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Tratto dal podcast
Chassis di dom 19/01 (seconda parte)
Cultura | 2020-01-19
The New Pope, la nuova serie di Paolo Sorrentino che segue a quattro anni di distanza The Young Pope, è in onda in questi giorni su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno in Italia, ma anche negli Stati Uniti su HBO e in Francia su Canal+. Tra i protagonisti assoluti c’è Silvio Orlando, che torna a vestire i panni del Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinal Angelo Voiello, ma anche quelli di un altro personaggio, il cardinal Hernández, sosia a tutti gli effetti di Voiello.
Ecco alcuni estratti dall’intervista di Barbara Sorrentini a Silvio Orlando per Chassis.
Chi è Angelo Voiello e a chi ti sei ispirato?
Voiello è soprattutto un uomo di potere per come lo vediamo nell’80% del tempo. È quello che gestisce la macchina burocratica e del potere in Vaticano e, come tutti gli uomini di potere, ha i suoi sottofondi oscuri. La sua ragione di stato prevale quasi sempre in nome del bene della Chiesa con degli aspetti anche poetici e di grande pietà cristiana.
Come hai vissuto il cambiamento tra la prima e la seconda stagione?
Con un po’ di ansia e angoscia. Paolo Sorrentino mi ha fatto un regalo grandissimo consegnandomi un copione meraviglioso e un personaggio onnipresente con mille sfaccettature e una complessità enorme. Allo stesso tempo è un’operazione enorme, c’è anche la difficoltà della lingua, ed è sempre un po’ un rincorrere per tutti i mesi in cui abbiamo registrato.
Come è stato recitare in inglese?
Tanto studio. L’inglese mi ha costretto a studiare dieci volte di più rispetto a quanto si fa di solito per un film. Ho studiato molto e in questa seconda serie ero infinitamente più preparato.
Come ti sei trovato con i due Papi?
È stata una strana forma di boxe. Il conflitto tra i personaggi e tra gli attori c’è sempre, si recita insieme ma sempre un po’ in maniera competitiva. Non ho vinto il match con loro, ma almeno ho finito l’incontro in piedi. Sono due attori molto diversi tra loro, con storie molto diverse. Il passaggio da Jude a John è stata una bella palestra.
Hai recitato anche a Diane Keaton e Cécile de France. Come è andata con loro?
Diane è venuta in un periodo molto complicato della sua vita. È arrivata, ha recitato ed è andata via. Ho avuto l’impressione che fosse un po’ in difficoltà e non avesse ben chiaro dove fosse e cosa stesse facendo. Con Cécile de France siamo amici e lo siamo diventati ancora di più con questa seconda serie. È una donna straordinaria, di una delicatezza e sensibilità incredibile ed è anche molto divertente come essere umano. Abbiamo instaurato un vero e proprio rapporto umano.
Non avevi mai lavorato con Paolo Sorrentino prima di queste due serie.
Siamo non solo della stessa città, ma anche dello stesso quartiere, il Vomero di Napoli, e condividiamo lo stesso modo di essere napoletani. Abbiamo un rapporto che si basa molto sulla razionalità. Non ci spieghiamo tanto, ma siamo riusciti a trovare un feeling basato sull’aspettativa, che è sempre altissima, e su quello che riuscivo a dargli. Abbiamo trovato un compromesso.
Com’è stato lavorare su quei set?
Anche se è contemporaneo possiamo definirla una serie in costume, e sono poche le occasioni che gli attori hanno di fare qualcosa in costume che sia contemporaneo. Essere un cardinale ti consente di avere un costume, ti definisce ancora prima di iniziare a parlare. È un’esperienza importante, ma anche anomala. Mi ricordo che a Venezia ero nella hall dell’hotel in attesa che mi chiamassero per iniziare a lavorare e sono entrati due spagnoli e sono venuti subito verso di me. Pensavo mi avessero riconosciuto e invece si sono inginocchiati e mi hanno baciato l’anello. Non ho neanche avuto il coraggio di dirgli che ero un attore.
Foto dalla pagina Facebook di Sky Atlantic Italia