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L'Ambrosiano

«Sentinella, quanto resta della notte?»

Arcipelago, informazione, democrazia

Spero che l’annuncio della chiusura di ArcipelagoMilano sproni molti a aiutare Luca Beltrami Gadola nel rilancio dell’importante settimanale.

La città non può perdere le sue sentinelle: voci autorevoli, libere, civilmente impegnate.
Fare il giornalista, cercare notizie, corredarle di prove in modo onesto così che chi legge può farsi un’idea dei fatti e del punto di vista di chi scrive è essere una sentinella. La sentinella veglia, perché gli altri nella notte dormano sicuri. Ma pure di giorno vigila. É interlocutore di quelli che tengono al bene comune e s’informano per “esserci”, in modo responsabile. Tiene gli occhi aperti anche per: distratti; chi vede solo gli affari suoi; coloro che non volendo grane girano la testa. Inquieta chi pratica corruzioni, speculazioni, discriminazioni, evasione, nero, diritti umani violati, abusi su donne, bambini, anziani, migranti.
L’occhio vigile della sentinella è odiato dai dittatori: Lukashenko inaugura lo stato dirottatore per catturare Roman Protasevich (che farà l’Occidente?). Non garba a mafia (dalla scomparsa di De Mauro); terroristi di casa (Tobagi docet) o sparsi nel mondo; chi fa traffici (ricordare Ilaria Alpi) e intrighi (Daphne Caruana). Gli esempi di vittime son centinaia. A volte la sentinella si frustra perché «ha addentato il polpaccio di legno dei “pupi”, non quello del burattinaio» scrive Arcipelago. Ma autocritica (quando si ha coraggio di farla) ed errori aguzzano l’ingegno. La sentinella scruta l’oscurità, ci si cala e sa che alba e giorno verranno: è la speranza, già dell’antico profeta (Isaia 21,11).

É la dialettica democratica e in generale l’eterno scontro bene/male, tenebre/luce. Milano, Italia, Europa dispongono d’un metro che dice il tasso di democrazia e smaschera coloro che han sostituito una comunicazione invasiva e affabulatoria alle mazzette (denuncia Arcipelago): è affermare coltivare, difendere la cultura della sentinella. Sostenere chi informa bene rende il cittadino sentinella. È la condizione per una città a misura d’uomo e di donna, che rende cittadini del mondo i suoi abitanti, in grado di accogliere chiunque viene da dovunque e chiedergli «dove vuoi andare?», non porre l’intimidatorio «da dove vieni?».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Liberi tutti

Teheran, Italia

Immaginate che siate fra le categorie di persone alle quali il DDL Zan rafforza le tutele.

Le rafforza non in nome di un principio astratto, ma perché numeri alla mano, siete le più soggette a violenza verbale e fisica.

Lo avete immaginato? Bene. Ora con lo stesso sforzo pensate che della vostra incolumità non verrà dalla Politica il bisogno di ascoltarvi. Voi che siete i diretti interessati. Voi che vivete sulla vostra pelle, il disagio, la paura, il rischio.

No. La politica vuole chiedere alla CEI, ai Rabbini, ai Mormoni e alla comunità islamica se siete degni di una legge che punisca in modo più netto chi vi minaccia.

A scorrere l’elenco dei 170 che verranno ascoltati (e questo potrebbe far perdere almeno altri 5 mesi) dal Presidente della Commissione giustizia Ostellari (Lega) si rischia un disturbo cognitivo tale che non capisci più in che epoca e luogo ti ritrovi a vivere.

L’ Iran dell’Ayatollah Khomeini doveva tanto assomigliare a quelle stanze del Palazzo dove si sta facendo di tutto per boicottare una legge di civiltà.

C’è una lista infinita di realtà religiose (alcune mai sentite prima e che a malapena rappresentano la persona che andrà a parlare) le quali ci verranno a dire in base alla loro morale, perché, per dirne una, le persone trans non hanno diritto a maggiori tutele.

