Un fenomeno esplosivo, più che in espansione.
In Italia, l’uso dei voucher-lavoro vive una crescita inarrestabile. Nel 2015 ne sono stati utilizzati ben oltre cento milioni: quasi il 70 per cento in più rispetto all’anno prima, più del triplo rispetto al 2013.
A fronte dei dati, resta sempre molto difficile trovare chi ne ammetta l’uso stabile, se non nei casi più chiaramente legittimi.
Pagare come “occasionale” una prestazione di lavoro stabile, portarla in una zona grigia per nascondere il mare di nero in cui continua a nuotare. Secondo i sindacati è questa – con l’aiuto del Jobs act – la nuova vera frontiera del precariato mascherato. “Il Jobs act ha allargato a dismisura le tipologie e i settori in cui possono essere utilizzati i buoni lavoro” spiega al Microfono aperto Daniele Gazzòli, della segreteria Cgil Lombardia. “Sono stati allargati anche l’utilizzo medio possibile per ogni lavoratore e l’utilizzo che può farne ogni committente. Questo insieme di fattori, come denunciamo da tempo, ha fatto letteralmente esplodere la situazione”.
A segnalare l’uso quanto meno sospetto di questa misura, oggi, sono almeno due elementi: la sua estensione numerica (soprattutto in regioni ad alto tasso comprovato di lavoro nero) e la sua diffusione in quasi tutti i settori.
I dati Inps – fermi per ora al Novembre 2015 – segnalano nei primi 11 mesi dell’anno l’uso in Italia di oltre 102 milioni di buoni lavoro (nel 2014 erano 61 milioni, l’anno prima 36). Il tasso di crescita media nel 2015 è stato del 67 per cento. L’esplosione maggiore è in Sicilia (+97 per cento), le regioni meno toccate sono Friuli Venezia Giulia e Val d’Aosta. La ricca Lombardia è a +80 per cento, ben sopra la media nazionale: “Diciotto milioni e mezzo di buoni lavoro nei primi 11 mesi dell’anno – spiega ancora Daniele Gazzòli – e oltre due milioni soltanto a novembre: prevediamo che i dati finali 2015 supereranno ampiamente i 20 milioni di buoni utilizzati in Lombardia”.
L’uso dei voucher fu introdotto nel 2008 per dare alle prestazioni di lavoro cosiddette accessorie, o occasionali, copertura pensionistica e previdenziale. Negli anni è stato supportato da misure di garanzia, come il massimale annuo di pagamento possibile e la paga minima oraria. Oggi, su un buono lavoro da 10 euro acquistabile in tabaccheria (previa registrazione all’Inps), 1,30 euro vanno come contribuzione alla Gestione separata Inps, 0,70 a favore dell’Inail, 0,50 alla gestione del servizio, 7,50 al lavoratore. “Ai tempi della sua introduzione la ritenemmo un’utile forma di contrasto al lavoro nero – spiega ancora Gazzòli – e la ritengo tutt’ora, se mantenuta nei limiti giusti. L’utilizzo principale a cui era destinato inizialmente era il lavoro saltuario domestico (badanti, baby sitter, pulizie) o l’agricoltura nei suoi aspetti stagionali e giornalieri. L’aspetto positivo era tra l’altro la possibilità di essere utilizzati anche da disoccupati, cassintegrati o studenti. Poi le cose sono cambiate”.
Ai tipici settori inziali, oggi si sono affiancati gli altri: edilizia, commercio. “Oggi l’uso è davvero trasversale” dice Gazzòli, “con alcuni casi addirittura clamorosi. Ho perfino segnalazioni di municipalizzate di alcuni Comuni che hanno introdotto in modo strutturato, nel loro organico, l’utilizzo dei voucher. Magari con obiettivi ‘sociali’, ma in pianta stabile”.
Lavoro nero mascherato, sfruttamento mascherato, concorrenza sleale con chi rispetta le regole: visto così, più che un buono sembra una copertura.
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