Nei decenni fra le due guerre mondiali, il tango godette in Polonia di una particolare popolarità, e se si può addirittura ritenere che Varsavia sia stata all’epoca la capitale europea del tango, di certo è stata la capitale mondiale del tango in yiddish: degli oltre tremila brani di questo genere creati in quel periodo da compositori e parolieri polacchi, molti infatti erano di autori ebrei.
L’etichetta Six Degrees ha appena pubblicato Silent Tears. The Last Yiddish Tango, allestito in Canada e pubblicato con il patrocinio di istituzioni canadesi: l’iniziativa è di Dan Rosenberg, il produttore che nel 2018 aveva curato Yiddish Glory, dando finalmente una vita musicale a canzoni – andate perdute e poi ritrovate anni fa – scritte durante la seconda guerra mondiale da ebrei dell’Unione Sovietica, persone comuni, molti dei quali semplici soldati dell’Armata rossa.
Diverse delle musiche di The Last Yiddish Tango sono di Artur Gold, morto nel ’43 nel campo di Treblinka, mentre altri brani sono nuovi ma concepiti nello stile dei tanghi polacchi degli anni trenta; è di Gold anche la musica di Romani Waltz, strumentale interpretato da Sergiu Popa, rinomato fisarmonicista rom moldavo che vive a Montreal, con cui l’album vuole rendere omaggio alle centinaia di migliaia di roma che trovarono la morte nei campi di sterminio. Ma nel ricordare il destino di tanti polacchi durante l’occupazione nazista, The Last Yiddish Tango non si limita alla rievocazione di un fenomeno musicale e culturale: i testi dei brani infatti sono originali, e basati su scritti di donne sopravvissute alla Shoa.
Alcuni sono ricavati da poesie e testimonianze di donne che furono vittime di violenze sessuali, torture ed esperimenti medici: e alcuni di questi testi provengono da un progetto che in una clinica ebraica di Toronto ha cercato di aiutare le sopravvissute ad elaborare i loro traumi scrivendo delle poesie collettive, attraverso le quali far emergere quello che spesso queste donne non erano riuscite a confessare nemmeno ai loro familiari. Nel ’95 i poemi collettivi di quindici di queste pazienti sono stati pubblicati, e adesso hanno acquistato anche una dimensione musicale.
I testi di alcune altre canzoni sono invece adattamenti dalla storia di come Molly Applebaum, nata nel 1930 a Cracovia, scampò allo sterminio: sperando di salvarla, nel ’41 la madre affidò lei e una cugina ad un contadino, che nascose le due bambine in una cassa di legno dentro al fienile, con uno spazio esiguo e solo un foro per respirare. Molly tenne un diario, che è stato pubblicato nel 2017, che descrive la paura, la fame, il freddo, gli insetti, la noia, gli abusi.
Arrivata in Canada come rifugiata alla fine della guerra, Molly Applebaum oggi ha 92 anni, è bisnonna, e vive a Toronto. Toccante per esempio la rielaborazione di un tango del compositore Oskar Strock e del paroliere Igor Korntayer, per descrivere lo stato d’animo di sepolta viva di Molly Applebaum, che nel suo diario scriveva: “Il mondo è così grande, ma non c’è posto per due bambine ebree”. Le parole originali di Korntayer, morto ad Auschwitz nel ’42, dicevano: “Dove devo andare, se tutte le porte sono sbarrate? C’è un mondo che è così grande, ma per me è stretto e angusto”.