Una pletora infinita di figli di Dio pronti a raccontarci cosa è giusto fare delle nostre vite, fra tutte spiccano le perle di una fan delle teorie riparative come Chiara Atzori e Nino Spirlì, Presidente facente funzioni della Calabria quello del “Dirò negro e frocio fino alla fine dei miei giorni, la lobby frocia vuole toglierci le parole”.

Platinette dite? Ah si, c’è pure lui in questo circo Barnum, perché poi non manca neanche il senso dell’ironia a Ostellari e alla Lega. Ci andrà anche Mauro Coruzzi in Senato. A nome di chi non è dato saperlo. Forse per conto della nota categoria dei conduttori radiofonici gay reazionari, evidentemente molto più prestigiosa e numerosa di quanto c’è dato sapere.

Poi certo quel tocco afrodisiaco de “la sinistra che parla come Pillon” vero fiore all’occhiello dei leghisti che possono in questo modo rivendicare il loro alto principio democratico, capace di ascoltare tutti. Quella sinistra talmente illuminata che pur rappresentando quattro gatti in croce, si sta spendendo come un’ossessa, in nome del progresso, ça va sans dire, per negare ogni diritto e tutela alle persone trans.

Ci sarebbe da ridere se non fossimo talmente impegnati a piangere.

  • Luca Paladini

    Nato a Milano 51 anni. Unito civilmente con un altro Luca. Fondatore e Portavoce del Movimento de I Sentinelli di Milano. Movimento che si batte contro ogni forma di discriminazione. Collabora con il quotidiano online TPI

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La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 2

La seconda puntata di una ricerca linguistica condotta in classe

La settimana scorsa si parlava del brodo di coltura in cui è nata l’idea della mia ricerca sul sessismo linguistico: cosa arriva in una prima media di tutto questo discutere? Ho preso al volo la richiesta di “declinare la progettazione didattica secondo compiti di realtà per proporre esperienze d’apprendimento coinvolgenti, autentiche e significative” (qualunque cosa significhi) e ci ho collegato tutto il suddetto dibattito (avvocato, signora avvocato, avvocata, avvocatessa o più semplicemente legale che taglia la testa al toro). Obiettivo? Cogliere due piccioni con una fava: capire in modo esperienziale se qualcosina di un tema così spinoso e “adulto” – al tempo stesso sia tecnico che divisivo -, potesse arrivare fino ai giovanissimi virgulti. Più, terzo piccione: dare un senso concreto al nuovo insegnamento di Educazione Civica, “Grammatica e Inclusione”, sulla carta, la teoria del vapor acqueo applicata ai buchi del groviera.

Con questa premessa, parte il lavoro. Prima scoperta del pero fatta dagli alunni: l’italiano è una lingua che marca il genere grammaticale, il neutro non esiste e i sostantivi possono essere solo maschili o femminili. Alcuni possono esserlo solo dal punto di vista grammaticale, come oggetti, frutti e verdure (“il cucchiaio”, “la forchetta” che infatti non hanno sesso… anche se i più zuzzurelloni di voi obietteranno che “pisello” è sempre maschile, e “patata” è sempre femminile), altri anche dal punto di vista biologico/naturale, se riferiti a persone o animali (“il sarto”, “la parrucchiera”, “la gatta”). Seconda scoperta del pero: non c’è una ragione linguisticamente valida che spieghi perché non dovrebbe essere così per tutti i nomi, quindi anche per i nomi di professione, i “nomina agentis”, declinati al femminile (avvocata, per capirci).

Ora, non certo per complicarci la vita, ma proprio perché la faccenda è di suo non semplicissima, ripropongo pari pari la lezioncina che ho spiegato alla scolaresca, perché va be’ la didattica laboratoriale, ma questa qui è proprio la roba che sarebbe dovuta entrar nella zucca degli alunni, se no che l’abbiamo fatta a fare, tutta sta cosa?

