Per la comunità finanziaria una hard Brexit sarebbe un disatro e i mercati scommettono su un qualsiasi accordo con l’Ue, anche parziale, mentre riprendono i negoziati a Bruxelles.
Il nodo della frontiere irlandese e soprattutto la dinamica interna al governo inglese e al partito Conservatore intrappolano il Primo Ministro Theresa May sul dibattito “quale accordo?“. In due anni, l’unica certezza è che il Regno Unito uscirà dall’Europa a marzo 2019 e che per ora lo spauracchio di una vittoria di Jeremy Corbyn allontana ogni possibilità di elezioni. Ce lo spiega l’analista del centro studi Chatham House di Londra, Paola Subacchi, intervistata da Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.
Le discussioni esistono da prima del referendum. La comunità finanziaria dice da sempre che una Brexit senza accordo significherebbe un collasso della finanza non solo inglese, avrebbe impatti importanti anche sul resto del Mondo. Questo è uno scenario assolutamente tragico, uno scenario che venne prospettato già prima del referendum dal Tesoro inglese guidato da George Osborne che è stato uno degli ideatori del referendum e bocciato, lo scenario, proprio perchè fatto e basato su ipotesi assolutamente estreme. Resta comunque il fatto che la comunità finanziaria è dal giugno 2016 che si sta preparando a tutte le possibilità. La questione che rimane sul tappeto e che non è stata risolta è cosa faranno i servizi finanziari una volta che la Gran Bretagna sarà uscita dall’Europa, perché comunque gli accordi e le proposte di accordo non prevedono uno spazio all’interno della Brexit per mantenere il legame tra il mercato finanziario e le imprese finanziarie presenti sul mercato londinese e il resto dell’Europa.
Dal punto di vista dell’analisi politica esiste una preoccupazione che la Brexit non abbia accordo?
Il maggior impatto sui mercati finanziari da questa Brexit si vede al momento dell’esito del referendum con una perdita di valore della sterlina di quasi il 30%. Da quel momento la sterlina si è risollevata, ma restano molti punti di domanda sulla crescita dell’economica inglese che, chiaramente, risentirà degli accordi per la Brexit. Il problema è che effettivamente al momento si lavora su quello che noi chiamiamo “uno scenario di base”, nel senso che si prevede comunque un accordo di massima e non si conosco ancora gli estremi di questo accordo. I mercati finanziari danno in qualche modo per scontato che un accordo ci sarà ed è per questo che abbiamo visto molta calma. Anzi, negli ultimi mesi c’è stata anche una buona ripresa degli indici di borsa delle imprese piccole e medie, che sono quelle che avevano sentito maggiormente l’impatto della Brexit. Direi che il momento è un momento di calma e si dà per scontato che alla fine un accordo ci sarà. Il problema è che non si sa ancora su cosa si negozierà, perchè il governo inglese è completamente intrappolato su questa questione: che tipo di accordo fare con Bruxelles e il resto dell’Unione Europea e come far passare questo accordo e farlo votare dai Parlamentari conservatori euroscettici. Questo è il problema di fondo e ad oggi non abbiamo ancora una risposta.
Il profilo dei nuovi mediatori sembra essere in una chiave di riapertura di dialogo, ma il tema è tutto interno al governo di Theresa May e sulla sua tenuta. So che da analisi non si fanno scommesse, lei scommetterebbe sulla tenuta del governo di Theresa May?
Non c’è un’identità neo-conservativa perchè la situazione è assolutamente caotica. Non c’è un piano, un progetto o un’idea precisa al di là del “non usciamo dalla comunità europea”. Questa è stata un’idea venduta al pubblico sulla base del fatto che la Gran Bretagna potrà fare accordi commerciali col resto del Mondo senza avere le mani legate dall’Unione Europea. Questo, oggi si sa, non è vero: questa è la preoccupazione di moltissimi gruppi, dalle imprese alle università, dalla ricerca scientifica a moltissimi cittadini. Ci si rende conto che con la Brexit “salvare capra e cavoli” non è possibile. La Brexit significa, almeno nel medio periodo, prendersi delle perdite da un punto di vista economico. Il governo di Theresa May probabilmente continuerà, seppur azzoppato e con una serie di problemi, perchè l’alternativa che molti temono è un governo laburista guidato da Jeremy Corbyn. Questo è lo spauracchio che fa tenere in piedi e che continua a puntellare il governo di Theresa May. Rimane la questione spinosa dell’Irlanda – in questi giorni Theresa May è in Irlanda proprio per capire – perchè il confine tra la Repubblica Irlandese e la parte britannica, cioè l’Irlanda del Nord, che venne rimosso con gli accordi di pace del 1998, se si va ad una Brexit dura – senza un accordo con l’UE – ci si ritrova con un confine tra queste due regioni e questo diventerebbe un problema politicamente esplosivo. Theresa May è letteralmente con le spalle al muro, l’unica sua salvezza viene paradossalmente dai laburisti, perchè appunto a molti l’idea non piace l’idea di avere Jeremy Corbyn come Primo Ministro.