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La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 1

Da Rula Jebreal a tanto altro…

Alla fine dei conti, purtroppo resto con quell’idea lì: non se ne esce. Ma spiego com’è cominciata.

A gennaio, ancora in presenza, avevo lanciato un progettino in classe con i miei pischellini: ragionare con loro sul problema del genere. Capire dove cominciamo a usare male le parole, e magari anche perché. E qui comincia la mia “Tetralogia del Sessismo linguistico alle Scuole Medie”: all’inizio, anni fa, solo un mio vecchio “cavillo di battaglia”, ma poi… poi è arrivato il dibattito sull’App Immuni con l’uomo professionista e la donna casalinga. Poi Beatrice Venezi che si fa chiamare “direttore d’orchestra” a Sanremo. Poi il catcalling. Poi Pio&Amedeo, il bacio a Biancaneve non consenziente e Rula Jebreal che non va a Propaganda Live perché è l’unica donna ospite (peccato: quanto sarebbe stato più efficace il suo messaggio se invece ci fosse andata e avesse affermato: “Vedete? Io, qui, sul palco della trasmissione oggettivamente più sensibile a queste tematiche legate al sessismo, alla discriminazione delle persone LGBTQ+ di tutto il palinsesto televisivo italiano, ecco, comunque, sono l’unica ospite donna! Quanta strada c’è ancora da fare?”). Insomma, ho capito che a gennaio avevo avuto una buona idea: portare in una scuola media l’antico dibattito sui generi e sulle professioni. Avvocato Maria Rossi? Avvocata Maria Rossi? O avvocatessa (sempre Maria Rossi, si capisce)? E la Ministro o la Ministra Cartabia? E il Sindaco/Sindaca Raggi? E via via tutto il resto… anche se poi in realtà è da tempo che si dibatte di “soffitti di cristallo”, di linguaggio inclusivo, in opposizione all’uso sessista, androcentrico, patriarcale (magari inconsapevole), di una lingua che non riflette abbastanza i mutamenti della società in cui sempre più donne raggiungono professioni di prestigio.

Ecco, ma come nota – fra i tanti – il Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, quello del dare un genere alle professioni è uno dei due temi (l’altro è la presunta “invasione degli anglismi”) capaci di uscire dalla ristretta cerchia degli specialisti di linguistica per diventare politicizzato, polarizzato e spesso ignorantemente pop; quando non proprio “ho due dita, ho una tastiera, dico la mia ad mentula canis”, meglio se ne so poco, meglio ancora se l’opinione non è richiesta. Insomma un pessimo contributo all’avanzamento della conoscenza, ma nondimeno termometro sensibile per misurare la temperatura della faccenda.

Ma se ai più può sembrare un tema semplice, per chi lo vuole studiare sul serio semplice non è per nulla. Anche solo a cercare soluzioni all’annoso problema del genere. Si va dal “maschile non marcato” (“L’Uomo ha distrutto la natura”), al “maschile inclusivo sovraesteso” (“Gli studenti entrino uno alla volta”); dalla concordanza al maschile plurale di nomi o aggettivi riferiti a gruppi composti da donne e uomini (“Bisogna difendere i diritti dei lavoratori”), alla declinazione al femminile di professioni riferite a donne (da quelle ormai assimilate, la panettiera, la maestra, a quelle che ci suonano strane, l’avvocata, la ministra). E ancora, dall’asterisco indeterminativo (ministr*, avvocat*), allo ə (lo schwa, quel segno /ə/, appunto, che ogni tanto si trova in qualche pagina scritta e che si pronuncia a metà tra a e e, e che potete trovare nell’IPA, l’International Phonetic Alphabet, non la birra).

