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- Tratto dal podcast Cultura |
Ci ha lasciati il grande filosofo Emanuele Severino, scomparso a Brescia all’età di 90 anni lo scorso 17 gennaio e reso noto soltanto in queste ultime ore per sua espressa volontà.
Noi di Radio Popolare vogliamo ricordare Emanuele Severino, uno dei più grandi filosofi, scrittori e intellettuali, insieme a Stefano Moriggi, a sua volta filosofo, saggista e autore. L’intervista di Ira Rubini a Cult.
Emanuele Severino è stato così grande da essere maestro anche di chi non è riuscito a conciliarsi con le apparenti contraddizioni, ma con al contempo il rigore logico e teoretico del suo pensiero. Io sono tra quelli. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, di incontrarlo più volte e di discuterci in pubblico e in privato. In Emanuele ho sempre trovato una capacità di ascolto oserei dire sorniona, perché
indagava attentamente le tue osservazioni per tentarne e dimostrarne poi le contraddizioni alla luce del suo pensiero. E lo faceva con un rigore e con una onestà intellettuale che difficilmente ho riscontrato altrove. E anche da questo punto di vista è stato un grande maestro.
Un grande maestro che ha sempre avuto anche a cuore un’idea molto precisa di cultura e di trasmissione della cultura.
Assolutamente sì. Questa è stata una delle sue maggiori attenzioni. Anche chi non si occupa professionalmente di filosofia sa che il pensiero di Severino e i libri di Severino non sono immediatamente comprensibili, richiedono un impegno, un’attenzione e una concentrazione clamorosa. Eppure lui non ha mai ceduto alla banalizzazione e ha sempre ha tentato di portare il rigore di questo suo pensiero che viene da lontano e che pesca dalle radici della cultura greca la sua matrice culturale, per mostrare anche la scena del contemporaneo alla luce di uno sguardo così antico. Per quanto questo suo tentativo di comunicazione fosse difficile e per certi versi drammatico, non ci ha mai rinunciato e ci ha sempre interrogato mettendoci di fronte a quelle aporie che vengono così da lontano, da una Grecia aristotelica e pre-platonica, ma che lui sapeva rendere così esplosive da farle riemergere, per esempio, nell’analisi della questione della tecnica o dell’analisi di un capitalismo riletto alla luce della tecnica. O, ultimamente, dell’emergere in contesti più politici del populismo.
Anche il teatro è sempre stato molto caro ad Emanuele Severino. Ricordo la straordinaria trilogia messa in scena da Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah sulla base delle traduzioni di Severino.
A proposito di questo ricordo una presentazione dei Sentieri Interrotti di Heidegger, ripubblicati dall’editore Bompiani, in cui Severino si confrontò con altri grandi maestri della filosofia italiana come Gianni Vattimo, Franco Volpi e Massimo Cacciari. In quell’occasione per proporre la sua lettura polemica della filosofia di Heidegger in teatro usò il teatro. Il suo modo di concepire o rileggere la questione filosofica a lui carissima, quella dell’essere parmenideo, trovava nel linguaggio nella messa in scena teatrale una metafora che il rigore della filosofia pareva non avere ai suoi occhi. E tentava di sostenere le sue tesi, a volte così impenetrabili per i più, usando il teatro come metafora per raccontare l’apparire dell’essere nella sua eternità. E questo credo che sottolinei l’importanza dell’attenzione di Severino per il teatro anche come strumento per fare tecnicamente filosofia.