
È entrato in vigore alcuni giorni fa, ma anche nella versione passata al vaglio del Quirinale, il decreto sulla sicurezza continua a fare acqua da moltissime parti, se lo si guarda con un’attenzione particolare ai diritti. La filosofia di quel decreto si ispira allo spirito dei tempi: comprimere i diritti delle persone. Esamineremo diversi punti di quel testo con l’aiuto fondamentale di una magistrata come la dottoressa Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica (Md), giudice della sezione immigrazione del Tribunale di Roma. Un giurista democratico come Gaetano Azzariti ha scritto che la filosofia di questo decreto è quella di “allontanarsi da ogni idea di solidarietà, garantismo e tutela dei diritti che è propria della cultura democratico-progressista, per favorire il primato dell’egoismo individuale, del populismo penale e dell’ordine pubblico ideale attorno a cui si struttura la mentalità autoritaria”.
Silvia Albano, condivide il pensiero di Azzariti?
È un decreto legge che si allontana da molti punti di vista proprio dalla nostra democrazia costituzionale, non dalla concezione progressista della democrazia, ma proprio dalla nostra struttura costituzionale del nostro stato di diritto. È proprio espressione di una logica autoritaria del concetto stesso di ordine pubblico.
Si torna a una concezione dell’ordine pubblico in cui c’è un rapporto tra Stato e cittadini di nuovo fondato sulla forza e sull’imperio dell’autorità di pubblica sicurezza e ci si allontana dal concetto costituzionale di ordine pubblico che è quello che dovrebbe garantire la legalità costituzionale, l’ordinato svolgimento della vita pubblica a garanzia delle libertà che sono previste dalla Costituzione e che sanziona e reprime il conflitto che invece è previsto dalla Costituzione.
Ci sono una serie di libertà e diritti fondamentali, qual è la libera manifestazione del pensiero, la libertà di manifestazione, la libertà di sciopero, insomma si va verso una concezione autoritaria che era propria del Codice Penale fascista prima dell’avvento della Costituzione.
Su questo decreto non ci sono solo problemi di merito come lei ha sollevato con queste valutazioni che abbiamo appena ascoltate, così come quelle di Gaetano Azzariti, ci sono anche questioni che riguardano il metodo che viene criticato. è quello con il quale il governo è passato dal disegno di legge che stava seguendo un suo iter di discussione all’interno del Parlamento ad un decreto legge che taglia tempi e discussioni che impone una tempistica che è appunto molto dura, è quella del decreto legge. Si è detto “Ma quel decreto legge lì non ha i requisiti che la Costituzione richiede, la necessità e soprattutto non ha l’urgenza.” Lei su questo punto cosa ne pensa?
Io devo dire che non ho ricordo di una situazione di questo genere, in cui c’era un disegno di legge in discussione in Parlamento, poi trasformato improvvisamente in decreto legge senza neanche esplicitare le ragioni dell’urgenza, per altro.
Ci introducono 14 nuovi reati, 9 nuove circostanze aggravanti, con un decreto legge in una situazione in cui statisticamente dagli anni ’90 i reati violenti sono in costante diminuzione, salvo quelli contro le donne, salvo i femminicidi, salvo i reati d’odio, di cui questo decreto non si pone nemmeno il problema, anzi al contrario.
Quindi, non ci sono proprio i presupposti. Si sta completamente ribaltando il rapporto tra Parlamento e potere esecutivo. Noi siamo una democrazia parlamentare, il Parlamento è costantemente svuotato delle proprie prerogative e si concentra nelle mani dell’esecutivo del governo, un potere legislativo che non gli appartiene.
Il potere legislativo appartiene al Parlamento nel nostro Stato così come disegnato dalla Costituzione. Quindi, sta cambiando proprio la Costituzione materiale di questo paese, anticipando la riforma del premierato e concentrando sempre di più qualsiasi potere nell’esecutivo.
E quell’accentramento di cui lei parlava è un po’ il sommo obiettivo che la riforma del premierato vuole raggiungere. Ora quella riforma è un po’ in una situazione di letargo in Parlamento, non ha subito le accelerazioni anche forti, violente che hanno subito quelle norme contenute, appunto, nei provvedimenti sulla cosiddetta sicurezza.
Ma adesso con lei, vorrei vedere alcuni elementi di dettaglio di quel decreto, cioè che cosa contiene e perché quelle cose contenute nel decreto fanno venire un po’ i brividi se si ha a cuore il rispetto dei diritti e delle libertà. Cominciamo dal tema che riguarda il blocco stradale. Nel decreto vengono aumentate di molto le sanzioni per chi attua un blocco stradale, cioè impedisce un po’ la circolazione libera sulle strade. Finora era prevista una multa che andava da €1000 a €4000, ora è stata introdotta la reclusione fino ad un mese oltre ad una multa fino a €300. Cosa significa?
Le pene sono ulteriormente aumentate se il blocco stradale è realizzato da più persone riunite. Anche una manifestazione può essere considerata un blocco stradale e le pene diventano molto pesanti appunto per “blocco stradale realizzato da più persone riunite”, ma su questa questione del blocco stradale poi anche della resistenza passiva nelle carceri, è intervenuto persino il Consiglio d’Europa. Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha mandato una lettera molto allarmata al governo, ai tempi del disegno di legge sicurezza, sulle conseguenze e sulla filosofia di queste norme, che vanno anche contro la Convenzione Europea dei diritti umani, non solo contro la nostra Costituzione che prevede la libertà di manifestazione.
Lei ha parlato della rivolta in carcere, vediamo subito quell’aspetto perché da quello che si capisce è rimasta invariata la norma che era stata contestata nella versione del disegno di legge che ha introdotto il nuovo reato di rivolta in carcere che si riferisce anche alle condotte di cosiddetta “resistenza passiva”. Mattarella, il presidente della Repubblica, aveva sollevato dei dubbi, lungo l’iter che passa anche per le sue mani. Il governo ha risposto definendo in modo un po’ più preciso, ma comunque interpretabile in maniera ampia in una direzione o nell’altra, che “la resistenza passiva consiste in atti che impediscono il compimento di azioni finalizzate alla gestione dell’ordine e della sicurezza all’interno delle carceri. Il reato di rivolta in carcere vale anche per i centri di trattenimento per i migranti irregolari, i CPR”.
Anche qui lo spettro è molto ampio, si mette il bavaglio a ogni forma di contestazione nelle carceri. Si parla di “resistenza all’esecuzione di ordini impartiti”, resistenza anche passiva, quindi non violenta. L’unico restyling che è stato fatto è stato dare un contenuto agli “ordini impartiti” e si tratta di ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza. È chiaro che per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza in carcere può essere tutto, compreso anche l’ordine di andare a una certa ora, recarsi in mensa, piuttosto che l’ordine del silenzio, può essere qualsiasi cosa, quindi rimane comunque una fattispecie molto ampia dove si punisce, appunto, anche la resistenza passiva, quindi del tutto non violenta. Mentre la resistenza, il reato di resistenza previsto per qualsiasi altro cittadino è chiaramente circoscritto alla resistenza violenta a un ordine dell’autorità pubblica, infatti, il reato di resistenza è questo. Quindi si pone anche un problema di violazione del principio di uguaglianza, perché se uno è recluso la resistenza diventa molto più ampia e diventa anche una resistenza non violenta.
Vediamo un altro punto, il decreto prevede che non sarà più obbligatorio il rinvio della pena per le donne incinte o che hanno figli con meno di un anno che diventerà invece facoltativo, quindi non più obbligatorio.
Chi contesta questa misura ritiene che abbia un chiaro intento discriminatorio nei confronti di alcune particolari persone, cittadini di appartenenza all’etnia Rom o Sinti, oltre a non avere efficacia e utilità rispetto al reinserimento delle detenute nella società. Ci sono dei dati abbastanza recenti, risalgono a un paio di settimane fa, negli istituti penitenziari italiani c’erano 15 detenute madri con 15 figli, molte sono donne straniere oppure donne Rom o Sinti arrestati per piccoli furti, magari sui mezzi pubblici. Qual è la razio di questa norma, Dottoressa Albano?
Ci sono delle aggravanti specifiche proprio rivolte a loro per cui i reati contro il patrimonio, contro la persona realizzati nelle metropolitane oppure nei pressi delle stazioni ferroviarie hanno delle aggravanti specifiche che sono proprio dirette evidentemente a colpire queste persone che notoriamente agiscono in questi luoghi, questo da un lato. Dall’altro lato, anche il codice Rocco, il codice fascista, prevedeva il differimento di pena per le donne incinte e le detenute madri.
Ora è previsto che la pena venga eseguita in questi istituti di custodia attenuata per le detenute madri che, però, sono quattro in tutta Italia, quindi non sarà possibile e ci troveremo nella stessa situazione in cui si trovano i detenuti che hanno problemi psichici, per cui quando non c’è posto nelle REMS stanno in carcere.
Quindi anche questo piccolo restyling su questa norma, in realtà, non risolve i problemi che c’erano prima. Poi è stata aggiunta una previsione veramente terribile, nel senso che è previsto che in determinati casi, quando la donna debba essere trasportata in carcere le venga tolto il figlio, cioè venga detenuta in carcere la madre senza il figlio. Quindi il figlio a quel punto viene affidato ai servizi sociali, messo in una casa famiglia, comunque viene separato dalla madre. La trovo una norma di una crudeltà, diciamo, particolare.
Voglio vedere con lei almeno ancora un capitolo di questo decreto cosiddetto “sulla sicurezza” che è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale quattro giorni fa, come dicevamo, ci sono due mesi di tempo in cui il Parlamento deve approvare questo decreto e quindi l’iter parlamentare è proprio ai primissimi giorni.
C’è un altro pacchetto di misure contenute appunto nel decreto che riguardano in qualche modo le forze di polizia, un insieme di nuove norme su forze di polizia, forze armate che dovrebbero servire “a garantire una maggiore tutela del loro operato”, questo viene specificato. Tra queste ci sono quelle che hanno introdotto una circostanza aggravante del reato di violenza o minaccia e di resistenza a pubblica ufficiale, nei casi in cui “l’azione sia stata compiuta contro un agente di Polizia Giudiziaria o di Pubblica Sicurezza” e qui è previsto un aumento della pena fino alla metà. Le chiedo di sintetizzare un po’ qual è, secondo lei, il punto dolente di questo insieme di norme che ci sono, non solo quella che ho letto, ma ce ne sono anche altre, sulle forze di Polizia, le forze armate.
Torniamo a questo concetto autoritario di ordine pubblico e i reati per cui vengono aggravati, se commessi nei confronti non di qualsiasi funzionario pubblico, ma delle forze di polizia introducono simbolicamente un concetto quasi sacrale del lavoro delle forze di polizia. Perchè non solo sono previste delle aggravanti speciali nei confronti delle forze di polizia, ma è anche previsto che le forze di polizia che commettono reati nell’esercizio delle funzioni abbiano il rimborso delle spese legali, nel processo penale, pari a €10.000 per ogni grado di giudizio che è un unicum. Insomma, non è poco in una situazione in cui pare che le casse dello Stato siano vuote. Sono norme volte a perpetuare questo rapporto tra Stato e cittadino, tra forze di pubblica sicurezza e cittadino in cui non c’è una carità ed eguaglianza di diritti, ma in cui l’autorità è comunque sovraordinata al cittadino e ai diritti del cittadino.