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Stanley Greene – Una vita a fuoco. Di Jean-David Morvan e Tristan Fillaire

Stanley Greene - Una vita a fuoco. Di Jean-David Morvan e Tristan Fillaire

Come si diventa fotografi di guerra? Nel caso di quello che è stato considerato una rockstar del fotogiornalismo mondiale, l’americano Stanley Greene, succede un po’ per caso. Non è un caso, però, se poi si continua ad esserlo, camminando continuamente su una corda tesa, con il rischio di cadere. Se un ragazzo di Brooklyn, ex pantera nera, ex tossico, ex fotografo della scena punk americana diventato poi anche famosissimo fotografo di moda, decide di vivere una vita sulla lama di un rasoio, lo fa anche guidato dalla rabbia. Rabbia contro l’odio, che si traduce in voglia di far vedere al mondo cosa quell’odio produce, in ogni angolo del pianeta. O almeno, è quello che ci racconta la voce dello stesso Stanley Greene dall’oltretomba. Come la immagina lo sceneggiatore Jean-David Morvan in questo graphic novel biografico, che mescola i disegni di Tristan Fillaire e alcune delle foto più e meno famose di Greene. Partendo dai suoi scatti della caduta del muro di Berlino, dove si trovava casualmente, invitato da un amico e giornalista francese, il libro ripercorre con salti temporali e geografici la sua vita al limite, per cui anche i suoi colleghi lo consideravano un tipo un po’ sballato. Una vita che lo porterà nella Casa Bianca di Mosca nell’ottobre del ’93, sotto il fuoco dei carriarmati dell’esercito comandato da Boris Eltsin. In Iraq, in Somalia, nei Balcani, in Sud Sudan o in Libano ma anche in Ruanda durante il genocidio, a New-Orleans dopo l’uragano Katrina e in Siria nel
2013, prima di morire malato e poverissimo a Parigi nel 2017, a 68 anni.

Greene ha anche passato moltissimo tempo in Cecenia, documentando tra l’altro l’orrore dell’assedio di Grozny. Il titolo in francese di uno dei suoi libri più famosi, Plaie à vif : Tchétchénie 1994-2003, ha ispirato quello di questo graphic novel, che in francese si chiama Stanley Greene, une vie à vif e che i tipi di Becco Giallo hanno tradotto in italiano con: Una vita a fuoco. Nella traduzione si perde il senso di “ferita aperta” dell’originale ma mi piace ricordarlo qui. Perché anche se la successione di foto e di storie che costruiscono questo libro non è cronologica e può confondere chi non conosce o non coglie certi riferimenti, l’impressione è che il racconto sia costruito proprio per strappi. Che come l’otturatore di una macchina fotografica mettono a nudo delle piaghe dolorose e putrescenti della storia moderna.

Importantissima, per questo, l’appendice. Con i titoli, le date e soprattutto le didascalie di tutte le foto apparse nel romanzo. Per Greene, come per il suo mentore Eugene Smith, le didascalie sono fondamentali: bisogna dire chi sono e dove sono le persone sulle foto. In un certo senso, fa parte dei doveri di un fotografo che crede nell’onestà del suo lavoro, come ci ha sempre creduto lui.

Stanley Greene – Una vita a fuoco. Di Jean-David Morvan e Tristan Fillaire. Traduzione di Stefano Andrea Cresti. 128 pagine a colori. Becco Giallo, 21 €

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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