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La nave di Penelope

“Sedici anni non li avrò più, tanto vale partire adesso”

Sguardo risoluto ed emozionato, dopo aver salutato i genitori al gate. Avranno libri nello zaino, la valigia, lo smartphone pieno di foto con gli amici e i sentimenti contrastanti di qualunque adolescente che parta da solo per un lungo periodo. A distinguerli dai loro predecessori c’è solo la mascherina. Li immagino così i ragazzi che hanno deciso di passare l’anno all’estero e che neanche la pandemia è riuscita a fermare. “Questo è un treno che passa una sola volta nella vita e non potevo permettermi di perderlo”, spiega la sua scelta Giorgia, una studentessa siciliana che sta trascorrendo quest’anno scolastico in Austria.

Non è stata l’unica a fare questo ragionamento. Come lei, nell’anno scolastico 2020-2021, nonostante le incertezze, le restrizioni e le varie ondate pandemiche, sono stati 500 gli studenti delle superiori che hanno fatto la valigia e sono partiti con il programma di Intercultura, l’associazione che organizza e finanzia scambi interculturali tra studenti in tutto il mondo. Un numero contenuto rispetto al solito, ma non così tanto. La paura del virus, le difficoltà che può portare viaggiare durante una pandemia e il rischio di continui lockdown, a quanto pare, non sono stati ostacoli così insormontabili.

E se un periodo vissuto all’estero segna profondamente chiunque viva questa esperienza, mi chiedo come sia stato farla durante un periodo così particolare.

“Se avessi saputo, prima di partire, come sarebbe stato il mio anno all’estero con le restrizioni della pandemia, probabilmente avrei avuto dei dubbi”, ammette Michelangelo Arena, 18 anni, milanese, che dallo scorso agosto si trova in Danimarca. Ma subito aggiunge: “Ad averlo vissuto, invece, sono contento e soddisfatto della mia esperienza”. Un periodo che lo ha aiutato ad arricchire il suo bagaglio culturale e ad acquisire maggiore consapevolezza di sé. Questa esperienza, aggiunge Raffaele, anche lui in Danimarca, “è stato un modo per fare comunque fruttare un anno così particolare che, restando a casa, rischiava di essere molto povero”.

Stessa cosa per Giorgia, che pensa che tutto sommato lockdown e restrizioni non abbiano limitato la sua esperienza in Austria: “Ho avuto la possibilità di trascorrere più tempo con la mia famiglia ospitante e di immergermi ancora di più nelle sue tradizioni”.

Quindi il bilancio è positivo: un’esperienza di arricchimento personale, nonostante la pandemia. Mascherine, periodi in Dad e lockdown non hanno spento l’entusiasmo dei ragazzi. Ma di sicuro il coronavirus, nelle decisioni degli studenti in partenza, non è stato ininfluente.

Consideriamo il fattore distanza: durante una pandemia è più difficile spostarsi, soprattutto per le emergenze. Si pensi ai voli sospesi, alle restrizioni in entrata. E le distanze, per la prima volta in tanto tempo, si sono allungate. Così, in tanti hanno preferito mete più vicine. Secondo i dati di Intercultura, la scelta dei ragazzi, nella maggior parte dei casi, quest’anno si è orientata verso destinazioni europee. Anche se non sono mancate partenze per l’America, dagli Stati Uniti alla Colombia, passando per il Canada e l’Uruguay.

Ora potremmo dire: ok, non potevano sapere cosa sarebbe successo e sono stati coraggiosi, ma visto l’andamento pandemico precipitato subito dopo l’estate scorsa, nessuno avrà chiesto di partire ora. A quanto pare non è così.

