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Sicurezza in cambio di minerali. L’Ucraina di fronte al ricatto degli USA

Zelensky Ucraina

Gli ultimi sviluppi della crisi ucraina, a una velocità che non si era mai vista nei tre anni precedenti, hanno spostato l’attenzione su un aspetto importante, quello economico.
Lo stesso riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti, fortemente voluto da Trump, ha dietro un preciso calcolo economico. Far ripartire le relazioni con Mosca – valuta la Casa Bianca – potrebbe tradursi in ottimi affari. Lo stesso Putin, in questi giorni, ha parlato di grandi opportunità. Opportunità che l’affarista Donald Trump non vuole certo farsi scappare.
Stessa filosofia dietro alla richiesta americana a Kyiv di un accordo sulle materie prime presenti in territorio ucraino.
E in fondo anche dietro alla disputa tra Stati Uniti ed Europa per decidre chi sia stato il principale sponsor dell’Ucraina in questi tre anni di guerra. Disputa evidente in maniera molto chiara nello scambio tra Trump e Macron davanti ai giornalisti lunedì scorso alla Casa Bianca.

Concentriamoci su questi ultimi due aspetti, cominciando dal possibile accordo sulle materie prime: minerali e terre rare.
Kyiv e Washington avrebbero raggiunto un accordo di massima, ancora da definire e da firmare. Potrebbe avvenire già questa settimana, con un viaggio di Zelensky a Washington, ma non è ancora sicuro. Il documento concordato al momento non conterrebbe infatti alcuna garanzia diretta per la sicurezza, cosa che comprensibilmente gli ucraini considerano imprescindibile. Se ci saranno le garanzie l’accordo verrà firmato, in caso contrario no. Almeno questo è quello che dice Zelensky.
Ma quali sono queste materie prime che fanno così tanta gola a Trump?
Litio, usato per esempio nelle batterie dei veicoli elettrici. Grafite, anche questa usata nelle batterie. Titanio, utilizzato molto dall’industria bellica, quindi mezzi e armi. E poi le famose terre rare. Molte di queste risorse vengono utlizzate anche nel settore dell’alta tecnologia e dell’elettronica.
Secondo le ricerche più recenti si tratta di materie prime presenti in diverse regioni del paese, anche in quelle occupate dalla Russia, soprattutto titanio e terre rare. Secondo il governo ucraino l’area occupata da Mosca contiene risorse per un valore di circa 350 miliardi di dollari.

Tutti questi numeri indicano cosa potrebbero guadagnare gli attori in campo.
Ma invece quanto hanno già speso, soprattutto quegli attori che hanno supportato l’Ucraina, quindi Europa e Stati Uniti?
Lunedì, durante l’incontro con Macron, Trump ha detto che l’America ha speso tra i 300 e i 350 miliardi ddi dollari. Non ci sono però documenti a supporto. Secondo l’autorevole Kiel Institute di Berlino – che dal 2022 traccia soldi, investimenti, armi a Kyiv – Washington ha speso circa 119 miliardi di dollari. Calcolando le spese indirette indicate dalla agenzie federali americane, come la manutenzione degli armamenti, si arriverebbe a circa 180 miliardi. L’Europa – istituzioni UE e singoli paesi, sempre secondo l’Istituto Kiel di Berlino – avrebbe invece finanziato con spese dirette programmi per 132 miliardi di dollari. Quindi sulla carta più degli Stati Uniti. 132 conrto 119 miliardi di dollari.
Sono più o meno simili le spese militari, molto più alte invece quelle europee per aiuti umanitari e finanziari.
Di fianco a Macron Trump ha anche detto che i finanziamenti americani sono a fondo perduto, mentre quelli europei sono dei prestiti. È vero?
Il calcolo del Kiel Institute dice che gli Stati Uniti abbiano soprattutto donato, ma anche optato per una discreta quantità di prestiti.
Gli europei invece hanno sì diversificato, come specificato da Macron lunedì alla Casa Bianca, ma hanno soprattutto optato per dei prestiti, che quindi sulla carta gli ucraini dovranno in qualche modo restituire.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    La transizione s’ha da fare, ma verso il militare. Di fronte al piano di riarmo europeo da 800 miliardi voluto dalla Presidente della Commissione Ue Von der Leyen, la transizione ecologica per la decarbonizzazione dell’economia slitta in secondo piano. Questo vale soprattutto per l’automotive: la conclamata crisi del settore – frutto della miopia dei produttori auto e delle scelte non incisive né coerenti della politica – è diventata ora l’occasione non per accelerare sull’elettrificazione dei trasporti, ma per promuovere la riconversione produttiva verso l’industria della difesa e delle armi. Il nono episodio del podcast “A qualcuno piace verde”, il Podcast di alleanza Clima Lavoro a cura di Massimo Alberti, racconta – a partire dal convegno “Mobilità sostenibile al lavoro” che si è tenuto a Torino il 13-14 marzo 2025 – il passaggio in Europa e in Italia dal Green Deal al War Deal. Con l’automotive, appunto, come snodo centrale.

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