i ricchi si possono permettere. Era così in un passato in cui non esisteva nemmeno il suffragio universale e i politici rappresentavano solo le classi sociali dominanti.

Pagare i politici significa garantire a chiunque l’accesso alle cariche elettive e ai posti di governo, non solo a chi se lo può permettere. Garantire loro uno stipendio adeguato significa favorire l’indipendenza di azione e di giudizio (poi discutiamo pure di cosa significhi “stipendio adeguato” ma senza buttare a mare il principio).

Draghi non ha certo il problema dell’indipendenza economica e di giudizio. Il suo esempio però, data la carica che ricopre, è importante. Spero ci ripensi e si faccia pagare il giusto

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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Sante parole

Una lingua madre adottiva per le figlie dell’URSS in frantumi

Da sempre esistono autori che scelgono di scrivere in una lingua diversa dalla loro lingua madre, basti pensare a due giganti della letteratura come Joseph Conrad e Vladimir Nabokov. Per lo più si tratta di scelte legate al contesto storico-politico in cui gli autori vivono (anche se evidentemente tutto ciò che riguarda il principale strumento di lavoro di uno scrittore ha sempre delle implicazioni molto personali, addirittura intime), tanto che storicamente il fenomeno è circoscritto alle lingue delle grandi potenze coloniali, inglese soprattutto, ma anche russo e francese e, in misura decisamente minore, portoghese e spagnolo.

Negli ultimi trent’anni, però, il crollo dell’Unione Sovietica ha determinato un fenomeno nuovo e molto interessante: la nascita di una letteratura in lingua tedesca di autori provenienti dalle repubbliche ex-sovietiche. Il caso più eclatante è il successo di Nino Haratischwili, che con il suo L’ottava vita (edito in Italia da Marsilio), una saga familiare che è un vero e proprio affresco del “secolo rosso”, ha scalato le classifiche di mezzo mondo. Haratischwili però non è che la punta dell’iceberg, un iceberg che da anni viene scandagliato da diversi editori, tra cui spicca per passione e competenza Keller, un editore indipendente con sede a Rovereto.

Si tratta per lo più di donne tra i trenta e i quarant’anni, nei cui testi l’esperienza dell’emigrazione ha un’importanza determinante, ma di solito inquadrata come capitolo del proprio “romanzo di formazione”, senza particolari rimpianti per la Heimat perduta (visto che parliamo di autrici che scrivono in tedesco, preferisco utilizzare questo termine, piuttosto che un termine politicamente connotato come l’italiano patria o, peggio ancora, il tedesco Vaterland) e di solito anche senza particolare trasporto per il Paese che le ha accolte, tanto che un altro tratto che accomuna queste autrici è la loro grandissima apertura al mondo: un esempio è l’azera Olga Grjasnowa (classe 1984, edita da Keller), che nel suo Tutti i russi amano le betulle parla della guerra tra armeni e azeri che insanguina il suo Paese fin dagli anni Novanta, ma anche di un amore senza lieto fine a Berlino e del tentativo di rifarsi una vita in Israele, mentre nel più recente Dio non è timido racconta la guerra civile in Siria e della fuga verso l’Europa attraverso una Turchia tutt’altro che amichevole.

Un altro esempio è l’incredibile Fuori di sé, dell’ebrea russa Sasha Marianna Salzmann (1985, edita in Italia da Marsilio), romanzo di formazione (ma sarebbe più corretto dire: di costruzione dell’identità) di due gemelli e della loro famiglia, una storia che si dipana tra l’Ucraina durante la Seconda Guerra Mondiale, la Russia sovietica, la Germania degli anni Novanta e la comunità transgender di Istanbul ai tempi della rivolta di Gezi Park. Salzmann peraltro è soprattutto una drammaturga, e il suo testo teatrale più noto, edito in Italia da Cuepress guardacaso si chiama proprio Lingua madre.

E potrei continuare per un bel po’, il menù è variegato e molto, molto invitante: buon appetito!

  • Fabio Cremonesi

    Studi di storia dell'arte medievale, un passato da operaio presso uno spedizioniere, dirigente in una multinazionale delle telecomunicazioni, editore e promotore editoriale, oggi mi dedico alla traduzione a tempo pieno. Le mie lingue di lavoro sono tedesco, inglese e spagnolo (occasionalmente anche portoghese e catalano). Con Le nostre anime di notte di Kent Haruf ho vinto il premio Corriere della Sera-La Lettura per la miglior traduzione del 2017.

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Mia cara Olympe

Vittima o survivor? A dieci anni dalla Convenzione di Istanbul

‘Che ne pensate dell’uso del termine survivor al posto di vittima?’ chiede una studentessa durante il corso  multidisciplinare che si sta svolgendo all’università di Pavia in questi giorni, decimo anniversario di quella Convenzione di Istanbul da cui proprio la Turchia si è sfilata, ma che resta pietra miliare del percorso faticoso per far emergere, nei codici come nella pubblica discussione,  la violenza di genere per quel che è,  ovvero una violazione dei diritti umani.