Per l’anno prossimo i ragazzi che hanno scelto questo percorso saranno molti di più. Sono 5mila quelli che si sono iscritti lo scorso autunno al concorso di Intercultura. Di questi, 1.600 lo hanno vinto e sono pronti a partire. Il 49 per cento di loro ha scelto un Paese europeo. Il 20 per cento, l’America latina, in particolare Argentina, Cile, Costa Rica, Uruguay . Il 18 per cento andrà negli Stati Uniti o in Canada. Mentre l’11 per cento dei ragazzi ha preferito l’ Asia – a dispetto della pandemia, la Cina resta la più gettonata delle destinazioni in questo continente -. Il restante 2 per cento andrà in Oceania o Africa.

Sono tanti e sono determinati. Cosa li ha spinti a farlo nonostante la situazione e l’incertezza, anche dopo un anno così difficile? Semplice, “ho scelto di partire nonostante il Covid perché la pandemia è un fatto globale: che io mi trovi in Italia o in Germania, avrà sicuramente un impatto sulla mia vita. E sedici anni non li avrò più, tanto vale partire adesso”, spiega Stella, milanese, che ha vinto il concorso 2021-2022. Risposta inattaccabile e pragmatica.

Un ragionamento condiviso da tutti, sembra. Anche da Giulia, che non si è lasciata intimorire e non ha ripensato alla sua destinazione cercando mete più vicine. Anzi è molto felice di non averla dovuta cambiare. “La pandemia è un evento che ha travolto il mondo intero, portando con sé molteplici difficoltà e stravolgendo le abitudini di tutti, ma in particolare di noi giovani. Dopo mesi trascorsi chiusi in casa però ho preferito non sprecare ulteriormente il mio tempo e affrontarle queste difficoltà”. Non ha dubbi e non sta nella pelle: trascorrerà il prossimo anno scolastico negli Stati Uniti.

“Sperando, certamente, che non sia così, sono consapevole del fatto che potrei dovermi confrontare nuovamente con periodi in didattica a distanza, ma questo non mi spaventa – aggiunge Giulia – e sono comunque felice di poter conoscere persone e sperimentare abitudini nuove e di potermi costruire una nuova vita partendo da zero, tutto questo dall’altra parte del mondo”.

Il fantasma della Dad però aleggia nei discorsi di ognuno di loro, anche se sembrano essersi muniti dei fucili protonici dei Ghostbusters carichi di ottimismo.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 4

Le conclusioni, le migliori, quelle che non concludono…

Eccoci a tirar le somme di questa ricerca che spero non abbia smerigliato le gonadi negli episodi precedenti. Anche perché ora potete vedere chiaramente, quello che intendevo: non ho certezze da tirare fuori, niente verità assolute. In fondo la grammatica la odiamo da piccoli perché ci sembra ci imponga leggi ferree, da imparare noiosamente a memoria; e da grandi per il motivo esattamente contrario, perché la sua più moderna istanza descrittiva non ci risolve certi dubbi per dirimere i quali a lei ci rivolgiamo come fosse oracolo… E allora? Solo brandelli di sensazioni andrò a elencare, frutti di una ricerca undicenne e ingenua, fuori dalle righe dei social e permeata – senza che nessunə si offenda – di vitalità innocente:

1) sono statisticamente più spesso gli uomini che tendono a declinare i sostantivi “importanti” al femminile (“sindaca”, “la presidente”) rispetto alle donne (le quali preferiscono “sindaco”, “il presidente”: aspetto evidente dal confronto in domande poste in parallelo, sulla stessa professione, a mamma e papà, a mo’ di “Intervista doppia”). Prima domanda aperta, che semino qui: dipende solo dal babbo che vuole risultare più “liberal” agli occhi della mamma? O magari, meno simpaticamente (e forse il fulcro vero di tutta la questione è lì) non è che ciò potrebbe dipendere dal fatto che le donne, per pensare di aver raggiunto la parità di genere, abbiani giudicato giusto chiamarsi con il nome di una certa “professione di rango” declinato al maschile? Come a voler dire “anch’io, donna, ci sono arrivata! Ho preso anch’io quel ruolo che prima era solo tuo!” . Certo, è stato questo un indirizzo linguistico importante della battaglia femminista, negli anni ’70 e ’80: ma ha fatto il suo tempo, perchè tale scelta sottendeva che per le donne, nel momemto in cui raggiungevano posizioni apicali (oggi, sempre più spesso), era importante, con la declinazione al maschile, che nascondessero il fatto di essere donne. E invece il segno linguistico della vera parità è proprio, in maniera pù profonda, la declinazione al femminile.

