![Stanislav Petrov ANSA](https://www.radiopopolare.it/wp-content/uploads/2023/09/Stanislav-Petrov-ANSA.jpg)
Ogni volta che un giornalista cercava di raggiungerlo nel sobborgo moscovita dove abitava, le sue risposte erano secche e scocciate: “Ero solo al posto giusto al momento giusto”. Ed effettivamente, Stanislav Petrov, esattamente 40 anni fa, era proprio al posto giusto nel momento giusto. Un momento, la notte tra il 25 e il 26 settembre del 1983, che poteva essere tremendamente sbagliato, non solo per Petrov, ma per il mondo intero.
Stanislav Petrov è morto nel 2017, a 77 anni, ma quella notte di 40 anni fa, era di turno a Serpukhov-15, una base militare top secret nascosta nelle fitte foreste a sud di Mosca. Il suo compito era sorvegliare l’attività di un sistema di allerta sovietico che doveva rilevare l’eventuale lancio di missili nucleari da parte degli Stati Uniti. Durante la guerra fredda, l’idea di un attacco nucleare era qualcosa di estremamente concreto e, dunque, la reattività era massima.
Solo tre settimane prima, i russi avevano abbattuto un jet di linea coreano con 269 passeggeri a bordo, tra cui un deputato statunitense e altri 60 americani, dopo aver erroneamente sospettato che fosse un aereo spia. L’incidente aveva portato la tensione tra i due blocchi ai livelli più alti dalla crisi dei missili di Cuba. Per questo, quando a mezzanotte e un quarto il sistema di monitoraggio che Petrov controllava iniziò a suonare, il comando di turno a Serpukhov-15 pensò al peggio.
Il sistema di controllo si chiamava Oko ed era stato pensato come un programma di allerta precoce per rispondere prontamente a eventuali attacchi. Il sistema era composto da alcuni satelliti posizionati in orbita con dei radar, in grado di rilevare lanci di missili da determinati punti sotto osservazione. Da protocollo, in caso di allarme, Petrov avrebbe dovuto avvertire immediatamente i superiori, che avrebbero proceduto con il contrattacco. Per essere chiari, un contrattacco nucleare. A mezzanotte e 15 del 26 settembre, Oko segnalò la partenza di un missile balistico intercontinentale, e di altri quattro subito dopo, da una base militare di Malmstrom, in Montana.
Petrov, però, aveva contribuito a sviluppare il software di Oko, e sapeva che potevano verificarsi errori e malfunzionamenti. In più, cinque missili sembravano pochi per avviare uno scontro nucleare tra Russia e Stati Uniti. Poteva essere un falso allarme, ma a causa del meteo nuvoloso, era impossibile verificarlo in altro modo. Stanislav Petrov, quindi, doveva prendere una decisione: avvisare i superiori dando il via ad un contrattacco nucleare, e quindi verosimilmente alla terza guerra mondiale, oppure andare contro il protocollo rischiando di far subire al suo paese un attacco nucleare.
“A quel punto ho preso la mia decisione” ha raccontato 10 anni fa Petrov alla BBC “ho chiamato il mio superiore e ho detto che si trattava di un falso allarme, ma non ne sono stato certo fino all’ultimissimo momento. Mi era perfettamente chiaro che se avessi commesso un errore nessuno sarebbe stato in grado di correggerlo”.
Alla fine, l’intuizione di Petrov si è rivelata corretta e – anche se non possiamo dirlo con certezza – c’è un’elevata probabilità che la sua decisione abbia salvato il mondo. Quando fu chiaro cosa era successo, i suoi colleghi lo chiamarono eroe e Petrov per festeggiare – come raccontò poi anni dopo – bevve mezzo litro di vodka “come se fosse un bicchiere”, dormì per 28 ore e tornò al lavoro. I suoi colleghi per ringraziarlo gli regalarono una piccola Tv portatile made in Russia.
Quello fu l’unico riconoscimento che Petrov ricevette per molti anni. In perfetto stile sovietico, quanto accaduto venne nascosto e anzi, dopo poco tempo subì approfonditi interrogatori da parte delle autorità sovietiche, che misero in discussione la legittimità delle sue decisioni. Forse aveva salvato il mondo, ma aveva contraddetto il protocollo. Un gesto di coraggiosa indipendenza intellettiva che in pochi, forse, avrebbero compiuto al suo posto. In fondo, quindi, Petrov o – come viene ricordato da qualche anno – “l’uomo che salvò il mondo – aveva ragione: era solo al posto giusto al momento giusto.