Il datore di lavoro può leggere i messaggi privati che il dipendente invia durante le ore di lavoro attraverso un account email o una chat. Ciò non viola necessariamente il diritto alla privacy. Lo ha stabilito la Corte europea per i Diritti umani, con una sentenza che fa giurisprudenza per tutti gli Stati aderenti – compresa l’Italia – e che farà discutere.
La Corte si è pronunciata sul ricorso di un ingegnere rumeno, Bogdan Barbulescu. Nel 2007 il suo datore di lavoro aveva letto i messaggi privati che il professionista inviava alla fidanzata e al fratello tramite una chat di Yahoo Messanger, aperta per uso professionale. Il lavoratore era stato subito licenziato, perché, secondo il suo datore di lavoro, violava la disposizione aziendale che vietava di inviare messaggi privati durante le ore di lavoro.
L’ingegnere aveva dapprima fatto ricorso alla giustizia rumena, perdendo la causa. Ha dunque deciso di rivolgersi alla Corte europea per i Diritti umani. La Corte ha stabilito che in questo caso il datore di lavoro non ha violato la privacy del dipendente, perché quando ha letto i messaggi pensava che la chat venisse usata per ragioni di lavoro. Inoltre, non ha aperto altri documenti che l’ingegnere aveva sul computer. Infine, a parere dei giudici europei, il datore di lavoro ha il diritto di verificare che i dipendenti svolgano i compiti loro assegnati durante le ore di lavoro.
In questo caso specifico inoltre, il datore di lavoro aveva avvisato che i messaggi inviati dai dipendenti tramite il computer aziendale sarebbero stati verificati. L’ingegnere, tramite il suo avvocato, ha negato di essere stato informato, ma la Corte ha creduto all’azienda.
La decisione dei giudici europei aprirà sicuramente un dibattito, anche perché lascia aperte varie questioni importanti: che cosa succede se il datore di lavoro viola coscientemente un account privato del dipendente? E se i messaggi sono inviati tramite un dispositivo (telefono, computer) che non è di proprietà dell’azienda? Che cosa succede se il datore di lavoro non avvisa prima che i messaggi email e chat verranno controllati?
A questo proposito, uno degli otto giudici europei ha espresso il suo dissenso rispetto alla decisione dei colleghi, spiegando che un bando completo dell’uso personale di internet durante le ore di lavoro non è accettabile. E il datore di lavoro dovrebbe spiegare chiaramente ai dipendenti la sua politica di controllo: se e quando intende controllare le comunicazioni che partono dai loro telefoni e computer.
“ Quello dell’ingegnere rumeno è un caso specifico di un lavoratore che nelle ore di lavoro faceva altro”, ha avvertito il garante italiano della Privacy, Antonello Soro, in una intervista. “L’azienda ha prima riscontrato una caduta verticale della produttività. Poi è andata a verificare quale fosse la causa. In Italia non è ammissibile un’intercettazione sistematica delle telefonate di lavoro del dipendente da parte dell’azienda”.
In realtà, il Jobs Act estende di molto i poteri del datore di lavoro in materia di controllo a distanza dei dipendenti, in modo spesso contraddittorio rispetto alle esigenze di tutela della privacy.
Il Jobs Act infatti permette la possibilità di controllo a distanza del lavoratore senza necessità di accordo con i sindacati o autorizzazioni, se lo strumento in dotazione del dipendente (telefonino, pc o tablet) è uno strumento di lavoro.