Dicevo, dal punto di vista morfologico, per formare il femminile, abbiamo quattro tipi di sostantivi:

1) i sostantivi mobili, che formano il femminile semplicemente modificando la desinenza finale e mantenendo fissa la radice (caso più comune: la –o, marca del maschile, che diventa –a, marca del femminile: “gatto/gatta”, “maestro/maestra”, ma anche “attore/attrice”);

2) i sostantivi indipendenti, o di genere fisso, che al femminile presentano una forma completamente diversa dal maschile anche nella radice: “maschio/femmina”, “fratello/sorella”, “padre/madre”;

3) i sostantivi di genere comune, o – fatemela tirare un po’- ambigeneri, o epiceni, che cioè sono uguali al maschile e al femminile e cambiano solo l’articolo: “il cantante/la cantante”; “il dirigente/la dirigente”. E che talvolta formano il plurale con desinenze diverse al maschile e femminile, ad es. “i pianisti/le pianiste”;

4) i sostantivi di genere promiscuo, che hanno una sola delle due forme. Situazione che vale spesso per gli animali, con un genere grammaticale definito (“la tigre”, “il ghepardo”), cui può non corrispondere un genere biologico, quindi da specificare con l’aggiunta di un modificatore (“la femmina di leopardo”, “la tigre maschio”); ma che può essere estesa anche ad alcuni nomi riferiti a persone, come “la guardia”, “il soprano”, “il pedone”, “la vittima”. Ecco, diversamente dai primi tre casi, in cui il genere grammaticale e biologico coincidono, qui questa coincidenza si perde per mere questioni grammaticali. “Cioè, che vor dì’?” Che il termine di volta in volta è usato sia per uomini che per donne, anche se alcuni mestieri sono svolti in genere dalle persone di un certo sesso (spesso uomini per “guardia”, sempre donne per “soprano”, ecc.)

Riassumendo, checché ne abbia detto Beatrice Venezi a Sanremo, se la tua professione è indicata da un nome declinabile, mobile, primo gruppo, mettila come vuoi ma sei una “Direttrice d’orchestra” e non c’è niente di spregiativo nell’usare il femminile invece del maschile corrispondente (“Direttore”). Insomma, ok, fatto salvo il fatto che la Venezi può farsi chiamare come vuole e che a volte il genere grammaticale non definisce il genere biologico, quando però lo definisce… ecco, andrebbe usato.

Comunque, chiarito questo, abbiamo iniziato il lavoro sul campo. Sì, perché allora avevo la speranza che se ne potesse uscire, che avrei sciolto il nodo gordiano… e insomma, ho fatto questo:

– ho fornito agli alunni un elenco di professioni: “avvocato, ministro, sindaco, assessore, ingegnere, dirigente, magistrato, presidente, direttore, procuratore, ispettore, deputato, architetto… e poi: sarto, parrucchiere, maestro, cameriere, infermiere, cuoco”,

– ho chiesto loro di fare questa domanda in famiglia (parenti, amici, conoscenti): “Chiedete agli intervistati: preferite usare questi sostantivi di professioni, SE RIFERITI A DONNE, come fossero di genere mobile, quindi declinati al femminile (ad esempio, per “sindaco”: “la sindaca Virginia Raggi”); oppure di genere promiscuo (“il sindaco Virginia Raggi”); oppure di genere comune (“la sindaco Virginia Raggi”)? E, specie nel caso non si preferisse la declinazione al femminile (quindi primo caso: non il genere mobile, ma il genere promiscuo o comune), chiedete: perché?”

E come è andata? Se non vi scoccia, ve lo dico la prossima volta, che io intanto sono in scena al Teatro della Cooperativa fino al 30 maggio con la “La Scuola non serve a nulla 2.0” (…venite? quasi tutto pieno, ma vedete un po’ voi…)

 

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Vista da qui

L’eredità di Battiato

A Catania e nei paesi etnei da martedì mattina si diffonde il suono delle musiche di Franco Battiato, dai bar, nelle piazze, per le strade. Non è una celebrazione straripante, non ci sono le folle che si radunano a Milo, di fronte alla sua casa, né pianti strazianti. Insomma, non c’è nulla che non apparterrebbe a quello che Battiato ci ha insegnato.

