La prima volta di un discorso a braccio del presidente del consiglio Conte è stata infarcita dalle gaffes. La più imbarazzante, quando non ha ricordato il nome del fratello del presidente della Repubblica, ucciso dalla mafia nel 1980 (“il congiunto” lo ha chiamato). Graziano Del Rio glielo ha urlato: “si chiamava Piersanti!“. La più aggressiva, ma forse non era una gaffe, quando ha accusato i deputati che lo interrompevano durante il suo passaggio sul conflitto di interssi di essere evidentemente portatori di un conflitto di interessi.
Conte ha provato a smorzare i toni ma non ci è riuscito. Ci sono due governi. Quello dall’immagine ragionevole, responsabile, che vorrebbe rappresentare lui. E il governo reale, quello dei suoi ministri. A cominciare da Salvini, la superstar del governo. Ieri non si è fatto mancare niente. Dall’affermazione secondo cui è giusto fare pagare meno tasse ai ricchi perché così spendono e l’economia gira – era dai tempi di Reagan che non si sentiva una cosa simile per giustificare il taglio delle tasse ai ricchi – alla sparata ormai abituale sull’immigrazione: “Aumenteremo i respingimenti e le espulsioni“.
Ma non c’è solo Salvini. Il ministro della Giustizia, Bonafede, dei 5 Stelle, parla per la prima volta da quando è in carica e riafferma la linea dura, con l’intenzione di cancellare la legge sulle misure alternative al carcere. Secondo il pensiero del ministro, le alternative alla cella per chi abbia commesso reati fino a quattro anni minerebbero il concetto di certezza della pena.