Martedì 29 e mercoledì 30 marzo in numerose sale cinematografiche di Milano e hinterland (elenco e indirizzi su www.barcadreams.it) verrà proiettato Barça Dream – la vera storia del FC Barcelona.
È un lavoro, diretto da Jordi Llopart, incentrato su una squadra di calcio, il Barcellona. Straordinarie riprese in slow motion alternate a interviste ai suoi campioni (da Lionel Messi a Pep Guardiola, senza tralasciare Johan Cruyff) raccontano la storia di quello che è “mas que un club”, più che un club. Il lavoro di Llopart dimostra che questo non è solo un motto. Il FC Barcellona non è una squadra qualsiasi, e proprio per questo ha una storia che può interessare anche chi in genere, quando sente parlare di pallone, volta le spalle.
Barça Dream racconta perché il FC Barcellona per la Catalogna non è solo una squadra di calcio, ma un’entità sociale che accetta, sostiene e riflette i desideri del popolo catalano. Non una realtà politica (in quanto partito), ma patriottica. E come tale non guida, ma segue quello che chiedono i tifosi. Ovviamente, è un discorso complesso perché la scelta di riflettere la volontà del popolo catalano implica una decisione politica rilevante.
Riavvolgendo il nastro della storia del Barça ci si rende conto che il club è stato coinvolto in questioni politiche sin dalla sua fondazione. Fu fondato nel 1899 da Joan Gamper, svizzero ma catalano di adozione. Nel 1908 divenne presidente, prendendo il timone di un club sull’orlo del fallimento. Arrivarono vittorie e trofei, ma quando il 24 giugno 1925 i tifosi dei blaugrana fischiarono l’inno nazionale spagnolo la dittatura di Primo de Rivera impose la chiusura dello stadio e Gamper venne espulso dalla Spagna.
Ancora peggio andò a Josep Sunyol i Garriga, membro della Sinistra Repubblicana di Catalogna e presidente del Barcellona dal 1935: fu fucilato dalle truppe franchiste nell’agosto del 1936. Negli ultimi anni di Franco (anni in cui il catalano poteva essere parlato solo all’interno dello stadio), sotto la presidenza di Agustí Montall figlio, il club recuperò i simboli della sua catalanità, a partire dal vecchio nome, FCB (Fútbol Club Barcelona), che la dittatura aveva stravolto in CFB (Club de Fútbol Barcelona). Inoltre, il Presidente introdusse il catalano nel bollettino ufficiale del club, così come negli annunci allo stadio e nella tessera di socio. In considerazione di tutto ciò è inevitabile che il Barça sia uno dei simboli dell’indipendentismo. Quando sul finire del XIX secolo Gamper, in compagnia di alcuni amici inglesi, fondò l’ FCB il calcio in Spagna praticamente non esisteva (il Real Madrid Club de Fútbol sarebbe nato solo qualche anno dopo).
Fin dalla nascita quindi il Barcellona si presentò come un elemento esterno alla cultura spagnola. Uno sport nuovo, giovane, impiantato da stranieri, appassionati, in una realtà diversa. Lo sport di massa da sempre è uno dei principali megafoni della società e, inevitabilmente, la persecuzione di qualsiasi forma di catalanismo durante i quarant’anni di dittatura franchista determinano una proiezione ancora maggiore del sentimento nazionalista catalano sul club calcistico. È l’istituzione sportiva a farsi carico dei valori, delle ambizioni, delle pulsioni politiche di una massa sociale che ha bisogno di fare gruppo, collettività, attorno ad un’idea identitaria contraria a quella dominante (se si vuole un altro esempio, si pensi a quanto è accaduto negli stadi dell’ex Jugoslavia prima delle guerre degli anni novanta). Questo ruolo del Barcellona è evidenziato anche dalla differenza che, durante gli anni dell’emigrazione interna alla Spagna degli anni ’60-’70, divide i suoi tifosi da quelli dell’altra squadra cittadina, l’RCD Espanyol.