2) spesso ‘sti/e ragazzetti/e dimostrano un’apertura, una sana curiosità e una assenza di pregiudizi che sarebbe bello conservare crescendo. Come per tante altre cose;

3) credo sia utile far comprendere alcuni meccanismi della lingua, relativi a come essa di sviluppa e cambia. Certo, i problemi sono anche altri, ma le battaglie sociali sui diritti mica sono come “i migliori amici” che, come dicono i nostri, “se ne deve scegliere solo uno alla volta”; per cui non è che se uno si occupa della lingua non si può occupare anche della parificazione dei diritti salariali.

4) forse la lingua non accompagnerà o favorirà i mutamenti sociali (ne siamo proprio certi?), ma sicuramente li riflette, e che chiamare le cose con il loro nome, come spiegano le studiose citate all’inizio, “aiuta a vederle meglio”. E se chiamare le donne con nome di professione declinato al femminile “non cambia certo la situazione della donna”, figuriamoci quanto aiuta a cambiarla mantenere la declinazione al maschile;

5) desta comunque perplessità, se non dispiacere, che siano più spesso le donne a considerare il nome declinato al maschile come di un grado superiore rispetto allo stesso nome declinato al femminile;

6) dobbiamo però saper ascoltare anche le comprensibili resistenze di chi avverte un ragionevole senso di titubanza davanti a tutti questi cambiamenti: e certo mica dipende sempre solo da ragioni socioculturali connesse a sessismo, patriarcato e androcentrismo; se non vogliamo chiamare in causa il “disallineamento evolutivo”, come spiega bene Annamaria Testa, diamo atto che esiste però, almeno, una sorta di “forza di gravità” delle parole, un vettore entropico che tenderebbe, per abitudine, a farle tornare sempre lì: un misto di comprensibile inerzia, deprecabile pigrizia e vischiosa praticità, “perché se no poi, prof, dobbiamo di nuovo cambiare sempre tutto il libro di grammatica?”. Senza contare che l’eccessiva preoccupazione nel tentativo di non “ferire nessuno” (da parte di chi ha a cuore la questione, ovvio) potrebbe portare tante donne ma soprattutto uomini, a, oddio, “non saper più come chiamare” le donne: “e se lei preferisce avvocato?”. Una paralisi linguistica che è il caso di tenere presente, nel calderone… Perché appunto, non se ne esce, poi: più studi la questione e più ti ci blocchi…

Però, allora, fatto trenta si fa trentuno: ho poi provato a parlare in classe anche dello “ə”, lo schwa, la soluzione proposta dalla sociolinguista Vera Gheno nel caso della concordanza di nomi e aggettivi plurali riferiti a moltitudini miste, sia maschili che femminili (e trattandosi di classe di undicenni, non ho ritenuto opportuno aggiungere che la soluzione potrebbe essere adottata anche per riferirsi a persone sessualmente “non binarie”). La cosa è stata accolta con curiosità: più entusiasmo da parte delle alunne, qualche scetticismo tra gli alunni. Non credo che potrei accettarlo in un tema, ma è interessante constatare come la loro mente viaggi, parta, crei analogie: e vedere che, dopo aver acquisito il meccanismo, lo applicano anche in campi per cui non è stato pensato, come gli oggetti con il solo genere grammaticale: “Ma allora prof, posso scrivere anche che “Il gelato e la granita sono squisitə?”

