L’episodio pilota di True Detective va in onda, per la prima volta, il 12 gennaio 2014 sulla rete via cavo statunitense HBO; arrivati alla quarta puntata, quella che si conclude con un bellissimo e ormai celebre pianosequenza, per gli appassionati di serie è già “la produzione tv dell’anno”. Eppure, cinque anni dopo, il 13 gennaio 2019, la terza stagione (che in Italia va in onda su Sky Atlantic praticamente in contemporanea con la trasmissione americana) si trova nella strana posizione di dover convincere di nuovo il pubblico.
True Detective è una serie antologica, a ogni stagione racconta una vicenda diversa, con diversi interpreti e ambientazioni: la prima indimenticabile annata ha come protagonisti due grandi attori, Woody Harrelson e Matthew McConaughey, che sulle strade desolate e affascinanti della Louisiana, tra paludi lussureggianti e paesaggi urbani decadenti, cercano l’autore di terrificanti omicidi rituali. La storia intreccia due diversi piani temporali, coinvolge con ogni aspetto della messa in scena e porta facilmente il pubblico ad appassionarsi alla risoluzione del mistero.
A scrivere True Detective un romanziere, fino a quel momento digiuno di tv, Nic Pizzolatto, mentre a dirigere c’è il regista cinematografico Cary Fukunaga. Il successo impone, forse frettolosamente, una seconda stagione, che cambia tutto: quattro protagonisti invece di due (tra loro, Colin Farrell e Rachel McAdams), l’asfalto della California invece della natura della Louisiana, diverse piste narrative intrecciate in luogo dei piani temporali. Molti registi al posto di una mano sola: il pubblico si disaffeziona in fretta, le critiche sono tiepide, il risultato sotto le aspettative. La rete HBO dichiara la serie sospesa, tanto che quasi tutti la danno per spacciata.
E invece ecco che nel 2017 ne viene annunciata, a sorpresa, una terza stagione: Nic Pizzolatto è sempre al timone della serie, ma gli viene affiancato per alcuni episodi il veterano David Milch (l’autore della seminale serie western Deadwood); e la regia viene affidata a Jeremy Saulnier, un cineasta la cui sensibilità per l’alta tensione e per il paesaggio naturale e umano dell’America profonda appare subito perfettamente in linea con True Detective (recuperate i suoi Blue Ruin e Green Room).
Protagonista questa volta è Mahershala Ali, che ha già vinto un Oscar per il film Moonlight, e si candida quest’anno a fare il bis con Green Book per cui ha appena agguantato il Golden Globe: un altro grande attore per il ruolo di un detective tormentato, ossessionato da un caso che segna un’intera vita, come già era accaduto ai due investigatori della prima stagione. Le prime due puntate lasciano intuire infatti che, un po’ per andare sul sicuro e un po’ perché la formula era praticamente perfetta, questo terzo ciclo assomiglierà molto al primo: Wayne Hayes, reduce del Vietnam, fa il poliziotto negli anni 80, in Arkansas, quando due bimbi scompaiono nel nulla. Riaffronta il caso dieci anni dopo, interrogato da due avvocati che vogliono riaprire il processo, e poi ancora nel 2015, davanti a una giornalista che sta costruendo un documentario sulla vicenda. La performance d’attore è davvero straordinaria, capace di essere credibile attraverso gli anni, e il senso di minaccia e mistero sembra aver ritrovato il passo giusto.
Aspettiamo già con ansia le prossime puntate: forse non sarà di nuovo una produzione epocale, ma un bel noir come si deve, scommettiamo di sì.