Per chi voglia capirci qualcosa, è imprescindibile secondo me affidarsi alla “triade” Sabatini-Robustelli-Gheno, tre studios*, tre espertə, tre donne il cui lavoro può essere preso come modello di lettura diacronica dell’appassionante “questione della lingua sessista” in Italia. E più in dettaglio: le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, poi confluite nel celebre “Il Sessismo nella lingua italiana” (1987) di Alma Sabatini; le “Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo” nato contestualmente al “Progetto genere e Linguaggio” (2012) di Cecilia Robustelli, quasi un up-grade, questo, del lavoro della Sabatini; e “Femminili singolari” (2019) di Vera Gheno. Tutte cose da assaggiare un po’ prima di lanciare le dita e sminchionare sulla tastiera (o smonologare a vanvera su una televisione in prima serata).

E mica finisce qui: si farebbe torto a non citare tantissime raccomandazioni emanate in questi anni nell’amministrazione pubblica per un uso non sessista della lingua, ma faremmo notte. Sicchè io, pacchianissimo e ignorante docente di “Lettere e Cartoline”, qual sono, mi sono semplicemente chiesto:

“Di tutta ‘sta roba qua, cosa potrei raccontare nell’ora di Grammatica di una Prima di Scuola Secondaria di I° grado (diciamo: la prima media), con ragazzi undicenni, in una scuola a utenza media/medio alta della semiperiferia milanese?”

Ecco, io non mi sono limitato a chiedermelo… purtroppo sono andato avanti.  E che è successo? Be’, intanto, da venerdì 21 maggio sono al Teatro della Cooperativa con il mio “LA SCUOLA NON SERVE A NULLA 2.0: dalla Buona Scuola alla Dad”. Il seguito della storia invece ve lo racconto la settimana prossima…

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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In alto a sinistra

Caro Luigi, non siamo ancora “senza confini”

Diciotto anni fa, era il 17 maggio del 2003, moriva Luigi Pintor. Per me, (più o meno) giovane lettore de Il Manifesto, aspirante giornalista (all’epoca scrivevo su un giornale locale), appassionato di politica, (più o meno) comunista, Pintor (sebbene non lo abbia mai conosciuto personalmente) è stato un punto di riferimento importante, tanto che, l’anno successivo, è stato l’oggetto della mia tesi di laurea.

In questi giorni mi è capitato spesso di pensare a cosa avrebbe scritto di quanto sta accadendo in Palestina. Tra informazioni monche, parziali (più o meno in malafede), lunghissime analisi piene di paroloni incomprensibili, mi sono accorto di quanto manchi nel giornalismo (e nella politica) italiano, una capacità di analisi così profonda e allo stesso tempo una penna così fulminante come la sua. Vorrei le sue classiche venti righe (“ogni questione si può riassumere in venti righe, e una su tre è di troppo”, amava dire) che mi illuminino.

Mi sono riletto il suo ultimo articolo, pubblicato sul manifesto il 24 aprile del 2003. “Senza confini” è il titolo. Il suo testamento politico, è stato definito da qualcuno. Che lo sia o no, il rileggerlo diciotto anni dopo mi ha fatto pensare quanto sia ancora attualissimo. Inizia così: “La sinistra italiana che conosciamo è morta”. Qualcuno provi a dargli torto. E ancora: “Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno”. E all’epoca non esisteva ancora il Pd, e i democratici nostrani nella loro sigla tenevano ancora una S che almeno formalmente (sostanzialmente forse già non più) li identificava a sinistra.

Insomma, per Pintor non ci voleva “una svolta ma un rivolgimento. Molto profondo”. Perché c’era (e c’è ancora) “un’umanità divisa in due, al di sopra o al di sotto delle istituzioni, divisa in due parti inconciliabili nel modo di sentire e di essere ma non ancora di agire. Niente di manicheo ma bisogna segnare un altro confine e stabilire una estraneità riguardo all’altra parte”. “Destra e sinistra sono formule superficiali e svanite che non segnano questo confine”, diceva ancora. Ma sia chiaro che non era un antesignano grillismo a fargli dire queste parole, ma la lucida consapevolezza di un comunista, eretico, italiano. Che avrebbe voluto, per contrastare quella parte di (dis)umanità che ci guida, “un’internazionale” (sebbene ritenesse questo termine da abolire.

