Dopo due o tre giorni di dichiarazioni di guerra da parte di Trump i generali sono riusciti a bloccare, almeno per ora, l’istinto del loro presidente.
Nella riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, la notte scorsa, alla Casa Bianca, ha prevalso la linea del capo del Pentagono, Mattis, che ha fatto notare i rischi, i grossi rischi, di un’operazione su larga scala: soprattutto la possibilità di una risposta russa.
L’amministrazione americana è bloccata su un punto: sa che per dare un messaggio chiaro e forte a tutta la comunità internazionale sull’uso delle armi chimiche ci vorrebbe un’operazione non solo simbolica contro Assad, ma sa bene – quello che ha spiegato Mattis – che questo potrebbe portare a una dura risposta da parte di Mosca, che porterebbe la crisi di questi giorni in un territorio assolutamente sconosciuto.
Dal Medio Oriente, questa mattina, arrivano altri segnali di un possibile ridimensionamento della possibile azione americana. I canali di comunicazione con i russi sono sempre aperti e uno dei principali alleati di Assad, il gruppo libanese Hezbollah, ha detto all’agenzia Reuters che salvo colpi di scena e colpi di testa di Trump e Netanyahu, l’attacco, se ci sarà, sarà ridotto.
Ieri parlavamo di tre opzioni per la Casa Bianca.
Sanzioni, attacco simbolico, operazioni militare su larga scala.
Sembra sempre più possibile la seconda opzione. Come e quando ancora impossibile saperlo.