Dunque: survivor o vittima? Aggiunge la studentessa: ‘In inglese il termine ha un significato più dinamico del suo equivalente in italiano, indica un percorso…”.  Ha ragione e in ambito anglosassone, nei femminismi, la questione dell’alternativa all’uso della parola vittima si è posto da tempo. Ma ciò che colpisce – anche a proposito di un altro dibattito,  è vero o no che il femminismo è diventato ‘ vittimista?-  è dove, nella conversazione, cade l’accento. La domanda della studentessa contiene infatti un implicito e prezioso no ad una scomoda sedia, quella che immobilizza e congela le donne in un ruolo – la vittima di violenza appunto – senza valorizzare la capacità di uscirne che tante per fortuna hanno trovato in se stesse, spesso con il sostegno  dei centri antiviolenza.

C’è della forza femminile, ci sono autonomia e volontà delle donne sui cui fare leva e  molte  voci  e vite ne sottolineano l’importanza, facendo da contrappunto ai terribili passi indietro che tocca registrare a dieci anni da Istanbul e soprattutto nei paesi che di quella convenzione hanno più bisogno. Come la ragazza straordinaria, oggi brillante studentessa di matematica, ieri  giovanissima in balia di un coetaneo manipolatore che le aveva sequestrato la vita e, alla fine, l’ha ridotta sanguinante per strada dopo averle fatto fare a calci le scale di casa.
Ho intercettato il suo racconto, occhi alla telecamera e nessun cedimento, durante la trasmissione che si intitola appunto ‘Sopravvissute’ , su Rai3  qualche sera fa. Se la strage delle donne non si ferma –  di pochi giorni fa la storia terribile di Tortolì che è costata la vita a Mirko, una ragazzo di 19 anni che ha difeso la madre, ora gravissima in ospedale, dall’aggressione del suo ex compagno –  quel racconto mi è sembrato un gesto da ammirare e, al contempo, un salto di qualità anche della tv nostrana che,  in tema di violenza, ha assai abusato (e tuttora accade) di toni morbosi ed enfatici, costringendo le donne nell’unico paradigma di vittima a scopo di audience.
C’è un’altra strada, insomma, e il coro potente delle survivor ce la indica.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Psicoradio, avviata nel 2006 dalla collaborazione tra il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna e Arte e Salute Onlus, è una testata radiofonica dedicata alla salute mentale. Include un corso triennale per utenti psichiatrici, guidato dalla prof. Cristina Lasagni, e una programmazione che esplora temi psicologici attraverso vari registri: poetico, informativo, ironico e autobiografico. Psicoradio ha realizzato oltre 220 trasmissioni nazionali, campagne di sensibilizzazione e convegni su temi di salute mentale.

    Psicoradio - 18-04-2025

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    Musiche dal mondo di venerdì 18/04/2025

    Musiche dal mondo è una trasmissione di Radio Popolare dedicata alla world music, nata ben prima che l'espressione diventasse internazionale. Radio Popolare, partecipa alla World Music Charts Europe (WMCE) fin dal suo inizio. La trasmissione propone musica che difficilmente le radio mainstream fanno ascoltare e di cui i media correntemente non si occupano. Un'ampia varietà musicale, dalle fanfare macedoni al canto siberiano, promuovendo la biodiversità musicale.

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    Sui Generis di venerdì 18/04/2025

    Una trasmissione che parla di donne e altre stranezze. Attualità, cultura, approfondimenti su femminismi e questioni di genere. A cura di Elena Mordiglia.

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    L'Orizzonte delle Venti di venerdì 18/04/2025

    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

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    Dopo 18 ore di fermo, Ayoub è libero. A Milano il presidio solidale

    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

    Clip - 18-04-2025

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    Esteri di venerdì 18/04/2025

    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

    Esteri - 18-04-2025

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    Referendums

    quando invitiamo ad andare a esprimere il proprio sacrosanto voto alle consultazioni referendarie di giugno, poi la tiriamo per le lunghe con il ricco Antonio e infine ci occupiamo di odonomastica con la sezione reggiana delle Resistenze in Cirenaica

    Poveri ma belli - 18-04-2025

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    Marta del Grandi tra musica e teatro

    Marta del Grandi è tornata qualche giorno fa negli studi di Jack per una bella intervista a cura di Luca Santoro al cui centro c'è stato "Pet Therapy", il nuovo disco dei Mos Ensemble di cui è una delle voci, ma anche il progetto teatrale Fossick Project e i suoi nuovi progetti personali

    Clip - 18-04-2025

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    Vieni con me di venerdì 18/04/2025

    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    Playground di venerdì 18/04/2025

    Venerdì 18 aprile, oggi tre festeggiamenti, Elliott Smith, David Bowie e Fugazi! E parliamo di Star Wars con Alice Cucchetti.

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