Con quali caratteristiche? Dovrebbe essere “non un’organizzazione formale ma una miriade di donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la razza, la fede, la formazione politica, religiosa. Individui ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d’istinto ed entrano in consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un’area senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un’era che ce ne sta privando in forme mai viste”.

Ecco, diciotto anni dopo, forse vale la pena provarci davvero a “operare ogni giorno e invadere il campo”. Proprio per “reinventare la vita in un’era (questa che stiamo vivendo ancor di più di quello che descriveva Pintor) che ce ne sta privando in forme mai viste”.

Ma, caro Luigi, diciotto anni dopo non siamo ancora stati capaci nemmeno di scalfirli quei confini.

Foto | Luigi Pintor, Rossana Rossanda e Valentino Parlato con la redazione, in una vecchia foto d’archivio

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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Mia cara Olympe

Rula Jebreal e Propaganda live, già visto, già detto

Riassunto in sei punti, per distratte e distratti, del (piccolo) caso Rula Jebreal e Propaganda live, avendo la prima rifiutato l’invito in trasmissione per carenza di donne – una su sette nella fattispecie – , avendo i secondi risposto che evidentemente non conosce Propaganda che si distingue invece per diversity e fa gli inviti in base alla competenza.
1) Che la toppa sia stata quasi peggio del buco: già detto.
2) Che non è questione di ‘quote rosa’, ma di monopolio maschile: già visto, già detto. Utile ridirlo visto che anche molte donne continuano a dichiarare la propria avversione, non vedendo che se la gara è truccata dall’inizio hai voglia a correre. La legge Golfo-Mosca ha portato in pochi anni la presenza femminile nei consigli d’amministrazione delle società quotate e partecipate da una miseria a poco meno del 40 per cento ed è citata a esempio in tutta Europa. Per cortesia? No, perché ha migliorato i consigli d’amministrazione, alzando il livello delle competenze. Non lo diciamo noi, lo dice, tra i tanti, uno studio apposito della Banca d’Italia (anche questo già detto, letto e scritto varie volte).
3) Che la questione della competenza è una trappola, laddove si scomoda solo per le donne: già visto, già detto. Vedi sopra.
4) Che il maschilismo, in diverse sue modalità, abiti anche a sinistra: già noto anche se più faticoso da riconoscere. Nessuna sorpresa: fulminante la vignetta di  Annarkikka ‘Noi di sinistra non siamo sessisti. Siamo amici’. Che dalle parti di Propaganda, che peraltro fa buone cose, spiri aria da combriccola degli amichetti (rigorosamente maschi) che si passano la palla tante lo avevano già notato e detto.
5) Che così però lei ha perso un’occasione di parlare di una vicenda quanto mai importante, ovvero il conflitto israelo-palestinese, già letto. Se qui lo si ripete è per notare l’inversione di senso: non è lei ad averla persa, ma noi che avremmo potuto, in altre condizioni, ascoltarla. Questo argomento poi, e non per caso, viene scomodato in un senso ‘gerarchico’. Sottotesto: davanti a tutto quello che lì sta accadendo, ti preoccupi di queste minuzie?
6) Che Rula non è la prima e non sarà l’ultima, beh è quasi inutile scommetterci.

Dunque questo breve riassunto poteva non darsi e chi scrive (e non solo lei), ogni volta, viene afflitta dalla ripetizione del già visto e del già detto. Allora qui si farà del giornalismo di servizio segnalando, a proposito di competenze, due cose: la prima è che in Inghilterra la BBC si è data un obbligo per gli inviti nelle sue trasmissioni,  quello del 50 e 50, (devo questa informazione a ‘Per soli uomini. Il maschilismo di dati dalla ricerca scientifica al design’, interessante e consigliabile saggio di Emanuela Griglié e Guido Romeo che si occupa anche dei media, non facendo fare all’Italia una gran figura e sostenendo che dobbiamo preoccuparci del maschilismo anche nei settori più avanzati, come il mondo dell’intelligenza artificiale).
La seconda è, che per merito di giornaliste intelligenti, tra le quali Giovanna Pezzuoli da poco scomparsa, esiste una banca dati online 100 esperte  in cui, perdonate l’ironia, chi è a caccia spasmodica di competenze da invitare in trasmissione ne trova quante ne vuole: sono scienziate, matematiche, economiste, esperte di politica, ora anche filosofe e storiche. E pensate, scelte anche con una selezione certificata: perché si sa, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio…

