Nel flusso delle notizie che arrivano da Doha, Tel Aviv e Washington, c’è una costante: l’accordo è vicinissimo dopo che le due parti hanno trovato un compromesso sulla delicata questione del rilascio degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi.
Ma che cosa manca ancora all’annuncio finale?
Come si usa dire, il diavolo si nasconde nei dettagli, e per evitare spiacevoli sorprese, i negoziatori sono obbligati a leggere e rileggere ogni riga, ogni parola della bozza, soprattutto quando il testo è scritto in ebraico, in arabo e in inglese.
Ma, a parte la totale mancanza di fiducia tra Hamas e Israele, ci sono anche dinamiche interne che stanno rallentando il processo.
Benjamin Netanyahu si trova per la prima volta di fronte a un vero dilemma: come fa ad accettare il diktat di Trump senza rompere con i suoi alleati di estrema destra contrari al cessate il fuoco?
Sull’altra sponda, Hamas è indebolita da 15 mesi di attacchi israeliani, però vorrebbe garantire la propria sopravvivenza politica. Hamas intende continuare a contare nella Striscia di Gaza e gestire la ricostruzione. Gli Stati Uniti, invece, puntano decisamente sull’ANP guidata da Abu Mazen.
Quindi, c’è molto mal di pancia nei due campi, ma alla fine dovrebbe prevalere il buon senso per porre fine a questa tragedia.
(nell’immagine Doha, sede degli incontri diplomatici)