Ecco, non ho la più pallida idea di come andrà a finire. Vedremo, e forse il bello è proprio il fatto che ci siamo ancora in mezzo, questo… non uscirne. Più importante tenere vivo il dibattito, restare ricettivi e aperti, sperimentare modalità che possano suggerire un uso del linguaggio più rispondente alle esigenze di una società indirizzata verso la pacifica convivenza delle nostre diverse unicità. Essere consapevoli e parlarne è già un gran passo avanti rispetto ad alcuni anni fa: si può farlo già nelle scuole, e quasi giocando (non sono certo il primo ad averci portato la questione: guardate qui la pagina di Scosse in classe”, oltre al sito di “Italiano Inclusivo”).

Ma almeno una certezza, in chiusura: la nostra professoressa di matematica, almeno lei, ha accettato la proposta di farsi chiamare per scherzo dagli alunni, solo nella nostra classe, “Professora”. Era uno dei cavalli di battaglia di Alma Sabatini, che sconsigliava l’adozione, nelle sue “Raccomandazioni…” del suffisso “-essa”, e preferiva, anche per i nomi maschili terminanti per “-ore”, l’uscita al femminile in “-ora”, perché, a partire dalla fine ‘800, tale suffisso si era caricato di una connotazione quasi dispregiativa e sarcastica (era nato a indicare non una donna titolare di una certa professione di rango, ma la moglie di un uomo che questa professione svolgeva… insomma, “dottoressa” significava “moglie del dottore che se la tira come fosse il marito”). Ora i termini “dottoressa” e “professoressa” si sono acclimatati e hanno completamente perso tale accezione negativa o ironica (l’ho spiegato tutto ciò agli alunnə): ma anche soltanto per gettare qualche coriandolo di linguistica in pillole, almeno sono riuscito a incarnare un momento storicamente così importante di questo dibattito. Almeno questo…

Perché non si può fare altro. Perché se oh, da sto discorso, non se ne esce…  allora stiamoci!

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Bad Input

Requiem per la formula WikiLeaks?

Tranquilli: la creatura di Julian Assange è viva e vegeta. A rischiare, però, è la formula stessa del “leak” come è stato pensato alle origini di WikiLeaks e dai vari soggetti che hanno visto nella diffusione diretta dei documenti una possibilità per fare informazione dal basso.

Per capire quello che sta succedendo, basta guardare al caso delle email di Anthony Fauci. Riassumo brevemente (sullo stesso tema c’è un articolo più approfondito su Open) i termini della questione. Washington Post e BuzzFeed hanno ottenuto attraverso un procedimento FOIA (Freedom of Information Act) il testo delle email inviate e ricevute dal virologo statunitense.

Un malloppo raccolto in un enorme file PDF (3.234 pagine) in cui si trova un po’ di tutto. Interessante? Sì. Utile? Forse. Dannoso? Anche.

Perché il materiale in questione è diventato preda di complottisti, negazionisti e idioti vari che lo stanno sfruttando per diffondere le solite fake news.

Come? Semplicemente estrapolando questo o quel messaggio, aggiungendoci qualche commento a effetto per poi spammarlo sul web tramite social network, forum, software di messaggistica e qualsiasi altro strumento gli venga in mente.

Probabilmente una parte di queste attività è svolta dai soliti “professionisti della fuffa” al soldo di qualche governo (o partito) sovranista. Altra parte circola semplicemente a opera di qualche “giornalista fai da te”, dei soliti gruppi di sciamannati e da singoli individui che non vedono l’ora di avere il loro (virtuale) quarto d’ora di celebrità nella chat del calcetto.

C’è qualcosa di nuovo? Purtroppo no. La verità è che l’informazione disintermediata non è sempre una cosa positiva. Anzi: non lo è quasi mai.

Senza le verifiche e i controlli da parte di qualcuno che ha gli strumenti (anche deontologici) per farli, le informazioni di prima mano rischiano di trasformarsi in armi di distrazione di massa.