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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I giorni dell'Ira

Un nuovo giorno dell’Ira: Oops… c’è stato un problema!

Il mondo post-pandemico mi sembra brutto e incattivito anche più di quello di prima: guardo (come tutti) le immagini da Gaza e mi domando chi o cosa potrà mai riallacciare i fili spezzati.

Forse se lo sono chiesti anche gli Ontroerend Goed, collettivo fiammingo di autentici pirati della scena. Al bel festival FOG, in Triennale a Milano, portano il titolo palindromo Are we not drawn onward to new erA. Nei loro spettacoli hanno fatto insorgere gli adolescenti, ricevuto singoli spettatori in disturbanti alcove, immaginato il mondo dopo la scomparsa dell’umanità. Stavolta, ci trasportano in un Eden andato a male, in cui gli attori fanno cose strane, parlando un lingua sconosciuta: distruggono un alberello, spargono sacchetti di plastica, erigono statue dorate. A metà performance, con un gioco tecnologico semplice ma complicatissimo, rivediamo tutto in rewind e scopriamo che la lingua era semplicemente inglese al contrario e che tutte le azioni erano un tentativo di rimediare simbolicamente allo schifo che abbiamo combinato sul pianeta. E poi? Poi, niente. Appena finito, ricominceremmo come prima. We must remove ourselves. Dobbiamo levarci di torno. Ecco.

Decido di sfogare la mia frustrazione globale prendendomela con Marvin. Marvin è uno dei miei assistenti virtuali. Il suo compito è farmi incazzare circa una volta al mese, quando cerco di venire a capo dell’ennesimo sganghero creato da uno dei miei vari spacciatori di servizi digitali. Non c’è nulla di altrettanto sgradevole che ricevere il festoso incitamento “Parla con noi!” quando sono già in ritardo e sto aspettando con urgenza un messaggio dal Presidente degli Stati Uniti, da qualcuno che mi deve dei soldi o dal mio pranoterapeuta, scegliete voi. Parlare con Marvin è come parlare con un ciellino convinto. Finge di ascoltare, finge di rispondere. Sa di possedere la verità assoluta. Ti commisera dal profondo. Marvin mi ascolta impassibile e sorridente mentre lo supplico virtualmente di aggiustarmi tutto quello che ho di rotto. Sfoggia una faccia tosta pari a quella di vecchi clichè del secolo scorso: l’idraulico introvabile che ti lascia ad aspettare sullo scoglio di Nasso come Arianna o l’elettricista inflessibile che ti umilia quando lo chiami per un guasto residuale ed economicamente poco appetitoso. Ma con Marvin è anche peggio, non puoi nemmeno sbatterlo fuori di casa quando perdi la compostezza.

