La guerra siriana va avanti da sei anni, e al momento nessuno sembra avere la chiave per fermarla. Alla vigilia dei colloqui di Ginevra il mediatore delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, ha detto che anche questa volta non dobbiamo aspettarci un grosso passo in avanti. In sostanza nessun accordo politico. In effetti sia dal punto di vista diplomatico che da quello militare non ci sono le condizioni per un compromesso.
Per assurdo sarebbe stato più facile trovare un accordo un anno fa, quando i combattimenti erano molto più intensi. Adesso gli equilibri sono cambiati. Il regime ha riconquistato Aleppo e punta a riprendere il controllo di tutto il Paese, con le incognite del territorio controllato dall’ISIS a est e dai curdi a nord. I ribelli, divisi e indeboliti, continuano invece a chiedere l’uscita di scena di Assad. Si dicono pronti a negoziare una transizione ma solo se questa non includerà l’attuale presidente. Due posizioni tra le quali è impossibile mediare.
A indebolire ancora di più l’opposizione c’è poi l’atteggiamento di uno dei suoi sponsor principali, la Turchia. Dopo essere intervenuta direttamente in Siria Ankara ha due priorità: fermare l’avanzata dei curdi nel nord del paese, allontanare il più possibile l’ISIS dalle zone di confine. È verò che Erdogan ha aiutato molto i ribelli anche in queste ultime settimane, ma lo ha fatto in quelle zone dove voleva cacciare i miliziani dello Stato Islamico. Sta succedendo ancora in questi giorni ad al-Bab, a nord-est di Aleppo. Per la Turchia la caduta di Assad non è quasi più in agenda.
Ci sono anche le divisioni tra Iran e Russia, entrambi sponsor del regime, ad allontanare ulteriormente un possibile accordo. Dopo aver raggiunto i suoi obiettivi, in sostanza la sopravvivenza del regime e della struttura statale, Mosca è più aperta al dialogo. Teheran invece pare non voglia discutere di alcune cose, a partire dal futuro di Assad.
Per evitare di annullare tutto Staffan de Mistura è arrivato a dire che i colloqui di questa settimana non affronteranno il tema della transizione, ma si concentreranno su quanto chiesto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: formazione di un governo di unità popolare, organizzazione di nuove elezioni, nuova costituzione. Ma se il processo venisse affrontato seriamente tutti questi passaggi segnerebbero in realtà una vera e propria transizione.
E poi anche sul caso siriano pesa l’incognita Trump. La nuova amministrazione americana ha parlato di safe zone (zone sicure e protette all’interno del paese) finanziate dai paesi arabi del golfo. Ma non ha mai spiegato quale sia la sua posizione sulla crisi siriana in generale. Trump ha allentato ulteriormente i legami con i ribelli e sulla carta è pronto a dialogare apertamente con la Russia. L’opposizione siriana si sentiva tradita dagli Stati Uniti già ai tempi di Obama, con Trump le cose non possono che peggiorare.