Di fronte alla sistematicità con cui questo avviene, forse dovremmo chiederci se la “formula WikiLeaks” sia ancora una buona idea. Io comincio ad avere più di qualche dubbio.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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L'Ambrosiano

I ricordi vivono, non ci appartengono: 2 giugno, le donne, Milano

Non so se in nome della ripartenza la retorica del 2 giugno ha passato il segno. A me la Festa della Repubblica col virus ha evocato alcuni ricordi: quando da studente curioso trovai su una bancarella Risorgeva Milano (1953) di Antonio Greppi (1894-1982); un’intervista a Bianca Ceva (1897-1982); l’ascolto di Laura Conti (1921-1993) in Regione; una delibera di Maria Paola Colombo Svevo (1942-2010).

Il libro del Sindaco della Liberazione (socialista, ma in esergo cita Sant’Ambrogio: “Si rinnoverà come l’aquila la mia giovinezza”) mi colpì il titolo: l’imperfetto è il passato che continua, dice il presente, prospetta il futuro: è il tempo delle fiabe. Non c’è racconto più reale della vita quando è in gioco tutto di noi. Avevo conosciuto Bianca Ceva insegnate al Manzoni; il giornale cercava testimoni della Resistenza; andai; raccontò sé, la famiglia, il bisogno che i giovani conoscessero i sacrifici da dov’era nata la democrazia. Mi regalò il suo libro: Tempo dei vivi: 1943-1945; vi annotò: «Recensito da Montale sul Corriere nel 1954».

Della Conti seguii per anni gli interventi in Consiglio Regionale. Lottava per prevenzione e tutela ambientale. La sua scuola: medico e partigiana; antesignana di tempi di virus. La Colombo Svevo un giorno mi chiamò: «Fermata!». Assessore Dc ai Servizi Sociali bloccò la svendita del patrimonio ex Eca: in un’inchiesta avevo acceso la luce; nella stanza dei bottoni si stavano spartendo la torta. I ricordi non ci appartengono. Greppi aveva ricostruito la Scala a tempo di record: l’11 maggio ’46 Toscanini diresse, reduce dall’esilio. L’arte è amica delle scelte civili e politiche. Bianca, Laura, Maria Paola: tre delle donne che sull’onda del 2 giugno hanno praticato la lunga marcia della cittadinanza al femminile.

Scrive Shakespeare: «Andiamo incontro al tempo come esso ci cerca». Il 2 giugno «ci cerca» giorno per giorno. Se facessimo finta di niente o fuggissimo alla responsabilità dell’incontro sarebbero regressione, oblio, buio, morte. Memoria è energia vitale per noi, servizio alla comunità, a chi manco conosciamo, a chi verrà. Ricordare è modo d’essere, spirito che nutre la voglia di proseguire, è rinnovo repubblicano. Sognare a occhi aperti è vita!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

2 giugno, le parole delle donne al voto

Riuscite oggi a immaginare il voto come cosa preziosa, emozione, che chiede il vestito della festa e, per non stropicciare la scheda, mani leggere?
Riuscite a sentire quelle conversazioni tra uomini e donne, nelle lunghe file davanti ai seggi  – qualcuna si portò la seggiolina da casa –  che finalmente, racconta Anna Garofalo, assumono ‘un tono diverso, alla pari’?
Riuscite a non consegnare solo alla storia, in tempo di passioni politiche traballanti e disaffezione al voto, quel  ‘vertiginoso ritrovarsi  davanti a me, cittadino’ come da autodescrizione – notate, al maschile –  di Maria Bellonci?
E potete immaginare, nella sua casa di Matera, seduta a un tavolino, Irene D’Amato rispondere al suo giornale preferito, il settimanale Gioia che ha chiesto alle sue lettrici come si preparano al primo voto, quello del referendum del due giugno? E lei a scrivere seria seria che andrà a votare ‘serena e fiduciosa’ perché così contribuirà alla rinascita del paese?
Riuscite a mettervi nei panni di quelle donne, uscite da una durissima guerra che per molte ha significato assumere ruoli e responsabilità maschili e che poi sono tornate a casa, che ricevono la scheda con emozione e senso di responsabilità, qualcuna con la  paura di sbagliarsi una volta lì, con la matita in mano.