Meglio mollare il colpo e passare ad altro. Ho bisogno di conferme (digitali). Decido di procedere al riassetto del mio profilo bancario. Dovrebbe essere una sciocchezza, ormai è un sacco di tempo che faccio tutto da remoto con il riconoscimento facciale. Una scusa anche per illudermi di non invecchiare: se il sistema mi riconosce, vuol dire che sono ancora la stessa. Volteggio leggera e disinvolta fra le spunte verdi e gialle, i clic, gli ok, gli “accetta”, le firme con svolazzo digitale, fino a quando… Oops…c’è stato un problema! Riprova. Dopo un paio di tentativi disperati, decido di chiamare il numero verde. Mi rispondono subito dopo un paio di selezioni e sono invasa dalla gioia. Una vellutata voce maschile ascolta il mio problema, mi rassicura, mi riassume i passaggi e mi dice che al momento giusto… lui sa diventare un altro… no, no…mi dice che per trionfare sul sistema devo inserire quel mio codice che sappiamo. Evvai. Vaffanculo, Marvin. W il vellutato bancario. Mi rimetto in cammino, dopo un nuovo riconoscimento facciale (fiuuuu!). Rifaccio tutte le acrobazie, apro e chiudo finestre come una agente immobiliare ansiosa di mostrare un monolocale in affitto, arrivo al momento del dunque, INSERISCO il codice magico e… Oops…c’è stato un problema! Riprova

Che declimax. Decido seduta stante di abbandonare ogni servizio bancario e di tornare al baratto. Così magari salvo anche il pianeta.

 

  • Ira Rubini

    Nata in Belgio, vive a Milano. Studia insieme legge e teatro. A 20 anni inizia a scrivere per la TV e firma oltre 40 trasmissioni, come la diretta della notte degli Oscar in cui vinse Benigni. Come antidoto, scrive teatro (anche con Franca Valeri) e gira il mondo per fare documentari. Insegna teatrologia alla Paolo Grassi e coordina il corso di Sceneggiatura alla Luchino Visconti. La radio è il primo amore: esordisce a Radio Popolare a 14 anni, poi ci torna a condurre il quotidiano culturale. Lavora a RadioRAI e alla Radio Svizzera Italiana. A volte, le piace tornare in scena con l'ensemble Ottavo Richter.

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Breaking Dad

Una roba tipo vecchia

Sabato mattina. Siamo in macchina, sulla strada che da Milano va verso Cusago. Dobbiamo fare una puntatina in un vivaio da quelle parti perché il nostro gelsomino ha dei puntini bianchi sulle foglie e ci serve qualcosa per curarlo. Una rotonda, due, la città si sfoltisce e via via lascia il posto ai campi fitti di frumento. C’è un po’ di sole, teniamo i finestrini abbassati a metà.

-Guarda, papà!

Su un muretto al margine della strada, all’uscita dell’ennesima rotonda, c’è una scritta: NO DDL ZAN.

Fabrizio non si capacita. Perché l’hanno scritto lì? Cosa c’entra? Francesco scuote la testa, con l’aria di uno che la sa lunga.

-L’ha fatta un omofobo?

-Non lo so… direi che è probabile.

Mi vengono in mente le foto della manifestazione di Milano, all’Arco della Pace. Fabri e Franci con la mamma e alcuni amici e amiche. Un arcobaleno disegnato sulle guance paffute e sulla fronte. Una li mostra con il cartello in mano: “VOTATE LA LEGGE ZAN. #TEMPO SCADUTO”. Fabri lo tiene sopra la testa. Dalle mascherine sbucano i loro occhi, seri. Erano molto soddisfatti, quella sera. Me lo hanno raccontato: “abbiamo ballato, c’era tanta gente”. Che gente era? “Non so, normali”.

Francesco, dall’alto dei suoi quasi quattordici anni, si è lanciato: “Secondo me quelli che non vogliono questa legge non hanno capito…”

-Cosa non hanno capito?

-Non hanno capito che noi, cioè quelli della mia età, non ci facciamo neanche più caso se uno è innamorato di un uomo o di una donna o se vuole essere una donna anche se magari è nato uomo. Cioè, per noi è naturale, non ce ne importa proprio… Cioè, è una roba tipo vecchia, tipo San Remo…

Stavo per rispondere, argomentando, che ci sono dei distinguo, delle sfaccettature più complicate, delle distinzioni. Ma mi sono morso la lingua. Non era il momento. Ci sarà il tempo per analizzare, per mettere in dubbio sempre e tutto, per approfondire e uscirne con un’idea ancora più consolidata, oppure cambiarla. Ma non era questo.