Battiato non è morto, è migrato in un volo imprevedibile a cui ci aveva preparati già da un paio d’anni, per quanto riguarda la sua vita corporea. In questo suo viaggio verso mondi inesplorati – per molti troppo strani per entrarci – ci ha però anche trascinati con la sua musica, dai tempi di Fetus e Pollution, quando si è messo a far musica psichedelica con strumenti mai visti prima dell’epoca in Italia: i sintetizzatori. E lo ha continuato a fare sino alla fine, quando ha ripreso quello che poi è il filo conduttore della sua vita e della sua opera: «finché saremo liberi, torneremo ancora».

Un passaggio centrale è anche nella scelta di canzoni scritte e cantate da altri – che nell’album Fleurs riconosce come «esempi affini di scritture e simili» – in cui ci da coordinate importanti, come «Who could hang a name on you? When you change with ev’ry new day», oppure l’invito al viaggio baudeleriano da cui l’album prende il nome «ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto».

Libertà, movimento, spirito. La triade di Battiato potrebbe essere questa. E qui rientrano tutte le citazioni a mondi introvabili – nella memoria e sui libri – e le associazioni ad ossimoro con cui le sue canzoni hanno descritto la decadenza della modernità occidentale e aperto sguardi su possibilità da noi spesso ignorate. In questo è più attuale che mai la critica a un mondo «saturo di parassiti senza dignità» e «la voglia di vivere ad un’altra velocità» di cui cantava con Alice. E dentro un’altra velocità ci sono anche le prospettive di umana empatia che emergono fortemente in canzoni come la Cura o E ti vengo a cercare «perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici».

Battiato ci ha insegnato a guardare altrove e a pensare in maniera non lineare, né analitica, utilizzando la tecnica dello spiazzamento, in alcuni casi radicale – «e gli orinali messi sotto il letto per la notte un film di Eisenstein sulla rivoluzione» -, oppure con raffinatezza – «vuoi vedere che l’età dell’oro era appena l’ombra di Wall Street […] la falce non fa più pensare al grano, il grano fa pensare ai soldi». O, ancora, con provocazione: «Organizza la tua mente in nuove dimensioni / Libera il tuo corpo da ataviche oppressioni».

C’è una politica delle relazioni fortissima che esce e si tramanda dai testi di Battiato. E allora si capisce perché le non-celebrazioni per la sua morte si siano espresse con gruppi di persone che si vogliono bene o che hanno condiviso questo percorso non accademico che è Franco Battiato che si sono trovati con una cassa e poco altro.

Verso una nuova rotta, a partire dalla montagna la cui lava custodisce la sua forza poetica.

  • Emilio Caja e Pietro Savastio

    Emilio Caja e Pietro Savastio sono ricercatori indipendenti e collaborano con varie riviste, enti di ricerca e università. Sono stati e continuano ad essere partecipi di diverse esperienze di attivismo politico e sociale. Emilio lavora all'università e ha un piede sotto l’Etna, Pietro lavora nella scuola e ha due piedi sotto il Vesuvio: “da qui” è la prospettiva del Sud da cui guardano al mondo, dopo essere stati a spasso per l’Europa del Nord a studiare e formarsi.

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Appunti sulla mondialità

Una nuova stagione per la sinistra latinoamericana

L’America Latina, che di solito anticipa ciò che succederà in altre regioni del pianeta, sta vivendo un veloce processo di rigenerazione a sinistra accelerato dall’emergenza sanitaria. Quel momento felice per i progressismi che erano stati gli anni 2000, con l’ondata dei presidenti bolivariani alla Chávez e alla Morales, i grandi progetti di unità politica e commerciale, il ripensamento delle relazioni internazionali, come ben sappiamo si era trasformato in una lunga fase di riflusso, per la verità ancora non finita. Basti pensare ai presidenti che ripropongono le solite ricette già fallite in passato, dall’ortodossia fondomonetarista di Lenín Moreno in Ecuador, che a giorni cederà la guida dell’Ecuador al “privatizzatore” Guillermo Lasso, all’eredità lasciata in Argentina da Mauricio Macri, indebitatosi con il FMI letteralmente come se non ci fosse un domani.

