Ogni appassionato di serie riconosce in Mad Men un caposaldo imprescindibile: l’epopea di Don Draper, geniale creativo pubblicitario nella Manhattan degli anni 60, e dei suoi colleghi d’agenzia è uno degli esempi migliori dell’età dell’oro televisiva del nuovo millennio.
L’equivalente a puntate, su piccolo schermo, di un grande romanzo, che fa scorrere la Storia attraverso le vicende dei suoi personaggi, scandagliando l’essenza del Sogno americano e individuando le origini dell’oggi nelle sfrontate radici capitaliste di ieri; e, come protagonista, un antieroe complesso, stratificato e tormentato, erede del rivoluzionario Tony Soprano, anche nella paternità. Matthew Weiner, il creatore e showrunner di Mad Men, è cresciuto infatti nella stanza degli sceneggiatori de I Soprano, sotto la guida di David Chase (da lì è uscito un altro scrittore importante, Terence Winter, che con Martin Scorsese ha firmato Boardwalk Empire e The Wolf of Wall Street). Questo preambolo serve a spiegare come mai The Romanoffs, l’ultima serie originale di Amazon Prime Video, era uno dei progetti più attesi di quest’annata seriale: tutti aspettavano, soprattutto, la nuova prova narrativa di Matthew Weiner, che, dopo la conclusione di Mad Men nel 2015, ha scritto solo un romanzo (Heather, più di tutto, pubblicato da Einaudi).
Un progetto, The Romanoffs, su cui l’autore stesso ha fatto calare una coltre di mistero, facendo trapelare solo l’elenco di un cast ricchissimo (tra i cui nomi figurano anche Isabelle Huppert, Aaron Eckhart, Diane Lane) e un breve trailer altrettanto enigmatico. Ora che lo show è iniziato e che verrà distribuito, un episodio a settimana, su Amazon Prime Video, più di un addetto ai lavori è rimasto sconcertato: perché si tratta di una serie antologica, in cui ogni puntata è lunga come un film (tra gli 80 e i 90 minuti) e fa storia a sé, cambiando di volta in volta set e personaggi.
Weiner ha dichiarato che questa scelta è il suo modo di andare controcorrente, di contrastare l’abitudine secondo lui deleteria del binge watching (vedere tanti episodi di fila in una sola seduta) e l’ansia di essere costantemente aggiornati sulle serie tv. Ha anche lodato la suprema libertà creativa concessagli da Amazon (l’elevato budget è implicito), che gli ha permesso di girare in otto paesi e in sei lingue, così che molti episodi siano in parte sottotitolati (caratteristica che negli Stati Uniti è poco digerita).
Infine, il formato antologico – dice sempre Weiner – concede alle trame di essere imprevedibili: guardando Mad Men sapevamo che ogni settimana avremmo ritrovato Don Draper alla scrivania, in un modo o nell’altro, mentre qua ogni svolta è una sorpresa. Ogni episodio racconterà di un discendente dei Romanov, l’aristocratica famiglia russa sterminata durante la Rivoluzione d’ottobre: o meglio, di presunti tali, e in questa ambiguità secondo l’autore risiede gran parte del senso dell’operazione.
I primi due episodi distribuiti, il primo girato a Parigi e il secondo nella provincia americana, sono brillanti nei dialoghi e impeccabili nell’esecuzione, con qualche buono spunto sull’attualità e una certa dose di cinismo e umorismo nero, ma – presi a sé – non sembrano particolarmente memorabili o rivoluzionari: si spera che, per quanto Weiner si proponga di sfuggire alle regole della televisione, si scoprirà che la visione d’insieme è necessaria a far brillare davvero ogni puntata. Non più come capitoli di un grande romanzo, dunque, ma come una collezione di racconti lunghi la cui somma vale più delle singole parti.