La racconterei nelle scuole, spero si faccia e non in poche righe in fondo al capitolo sul libro di storia, questa prima volta delle donne al voto, ‘voto segreto che significava potersi sottrarre al controllo e alla subordinazione. Anche dagli uomini della famiglia’, come scrive la storica Anna Rossi Doria. Leggerei il referendum di Gioia e spiegherei quanto sono stati importanti i settimanali femminili nel costruire una nuova soggettività delle donne, spiegherei che nulla è stato regalato, che il percorso verso quel voto è una potentissima metafora che racconta quanto la cittadinanza delle donne sia ancora faticosa, costellata di agguati, rischi, tentativi di ricacciarle indietro. E di distanze, profonde distanze da ciò che la Costituzione detta in tema di parità, eguaglianza, diritti.

Lo farei anche con le parole di  Tina Anselmi, una che c’era e che rappresenta la faccia migliore di quella Democrazia cristiana che deve dire grazie alle italiane, perché  – lo raccontano gli studiosi della politica e dei flussi elettorali –  se nel dopoguerra in Italia non ci fu la svolta a sinistra si deve al voto delle donne che prestavano orecchie attente e ossequenti alla propaganda anticomunista della Chiesa cattolica. E se da questa parti ciò provoca rammarico, le poche righe che seguono illuminano benissimo il due giugno conquistato delle italiane: ‘Fin dalle prime elezioni  parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure (e anche le resistenze, ndr) di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini”.

 

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Snippet di sabato 19/04/2025

    Un viaggio musicale, a cura di missinred, attraverso remix, campioni, sample, cover, edit, mash up. Sabato dalle 22:45 alle 23.45 (tranne il primo sabato di ogni mese)

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    News della notte di sabato 19/04/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Blue Lines di sabato 19/04/2025

    Conduzione musicale a cura di Chawki Senouci

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    Ogni sabato, dalle 17.35 alle 18.30, musica, libri e spettacoli che ci aiutano a 'restare umani'. Guida spirituale della trasmissione: Fela.

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    Soulshine è un mix eclettico di ultime uscite e classici immortali fra soul, world music, jazz, funk, hip hop, afro beat, latin, r&b, ma anche, perchè no?, un po’ di sano rock’n’roll. L’obiettivo di Soulshine è ispirarvi ad ascoltare nuova musica, di qualsiasi decennio: scrivetemi i vostri suggerimenti e le vostre scoperte all’indirizzo e-mail cecilia.paesante@gmail.com oppure su Instagram (cecilia_paesante) o Facebook (Cecilia Paesante).

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    Highlights di sabato 19/04/2025

    L'atleta più raccontata della settimana è stata la nuotatrice 18enne Sara Curtis, capace di segnare il record italiano dei 50 e dei 100 metri stile libero ai Campionati assoluti. Come mai attorno a lei si sono concentrate improvvisamente tutte queste attenzioni? Ci abbiamo riflettuto insieme a Francesco Caligaris, collaboratore della Gazzetta dello sport. Calcio, politica e società: tre argomenti che s'intrecciano spesso e che il progetto Pallonate in faccia indaga quotidianamente sulla sua pagina social. Ne abbiamo parlato con l'autore Valerio Moggia, in vista dell'uscita del suo nuovo libro "Il calcio è politica".

    Highlights - 19-04-2025

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    Chassis di sabato 19/04/2025

    Chassis 19 aprile 2025, con Ivano De Matteo regista di "Una figlia"; Niccolò Massazza dei Masbedo su "Arsa"; Guido Chiesa parla di "30 notti con il mio ex". Tra le uscite: La Gazza Ladra di Robert Guediguian; Queer di Luca Guadagnino; Drop – Accetta o rifiuta di Christopher Landon; Generazione Romantica di Jia Zhangke; Guida pratica per insegnanti di Thomas Lilti; I Peccatori di Ryan Coogler; Cloud di Kiyoshi Kurosawa; Love di Johan Haugerud.

    Chassis - 19-04-2025

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