Questo era il momento di andare al nocciolo. E il nocciolo di quella giornata, ho pensato, era proprio quello lì. E mi sono sentito molto fiero che i miei due maschiacci, che pensano solo al pallone e al rap, lo avessero “sentito”. In uno stadio che precede la comprensione piena e che ne diventa, però, il fondamento. Per noi, che abbiamo quattordici e dieci anni, la questione non si pone proprio.

Recuperato l’intruglio per il povero gelsomino, ne approfittiamo, prima di rientrare, per dare un’occhiata al Bosco di Cusago. Facciamo quattro passi lungo un canale dalle cui sponde gracidano delle rane. Una papera con i paperetti fila via liscia sull’acqua come su un tapis roulant. Non che ai ragazzi interessi granché: hanno fame. In effetti è mezzogiorno passato.

Torniamo. Ripassiamo dal muretto omofobo. La scritta, adesso, è dall’altra parte della strada. Scaglio un’occhiata. In effetti si vede poco. Ci sono delle erbacce davanti. E, nonostante sia per forza recente, è mezza sbiadita. Tipo vecchia.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    Cult - 17-04-2025

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    Pubblica di giovedì 17/04/2025

    L'abbandono della sanità pubblica. Accade anche in Francia e lo denunciano 19 tra medici e familiari delle vittime di suicidi negli ospedali pubblici. In un esposto alla magistratura, presentato il 10 aprile scorso, medici e familiari accusano i ministri francesi del lavoro, dell'istruzione e dell’accesso alle cure, di "molestie morali" e "omicidio volontario". L'obiettivo dei ricorrenti è quello, dicono, è quello di “rompere l'omertà” di fronte a una “epidemia di suicidi negli ospedali pubblici”. Cifre ufficiali, comunque, non ne circolano. La denuncia è stata fatta da infermieri, direttori di ospedali, professori universitari e medici ospedalieri e vedove di operatori sanitari, che non si conoscono tra loro e si sono uniti per contestare i ministri. I tre membri del governo francese denunciati sono: Catherine Vautrin (ministra del lavoro e della solidarietà), Yannick Neuder (salute e accesso alle cure) ed Elisabeth Borne (educazione, istruzione e ricerca). Pubblica ha ospitato Jean Olivier Mallet, sociologo, ha insegnato storia e sociologia all’università di Tolosa. Mallet ha collaborato con il Centro studi dell'Istituto farmacologico Mario Negri di Milano. E la situazione in Italia, ci sono stati casi analoghi a quello francese? A Pubblica, Simona Ravizza, giornalista d’inchiesta al Corriere della Sera.

    Pubblica - 17-04-2025

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    Voci di partigiani e partigiane dal nostro archivio, affiancate da ospiti in diretta per commentare l’attualità e riflettere su Democrazia e Antifascismo. A cura della redazione news.

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    FERDINANDO FASCE - I BEATLES IN ITALIA. 1965 - presentato da Michele Migone

    Note dell’autore - 17-04-2025

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    Massimo Alberti analizza il viaggio di Meloni da Trump tra le richieste degli industriali italiani e quelle statunitensi di "isolare la Cina". Silvia Francescon, Esperta Senior Politica Estera in ECCO, centro studi che si occupa di politiche ambientali, racconta il peso della lobby e degli interessi fossili sull'incontro Meloni-Trump. Paola Caridi, giornalista e scrittrice, racconta le ultime tragiche testimonianze da Gaza dove ci si aspetta di morire. Turismo spaziale per ricchi e satelliti abbandonati al loro destino, lo spazio nelle mani dei privati è già una pattumiera, ci vorrebbe un accordo internazionale mentre le scoperte del telescopio Webb stanno facendo scricchiolare le nostre conoscenze sulla nascita del mondo grazie alle galassie primordiali e a forme di vita microbiche scoperte in pianeti lontani come ci racconta l'astrofisico Fabio Peri Conservatore del Civico Planetario U. Hoepli di Milano.

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