«La Siria sta diventando un laboratorio terrificante del disordine internazionale». Lo sostiene Alessandro Colombo, ordinario di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano. E’ una valutazione che non dipende dalle recenti evocazioni della guerra fredda fatte, ad esempio, nei giorni scorsi dal Cremlino. «Non c’è traccia – dice il professor Colombo a Memos – di guerra fredda».
L’esperto di relazioni internazionali, ospite a Memos, ha messo invece in evidenza come «la cosiddetta “guerra al terrore“ e la mobilitazione generale contro l’Isis si sia rivelata una colossale messa in scena».
L’intervista ad Alessandro Colombo.
Nei giorni scorsi il primo ministro russo Dmitry Medvedev, durante la Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, ha detto di chiedersi spesso se la situazione internazionale attuale sia quella del “2016 o del 1962”, uno dei momenti di maggiore tensione della guerra fredda. Professor Colombo, condivide il paragone?
«Per certi versi la situazione attuale è l’opposto di quella del 1962. L’unico elemento in comune è questa crescente tensione tra Stati Uniti e Federazione Russa. Per tutto il resto la nostra è una situazione che per alcuni aspetti è meno pericolosa e, per altri, è più incontrollabile. Non c’è una traccia di una nuova guerra fredda per la semplice e ovvia ragione che la Federazione Russa non è l’Unione Sovietica, non è più una potenza globale. La Russia è una potenza in declino, nonostante l’attivismo politico e militare degli ultimi mesi. Non c’è il rischio di una guerra globale tra le due grandi potenze, come invece c’era nel 1962. In compenso nel ’62 c’era una struttura di potere e di conflitto molto chiara, si sapeva quali fossero le determinanti fondamentali del gioco internazionale. Oggi, invece, siamo nella situazione opposta: non abbiamo il rischio di una grande guerra globale, generale, ma abbiamo una serie di conflitti, compreso quello siriano, totalmente fuori controllo. La causa? Dipende dal fatto che tutte le nostre coordinate di carattere politico, strategico e probabilmente anche di carattere cognitivo, sono saltate».
La Siria è comunque un luogo dove si confrontano da un lato alcune potenze regionali, come Arabia Saudita, Iran, Egitto, Turchia; e dall’altro attori internazionali come gli Stati Uniti e la Russia. Che cosa significa?
«La Siria – sostiene Alessandro Colombo – sta diventando un laboratorio terrificante del disordine internazionale che stiamo vivendo da alcuni anni a questa parte. Tutti gli attori sono coinvolti, non c’è più traccia di quella che fino a qualche mese fa veniva definita una “guerra civile siriana“. La guerra in Siria è ormai diventata una guerra internazionale con il coinvolgimento di attori di tutti i tipi: statuali regionali, statuali extra-regionali, non statuali, ciascuno con agende diverse. Credo che vada messo in chiaro, come hanno messo in chiaro gli eventi delle ultime settimane, il fatto che la cosiddetta “guerra al terrore” e la mobilitazione generale contro l’Isis sia diventata una colossale messa in scena. Una messa in scena che ci dà l’impressione di avere a che fare con un nemico definito, con un’agenda politica definita e condivisa. Dietro questa messa in scena la Siria è, in realtà, un labirinto di conflitti diversi che coinvolgono diversi attori che hanno preferenze e nemici diversi».
Perché definisce la “guerra all’Isis” una messa in scena?
«E’ una messa in scena perché ha l’obiettivo di dare la sacra rappresentazione di una comunità internazionale unitaria, mentre invece si tratta di una rappresentazione falsa. Non c’è più alcuna traccia di una comunità internazionale unitaria. Tutti i principali attori – racconta il professor Colombo – sono divisi su tutto a cominciare dalla gerarchia di priorità, dalla scelta di quali sono le cose più importanti. L’Isis ha costituito negli ultimi mesi una sorta di simulacro di qualcosa di definito, una tentazione venuta molto spesso negli ultimi 25 anni. Pensiamo alla retorica della guerra globale al terrore dell’epoca dell’amministrazione Bush. Pensiamo, in generale, al tentativo di guardare il mondo in termini bipolari, con un fronte buono e uno cattivo, mentre invece siamo in un contesto diverso. Qualunque lettura in chiave bipolare del sistema internazionale è infatti destinata ad essere pateticamente irrealistica».
E allora, professor Colombo, qual è il crinale su cui ci si divide nel conflitto in Siria, se non è più quello del mondo bipolare di una volta?
«Credo che uno dei crinali fondamentali della questione siriana sia il riequilibrio, tuttora in corso, tra il peso delle dinamiche regionali e il peso delle dinamiche globali. La Siria è diventata una grande guerra regionale nella quale sono coinvolti anche attori extra-regionali, ma a differenza dell’epoca del 1962 gli attori extra-regionali non sono più in grado di dettare i contorni della partita. Gli Stati Uniti non sono più capaci di dire quale partita stiamo giocando. Il tentativo di rileggere quanto avviene in Medioriente alla luce del confronto tra la comunità internazionale e l’Isis è già fondamentalmente franato, di fronte a quanto accade in queste settimane. La Turchia ha la sua agenda politica, la Russia ha la propria, altrettanto l’Arabia Saudita. L’Isis è una finzione della quale, tra l’altro, gli attori regionali parlano sempre meno».
Professor Colombo, a proposito del rapporto tra dinamiche regionali e globali. Prendiamo ad esempio lo scontro tra Arabia Saudita e Iran. Ieri, fino ad un passato recente, lo scontro tra Ryad e Teheran era omogeneo rispetto al confronto Stati Uniti-Russia: Washington stava con l’Arabia Saudita e Mosca con l’Iran. Oggi non è più così. Con quali conseguenze?
«Gli Stati Uniti e i paesi europei hanno un problema, se vogliamo parlare ancora di Occidente come di un soggetto che ha una politica, anche se credo che si tratti di un soggetto che ormai non esiste più. Il problema è il seguente: mentre la Russia – nel bene e nel male – ha un’agenda politica molto chiara in Siria, sa a fianco di chi e contro chi combattere, i paesi cosiddetti occidentali si trovano in una situazione molto più complicata. Questi paesi cercano di stare contemporaneamente con attori che sulla scena regionale sono in conflitto tra loro. E’ questo il problema di fondo. La Federazione Russa è dalla parte di Assad, e quindi dalla parte dell’Iran. Gli Stati Uniti, invece, sono costretti ad essere contemporaneamente con l’Iran e l’Arabia Saudita per mille ragioni diverse. Nella partita regionale, però, l’Iran e l’Arabia Saudita sono e resteranno in conflitto. E’ una quadratura del cerchio destinata a produrre continue tensioni diplomatiche».
Nel corso della puntata di Memos è intervenuto anche l’economista Mario Pianta, dell’Università di Urbino e tra i fondatori del sito di informazione economica “sbilanciamoci.info“. Con Pianta abbiamo parlato dell’Europa di fronte alla crisi siriana, in particolare di coloro che scappano da quel conflitto e cercano riparo nel nostro continente.
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