Alberto Clò, ha una lunga storia di politico, manager e docente universitario. E’ professore di Economia industriale all’università di Bologna e da sempre è vicino all’ex presidente del consiglio Romano Prodi. Nella sua carriera, è stato consigliere di amministrazione dell‘Eni e di Finmeccanica e ministro dell’Industria nel Governo Dini, a metà anni 90.
Attualmente dirige la rivista Energia e continua la sua attività di docente universitario. In questa campagna elettorale è ferocemente schierato contro i No Triv che accusa di mistificazioni, contro i “sedicenti ecologisti” e contro chi in politica utilizza “in malafede il referendum in modo demagogico e populista”.
“E’ un’occasione sprecata. Non mi sembra che nel dibattito su questo referendum si sia rispettata la condizione necessaria al rispetto della volontà popolare, e cioè che si discuta davvero del merito del quesito. Si è parlato di tutto fuorché di quello”.
Parliamone allora…
Il quesito parla della possibilità che le concessioni possano essere prorogate per la durata della vita utile del giacimento. Cioè che sia data la possibilità all’impresa che svolge questa attività di prolungare l’attività stessa fino all’esaurimento del giacimento. Perché è giusto che questa possibilità ci sia? Quando si ha una concessione si fa una valutazione sommaria delle risorse di petrolio o di metano. Poi è possibile, con la maggior conoscenza del giacimento, che l’impresa ritenga che ci sia ancora una possibilità estrattiva. Non si parla di nuove trivellazioni, questa è una misitifcazione. Si tratta solo di dire: è utile o no estrarre ciò che si è scoperto? Non solo per l’impresa ma anche per il Paese. Io ritengo che sia utile. Non siamo un Paese talmente ricco da potersi permettere di non sfruttare le riserve di idrocarburi che ha ricercato.
Veramente nessuno dice che ce ne saranno di nuove, ma che non mettere alcun termine è un regalo alle imprese…
Macché regalo! Allora se la mettiamo su questo piano l’alternativa secca è: facciamo un regalo alle imprese che operano in Italia o lo facciamo alla Libia? Perché l’alternativa – e questa è un’altra grande falsità – non è tra la produzione interna di idrocarburi e le rinnovabili. E’ una mistificazione che può essere spiegata solo con la totale ignoranza della materia o con la faziosità.
E qual è allora l’alternativa?
Il petrolio viene usato nei trasporti. E non c’è nessuna alternativa rinnovabile, tranne i biocarburanti, che pure sono contrastati dai sedicenti ecologisti. Le rinnovabili sono per definizione discontinue. Si produce elettricità da vento quando tira il vento. E quando non c’è, non è che accettiamo che si spenga l’illuminazione. E’ necessario che intervengano le centrali a metano. La vera alternativa è che non produrre significa importare di più. E da chi? Dalla Libia, dall’Algeria, dall’Iraq, e così via. Importare significa versare all’estero che altrimenti andrebbero alla crescita interna. Lo scorso anno noi abbiamo pagato una bolletta energetica da 35 miliardi di euro.
Mi scusi, ma perché non puntare a un cambio di passo, a un maggiore investimento in rinnovabili?
Allora lei non è molto informato. L’Italia è il primo o secondo Paese al mondo per la produzione di rinnovabili. Ma di cosa stiamo parlando? E poi perché produrre petrolio dovrebbe voler dire rinunciare alle rinnovabili? Non è affatto vero. Si dica però anche che le rinnovabili costano sulle tasche dei consumatori in sussidi, ripeto sussidi, 13 miliardi di euro. Pochissime imprese incassano altissimi guadagni, hanno una redditività spaventosa. Questi non sono forse regali? Sono imprese private, poche, che guadagnano profitti straordinari pagati da tutti noi. Non mi si dica che la lobby petrolifera è forte e quella delle rinnovabili: non lo è! Semmai è il contrario…
Lei pensa anche che ci siano rischi per l’industria italiana se vincesse il Sì?
Si tratta dell’industria che produce beni e servizi per le imprese estrattive. E’ un’industria che ha un’antica tradizione nel nostro Paese ed è straordinariamente fiorente. In Emilia ad esempio abbiamo il distretto di Parma e Piacenza o il distretto di Ravenna. Sono imprese tecnologicamente molto avanzate e operano in tutto il mondo. Queste imprese avrebbero un contraccolpo tremendo dalla vittoria del Sì. In questo periodo sono già in crisi, stanno già licenziando per la caduta del prezzo del petrolio. Sono in difficoltà e questo referendum gli darebbe il colpo definitivo. Qui stiamo rischiando di distruggere un altro comparto della nostra industria. Certo, c’è chi vorrebbe chiudere l’Ilva, allora chiudiamo anche la siderurgia!
L’Italia è anche il Paese dove il ministro dello Sviluppo si è dimesso per i suoi rapporti con i petrolieri…
Se lei mi vuole trascinare su altri terreni, parliamo d’altro….
Ma il contesto conta…
Non possiamo mica – perché c’è stata questa vicenda disdicevole – negare che abbiamo una tradizione che garantisce il rispetto delle regole; e i controlli sulla sicurezza ci sono. Purtroppo prevalgono populismo, demagogia, falsità. E la politica va dietro a queste mistificazioni. Ormai i No Triv hanno vinto. Sa l’anno scorso quanto è stata l’attività di esplorazione? Zero, niente. Fino a qualche mese fa c’erano 16 miliardi di progetti di investimento, cantierabili il giorno dopo, pagati dalle imprese e non dai cittadini come nel caso delle rinnovabili: di questi, dieci miliardi se ne sono già andati. Per timore del referendum e dell’uso politico che se ne sta facendo.
Ha fatto bene Renzi a invitare all’astensione?
Ritengo che anche l’astensione sia un diritto. Se andrò a votare, voterò sicuramente No. Dipende se sarò a Bologna….