
Tra le molte ragioni per cui si continua a parlare di Adolescence c’è l’ammirazione tecnica per l’utilizzo del pianosequenza: gli autori hanno realizzato ognuno dei quattro episodi con un’unica ripresa continuata, senza stacchi. È curioso che più o meno negli stessi giorni, per la precisione dallo scorso 26 marzo, sia cominciata anche un’altra serie che utilizza in modo massiccio il pianosequenza, anche se a livello tematico e narrativo non potrebbe essere più lontana da Adolescence. Si intitola The Studio ed è disponibile, un episodio a settimana, su AppleTv+. È una commedia, anzi, più precisamente una satira, ambientata dietro le quinte della Hollywood contemporanea. Il protagonista, Matt Remick, è un produttore che da due decenni lavora nei fittizi Continental Studios, e che ha sempre avuto come obiettivo quello di dirigerli. Il suo sogno si avvera quando la sua mentore viene cacciata, in seguito a una serie di fallimenti, e il temibile amministratore delegato (impersonato dal Bryan Cranston di Breaking Bad) offre a lui il posto: Remick, che è un vero cinefilo, è deciso a fare quello che tutti dicono essere impossibile, ovvero realizzare film che siano contemporaneamente di grande valore artistico e grandi successi commerciali. Ma è un illuso, oltre che un pusillanime inetto: da un lato si bea del proprio nuovo potere di capo dello studio, dall’altro combina solo guai, e cede sempre a ogni singola richiesta degli investitori che pretendono solo grossi blockbuster basati su franchise o proprietà intellettuali. Remick è interpretato da Seth Rogen, attore attivo da fine anni ’90, cresciuto nell’informale compagnia del regista Judd Apatow, che comprendeva anche attori come James Franco e Jonah Hill. Ma fin da giovanissimo si è dedicato anche alla sceneggiatura, alla produzione e alla regia con l’amico fraterno Evan Goldberg, con cui firma infatti anche la scrittura e spesso la regia di The Studio: insieme hanno realizzato i film commedia Facciamola finita (in cui un mucchio di attori famosi nel ruolo di se stessi aspettava insieme la fine del mondo) e The Interview (in cui Rogen e James Franco interpretavano un produttore e un conduttore tv che organizzavano un’intervista a Kim Jong-un, e venivano poi assoldati come spie dalla CIA); Rogen e Goldberg sono anche i creatori e produttori delle serie di successo di Prime Video The Boys, Preacher e Invincible, mentre su AppleTv+ Seth Rogen è pure co-protagonista della comedy Platonic. Insomma, sono decisamente esperti sia di commedie sia dei meccanismi che muovono l’industria hollywoodiana, e d’altronde The Studio non è certo la prima satira della fabbrica dei sogni – solo pochi mesi fa è stata realizzata, per HBO, la serie The Franchise, ambientata sul set di un grosso film di supereroi –, ma la sua particolarità è quella di esser riuscita a coinvolgere una grande quantità di nomi celebri nel ruolo di se stessi. Ci sono i registi Martin Scorsese e Ron Howard, le registe Sarah Polley e Olivia Wilde, gli attori Charlize Theron, Steve Buscemi, Greta Lee, Anthony Mackie, e moltissimi altri – è inutile anticiparli tutti, parte del divertimento nel guardare la serie sta proprio nello scoprire, una puntata dopo l’altra, quale volto famoso farà la sua apparizione. In questo senso, The Studio potrebbe richiamare Call My Agent! (sia la versione francese, sia quella italiana), ma, come si diceva all’inizio, c’è anche un’evidente scelta stilistica a marcare la differenza con i predecessori: le puntate sono realizzate con lunghissimi ed elaborati pianisequenza, che pedinano Matt Remick nelle sue disavventure quotidiane, correndo da una sala di proiezione a una sala riunioni, da un set in esterna a un sound stage, con il ritmo incalzante di una batteria jazz in sottofondo, ad aumentare la tensione. Quello che ne esce è un ritratto di Hollywood impietoso, che smaschera molteplici ipocrisie e soprattutto l’avidità senza fine dei proprietari degli studios. Ma è anche una serie profondamente innamorata del cinema, a partire dal suo primo riferimento evidente, quello a I protagonisti di Robert Altman: un po’ come l’ingiusto film flop di qualche anno fa Babylon, svela il marcio dietro la fabbrica dei sogni, ma, nello stesso tempo, anche il suo ineguagliabile potere di farci sognare.