Illuminante quanto scrive Manuel Vázquez Montalbán, figlio di lavoratori della Galizia andati a cercare fortuna in Catalogna: “Il Barça è stato il simbolo della posizione politica della borghesia nazionale e della piccola borghesia catalana sino alla guerra civile; successivamente, è stata l’unica forma di espressione ellittica di un insieme di sentimenti. La prova principale di questa affermazione risiede nel fatto che gli immigrati integrati sono tifosi del Barça, quelli non integrati, dell’Espanyol”.
In sostanza il FC Barcelona è la bandiera di una nazione priva di Stato che accetta cittadini di ogni luogo che ne abbracciano gli ideali autonomisti e anti-centralisti. Una bandiera che continua a sventolare anche dopo la caduta del franchismo. Pur partecipando alla lega calcistica spagnola, il Barça mantiene la sua forte opposizione verso la capitale e la sua squadra. La sfida calcistica più importante, sia come valori calcistici e sportivi che come valori politici, è infatti il Clasico, la sfida tra Barcellona e Real Madrid. Da una parte una compagine forte e assortita di Galacticos (i giocatori del Real), che in comune hanno solo il fatto di essere grandi giocatori con la voglia di vincere, versus la famiglia, la collettività, la coesione attorno ad una identità blaugrana.
Per spiegare questo concetto Barça Dream documenta l’importanza della masía (parola catalana che sta ad indicare un casolare di campagna, tipico della Catalunya ed è un simbolo della semplicità rurale). È il settore giovanile del Barça, dove giovanissimi futuri calciatori convivono, studiano e si allenano seguendo la stessa impostazione dei ragazzi più grandi, imitando il modello della prima squadra. Giovanissimi calciatori catalani in prevalenza, ma non solo (basti pensare all’argentino Messi, entrato nella masía giovanissimo ed oggi uomo simbolo dei blaugrana). Il rapporto con i ragazzi della masía non termina quando appendono le scarpe a un chiodo: molti vengono reintegrati nello staff tecnico, come osservatori, vice-allenatori, allenatori… Si pensi a Pep Guardiola, al defunto Tito Vilanova e a Luis Enrique, divenuti allenatori del Fc Barcelona dopo aver militato come giocatori nelle loro fila.
Emblematico è il caso di Johan Cruijff: arrivato negli anni settanta in Catalogna (come abbiamo evidenziato l’apertura verso l’esterno è un tratto distintivo del DNA del club), con il Barça vince da giocatore e da allenatore. Ma fece anche di più: decise di chiamare suo figlio Jordi, in onore del santo patrono della Catalogna (e siccome i nati a Barcellona, sotto la dittatura di Franco, non potevano essere chiamati con nomi catalani, decise di far nascere Jordi ad Amsterdam).
Barça Dream racconta tutto questo, documentando che il calcio non è solo il gioco di 22 uomini in pantaloncini corti che corrono dietro un pallone. C’è un aneddoto che non ha fatto in tempo a raccontare, legato alla scomparsa, pochi giorni fa, di Johan Cruyff. Con la sfacciataggine che lo aveva sempre contraddistinto il campione olandese aveva dichiarato di essersi portato in vantaggio 2-0 contro il cancro ai polmoni scoperto pochi mesi prima. Pochi giorni dopo Messi tirò un rigore in modo molto singolare, appoggiando sulla destra il pallone per l’accorrente Suarez. Mentre il mondo insultava la pulce argentina per un gesto considerato irriverente Cruyff, intervistato il giorno successivo, dichiarò di essersi emozionato: quel colpo di genio, anni prima, l’aveva “inventato” lui. Un tributo che in pochi hanno capito. Roba da giocatori del Barça…
“Barça Dreams – la vera storia del FC Barcelona”
di Jordi Llopart distribuito da QMI/Stardust. Voce narrante Pierluigi Pardo
Al cinema il 29 e 30 marzo. L’elenco di tutte le sale cinematografiche sul sito www.barcadreams.it
L’intervista a Pierluigi Pardo, voce narrante del film