Nel frattempo, però, altri processi sono cresciuti dal basso, si sono forgiati nelle lotte contro le mega-minerie, l’agricoltura geneticamente modificata, la povertà, la violenza di genere. A un certo punto quei movimenti, espressione di una sinistra nuova, per quanto generica, spesso in conflitto con quella tradizionale, hanno cominciato a giocare sul serio. Alle recenti presidenziali in Ecuador sono stati vicinissimi ad andare al ballottaggio, in Cile hanno imposto l’elezione della Costituente, che hanno praticamente vinto, e si sono portati a casa importanti comuni come quello di Santiago. In Colombia la nuova sinistra si sta rinsaldando ora, nella lotta contro la riforma fiscale del governo Duque. In Perù, scegliendo di sostenere al ballottaggio contro Keiko Fujimori il candidato veteromarxista Castillo, sono riusciti a fargli accogliere molte delle loro istanze in materia di diritti. In altri Paesi la situazione è ancora bloccata tra un progressismo accusato di autoritarismo, come in Venezuela, oppure di corruzione e populismo, come in Argentina. Ma i semi, pur contraddittori, di una nuova stagione stanno germogliando dappertutto.

Papa Francesco è innegabilmente un punto di riferimento per questa galassia, ma soltanto per la parte che riguarda il lavoro, la società, la terra. È invece un antagonista sul terreno dei diritti individuali, soprattutto quelli di genere e l’aborto. Questo dato ci conferma la novità di quanto sta succedendo. I nuovi movimenti prendono le distanze dalla sinistra storica perché troppo propensa al compromesso, ma ne condividono la storica missione redistributiva; prendono le distanze dalla Chiesa sui diritti individuali ma ne condividono la visione sociale. Si tratta di forze che si collocano in un campo progressista ma senza ideologie, se non come sommatoria “fluida” delle varie culture politiche dei componenti.

L’emergere di questi nuovi movimenti sta dando vita a una fase di transizione, nella quale può capitare – come in Cile nel 2017 e in Ecuador nel 2021 – che vinca un presidente di destra con un seguito minoritario rispetto alla somma dei candidati progressisti. Il non accettare mediazioni al ribasso appare infatti una caratteristica propulsiva dei nuovi movimenti politici, disposti a consegnare il Paese alle destre, per poi organizzare l’opposizione di piazza e rinforzarsi alla base. Questa è la maggiore contraddizione ma ciò che sta accadendo ricorda i tempi lontanissimi in cui socialisti e comunisti arrivavano a governare partendo dalle lotte di contadini e operai. La differenza è che oggi si comincia dalle lotte per il diritto a una casa decente per chi vive nelle baraccopoli, per la legalizzazione dell’aborto o contro i disastri ambientali prodotti dall’estrazione mineraria. Sono le nuove frontiere della sofferenza ignorate dalla sinistra istituzionale, e che ora stanno trovando rappresentanza politica. A differenza di quanto accade in Europa, in America Latina il malcontento sociale prima o poi si incanala a sinistra. Sta succedendo anche questa volta.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Nella puntata di oggi ci siamo occupati del futuro dello spazio sociale Leoncavallo, sotto sfratto, che potrebbe trasferirsi in uno stabile nella periferia sud della città. Siamo andati a vedere chi sono gli aspiranti autisti e tranvieri dell'Atm, li abbiamo incontrati in una delle giornate di ricerca del personale che l'azienda del trasporto pubblico milanese organizza sul territorio. Infine la storia di Youssef Barsom, morto a 18 anni in una cella del carcere di San Vittore. "Non archiviate il caso" l'appello che abbiamo raccolto dalla famiglia, dall'avvocato e dalle associazioni che avevano conosciuto il ragazzo e che si sono occupate del caso.

    M7 – il settimanale di Metroregione - 22-03-2025

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