Poche ore fa dalla Libia è arrivata notizia dell’uccisione di 30 migranti. La strage sarebbe una rappresaglia per la morte di un trafficante. Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ne ha parlato a Radio Popolare.
L’intervista di Andrea Monti.
30 migranti sono stati uccisi da trafficanti in Libia a Mezdah, una città a sud-ovest di Tripoli. Pare che un trafficante sia stato ucciso da un migrante ci sia stata una vendetta da parte dei trafficanti che hanno fatto un massacro: hanno ucciso 30 persone, di cui pare 26 bengalesi e quattro africani. Ci sono stati anche 11 feriti, poi portati in ospedale.
Questo dimostra la situazione drammatica in cui vivono i migranti in Libia in questo momento e non da oggi purtroppo. Questa è veramente una strage senza precedenti. Una uccisione del genere non la ricordo nell’ultimo anno, ma anche negli anni precedenti si era parlato di migranti uccisi dai trafficanti quando cercavano di sfuggire dai vari centri di detenzione non ufficiali. Però questa è una notizia confermata e sicuramente gravissima.
Negli ultimi mesi la situazione in Libia è peggiorata?
La situazione in Libia sta costantemente peggiorando perché il conflitto continua ed è ancora più duro. I migranti e i civili che vivono nella zona di Tripoli vivono in situazioni disperate. La Libia in questo momento non può essere considerato un Paese sicuro ed per questo che noi diciamo sempre che i migranti che partono dalla Libia cercando di raggiungere l’Europa non possono essere rimandati in Libia. Purtroppo, invece, quest’anno addirittura 4.000 migranti sono stati riportati in Libia dalla Guardia Costiera libica e il dramma è che questi migranti, molto spesso, vengono portati in centri di detenzione non ufficiali dove noi, come organizzazioni, non possiamo entrare.
Non sappiamo che fine facciano questi migranti e sappiamo per certo che molti di questi migranti da questi centri sono venduti ai trafficanti. E poi ecco quello che succede: stragi come quella dell’altro giorno.
Nelle ultime settimane sembra esserci stato un aumento delle partenze dalla Libia. Qual è, dal vostro punto di vista, la situazione in quella parte del Mar Mediterraneo?
È grave. È grave perchè, come dicevo, le persone che partono vengono riportate in un Paese dove i migranti non solo devono subire il conflitto, ma sono anche loro stessi particolarmente vittime di violenze, abusi e torture. Sappiamo che ultimamente le partenze si sono concentrate soprattutto nella zona di Zliten, ad est di Tripoli e meno controllata dal governo di al-Sarraj. Molto spesso si parte da lì e si arriva direttamente verso Malta e anche lì abbiamo visto come Malta si sta comportando ultimamente: non sta facendo sbarcare sulla propria isola i migranti. Adesso ci sono 400 persone al largo di Malta a bordo di vari traghetti commerciali tenuti là da Malta senza possibilità di sbarcare.
Noi abbiamo anche sollevato il problema che alcuni pescherecci o alcuni mercantili stanno riportando indietro persone in Libia, creando delle operazioni assolutamente illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Si tratta di respingimenti che non è possibile fare perché la Libia è un porto non sicuro. Diciamo che in questo momento ci vorrebbe un po’ più di apertura da parte degli Stati europei, perché le partenze ci sono, ma non è niente di paragonabile a quello che abbiamo visto qualche anno fa. In Italia sono arrivate 4.838 persone, 4.000 sono state rimandate indietro dalla Guardia Costiera libica, ma non sono numeri assolutamente paragonabili con quello che vedevamo due o tre anni fa. Non è un’emergenza in termini numerici, ma è un’emergenza in termini umanitari. La gente scappa da una guerra, la gente rischia di morire in mare perché di fatto non ci sono più controlli e non ci sono più pattugliamenti come una volta per salvare le persone in mare. La situazione è veramente grave da un punto di vista umanitario.
Dopo anni di lotta alle ONG, a chi è affidato in questo momento il salvataggio dei migranti?
C’è chiaramente un vuoto. I salvataggi vengono operati a chiamata dalle Guardie Costiere, dalle Marine o dalle imbarcazioni che si trovano in zona, però di fatto non ci sono veri pattugliamenti come c’erano qualche anno fa. Sappiamo che i migranti hanno difficoltà dopo 10-11 ore dalla partenza dalle coste libiche, quindi quando sono in alto mare e ben lontani dalle coste italiane o maltesi. E lì il pattugliamento non c’è.
Sappiamo che quest’anno nel Mediterraneo centrale ci sono stati 268 morti, ma può darsi che ci siano stati dei naufragi di cui nessuno è venuto a conoscenza.
Le persone che sono in Libia e che ci vengono riportate sono esposte anche ad un forte rischio di contagio da coronavirus?
Tra i migranti arrivati fino adesso e che sono stati messi in quarantena dal governo italiano e altri che sono arrivati in questi mesi non abbiamo finora avuto casi di COVID. Detto questo, la situazione in Libia è preoccupante perché, trattandosi di un Paese già in conflitto, un’eventuale diffusione del COVID porterebbe ad ancora più difficoltà perché la Libia non è un Paese in grado di sostenere una crisi del genere. I migranti, soprattutto quelli in detenzione, rischiano di essere anche vittime di questo ulteriore pericolo.
Siamo anche preoccupati dal fatto che dalla Tunisia stanno arrivando molte ragazze ivoriani che, come abbiamo dimostrato l’anno scorso in un rapporto pubblicato ad ottobre, molto spesso sono potenziali vittime di tratta.
Foto dalla pagina Facebook dell’OIM – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo