Il Partito comunista vietnamita è vicino al suo Congresso (20-28 gennaio) e ormai da tempo inasprisce il controllo sulla società civile.
Il fatto è che, nonostante la relativa novità dell’uso di Internet e le rigide regole imposte dal governo al suo utilizzo, quello vietnamita sta diventando un entusiasta popolo di “internauti”, con oltre un terzo della popolazione che utilizza abitualmente la Rete.
La crescente popolarità dei social media è diventata però anche una delle preoccupazione delle autorità, sempre timorose di una destabilizzazione. Si stima che 12 milioni di vietnamiti sono rischio di monitoraggio informatico da parte delle autorità.
Una situazione che comunque non è servita a disattivare voglia di comunicare e di conoscere; e anche di condividere opinioni e informazioni su temi che i mass media ufficiali abitualmente ignorano o condannano.
Per questo nel settembre 2013 il regime ha promulgato il Decreto 72, una misura volta a limitare ulteriormente quelle che considera manifestazioni di dissidenza. Con i nuovi provvedimenti, blog, forum, chat, strumenti come Twitter e Facebook sono demandati esclusivamente a “fornire e scambiare informazioni di carattere personale”. Escluso quindi lo scambio di informazioni e idee su temi di carattere politico, economico e sociale; proibita pure la distribuzione di articoli e libri online.
La nuova legge obbliga anche le aziende straniere ad avere i loro server nel paese, sollevando le proteste di chi– come Google e Facebook – vedono nella legge un limite concreto alle loro prospettive di investimento in Vietnam.
Obiettivo primario restano comunque gli oppositori, colpiti da arbitrarietà e pene severe. Significativo in questo senso, l’arresto il 16 dicembre per “propaganda contro lo stato” di Nguyen Van Dai, avvocato e attivista per i diritti umani che pochi giorni prima era stato sottoposto a un pestaggio da parte di ignoti. Un’azione violenta di una ventina di individui che molti, incluso il rappresentate dell’Alto Commissariato per i Diritti umani delle Nazioni Unite, hanno indicato come agenti in borghese. La sorte di Nguyen è ora legata a un nuovo processo che potrebbe portare a una nuova condanna dopo quella del 2007, in parte scontata in carcere in parte agli arresti domiciliari.
L’arresto del noto attivista, fondatore del Comitato per i diritti umani in Vietnam, ha segnalato ancora una volta l’azione del governo e del Partito comunista nei confronti delle voci critiche verso un sistema repressivo che contrasta apertamente con la pretesa di sviluppo economico e di apertura sociale.
Censura e repressione crescono infatti nei confronti dei dissidenti, in particolare quelli che utilizzano blog e social network, e vengono usate leggi sempre più vaghe ma drastiche quanto a punizioni.
Si tratta di uno stato di cose che pone imbarazza Stati Uniti e Unione Europea, che con il Vietnam hanno rapporti economici e di cooperazione sempre più stretti. A fine 2015, Human Rights Watch segnalava che sono almeno 130 i vietnamiti detenuti per ragioni politiche o ideologiche e che solo la necessità del governo di mantenere buoni rapporti con i partner stranieri avrebbe ridotto il numero dei processi e delle condanne.
Le limitazioni non riguardano però soltanto Internet e le sue varie affiliazioni. Davanti al boom dell’informazione tradizionale, dopo la relativa liberalizzazione, le autorità vietnamite hanno deciso di intervenire temendo “effetti negativi sull’opinione pubblica”. Secondo un recente editoriale del quotidiano del ministero della Difesa, sono circa 1.100 le pubblicazioni periodiche ora in corcolazione, quasi il doppio di 15 anni fa. Un processo di “commercializzazione” dell’informazione che i responsabili pubblici hanno deciso di limitare per sottolineare la nuova linea dura del partito e la volontà di non consentire uno sviluppo di media indipendenti o commerciali – ciò che tra l’altro mette a rischio il lavoro di 4.000 giornalisti professionisti e di 6.000 impiegati.
Tra le iniziative adottate, la chiusura dei quotidiani dei Dipartimenti provinciali e dei vari settori economici dell’amministrazione. Inoltre, ogni iniziativa editoriale sarà sottoposta a sezioni regionali del Partito comunista. I quotidiani del partito, dei ministeri della Difesa e della Polizia resteranno ma solo in versione online. Immutati la televisione di stato, la radio Voce del Vietnam, l’agenzia d’informazione Vietnam News Agency.
Si tratta, complessivamente, di un piano di ristrutturazione da completare entro il 2020, approvato segretamente a giugno 2015 e che per i critici farebbe parte della serie di misure di controllo decise in vista del Congresso del Partito comunista.