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Spagna, Sánchez pronto a lanciare una campagna per contrastare l’agenda xenofoba dell’estrema destra

Pedro Sánchez

Settimana scorsa, il presidente del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijoo, è stato a Roma per discutere di immigrazione con Giorgia Meloni. Pochi giorni prima, si era riunito ad Atene con il premier greco Kyriakos Mitsotakis per affrontare lo stesso tema.

Questi due viaggi fanno parte della strategia della destra spagnola di trasformare la crisi migratoria delle isole Canarie in un nuovo fronte di attacco contro il governo progressista di Sánchez. Prima, i governatori regionali del Partido Popular si sono rifiutati di accogliere i migranti dalle Canarie. Poi, nel Parlamento di Madrid, il partito ha votato contro una riforma migratoria che avrebbe facilitato i trasferimenti dei migranti. Ora, Feijoo accusa Sánchez di non fare nulla per contrastare l’immigrazione, a differenza di altri leader progressisti come il britannico Keir Starmer, che ha viaggiato a Roma per studiare le politiche di Meloni, o il tedesco Olaf Scholz, che ha deciso di chiudere le frontiere. Due premier progressisti che hanno scelto la linea dura sull’immigrazione.

Per comprendere il cambiamento di rotta del Partido Popular di Feijoo, basta ricordare che ad aprile il partito aveva votato a favore della regolarizzazione di 400.000 migranti irregolari.

Il viaggio di Feijoo a Roma ha anche un’altra implicazione: gli spagnoli rappresentano il gruppo più numeroso all’interno del Partito Popolare Europeo. Averli come alleati è vantaggioso ora che Meloni ha scelto di far parte della maggioranza Ursula. Probabilmente, inoltre, alla premier italiana farà piacere mettere in difficoltà i suoi ex alleati di Vox su un tema come l’immigrazione, soprattutto dopo il “tradimento” dello scorso luglio, quando Vox ha lasciato il gruppo di Meloni per unirsi a quello di Viktor Orbán e Marine Le Pen. E si sa, il tradimento tra alleati non si dimentica né si perdona.

La svolta anti-immigrazione del Partido Popular, rafforzata dalle immagini degli sbarchi alle Canarie, sta già avendo un impatto sulla società spagnola, come confermato da un recente sondaggio del CIS, il Centro di Studi Sociali spagnolo. In pochi mesi, infatti, l’immigrazione è passata dal nono al primo posto tra le principali preoccupazioni degli spagnoli.

Il campanello d’allarme nel governo di Pedro Sánchez è arrivato però con il rapporto del Centro di Ricerca Sociologica, che ha registrato l’impennata dell’immigrazione tra le principali preoccupazioni dei cittadini in soli tre mesi.

Nel governo spagnolo è chiaro che è necessaria una battaglia culturale sull’immigrazione, per contrastare l’ipocrisia dell’estrema destra, secondo cui l’immigrazione è un fenomeno esclusivamente negativo.

A settembre, Sánchez ha nominato due giovani accademici, esperti in nuove tecnologie e in estrema destra, alla guida del suo ufficio di gabinetto. Questo è un primo passo verso una strategia che però ancora non ha contorni ben definiti. Uno dei concetti su cui si sta lavorando è la distinzione tra l’emergenza umanitaria – gli sbarchi – e il fenomeno migratorio più ampio, considerato imprescindibile per le economie sviluppate occidentali e sostenuto da gran parte del mondo imprenditoriale.

A ottobre, Sánchez terrà un discorso al Parlamento spagnolo, dove cercherà di delineare questa strategia e provocare una reazione del mondo progressista, come è già avvenuto in Francia, con la vittoria del fronte popolare.

Ma a Madrid tutti sono convinti che molto dipenderá dallo scenario internazione e dal risultato delle elezioni americane. La sconfitta di un lider xenofobo come Trump potrebbe assestare un colpo durissimo al movimento reazionario mondiale.

  • Autore articolo
    Giulio Maria Piantadosi
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    È sempre più in bilico la tregua a Gaza. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che la decisione presa all'unanimità dal governo è che "se Hamas non restituisce gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno", senza specificare il numero, "il cessate il fuoco verrà interrotto e l’esercito tornerà a combattere. Netanyahu ha anche detto che "alla luce dell'annuncio di Hamas della sua decisione di sospendere il rilascio degli ostaggi, ha ordinato alle Idf di radunare le forze dentro e intorno alla Striscia di Gaza". Le dichiarazioni di Netanyahu seguono quelle di Trump, che ha minacciato “l’inferno” se Hamas non libererà TUTTI gli ostaggi sabato, anche se secondo gli accordi era previsto il rilascio solo di 3 ostaggi. Il rischio della ripresa della guerra si unisce anche al piano di Donald Trump di svuotare la striscia di Gaza. Oggi ha ricevuto a Washington il Re di Giordania, che – insieme all’Egitto – è uno dei paesi individuati da Trump per accogliere i palestinesi espulsi da Gaza. Sia Amman che Il Cairo hanno rigettato la proposta, e Trump ha minacciato di tagliare i fondi a questi due paesi, in violazione anche degli accordi di Camp David del 1979. Sentiamo Eric Salerno, giornalista e scrittore esperto di Medio Oriente:

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