
La Corte Suprema messicana ha aperto le porte alla legalizzazione della marijuana. Con una sentenza – quattro giudici contro uno – la Corte ha stabilito che i singoli hanno il diritto di “far crescere e distribuire marijuana per uso personale”. La decisione è destinata a cambiare in profondità l’approccio alla questione in un Paese da decenni sconvolto da una violenta guerra intorno al commercio della droga.
Nelle 88 pagine della sentenza, scritta dal giudice Arturo Zaldívar, non si fa menzione delle vicende sanguinose che hanno sconvolto il Messico, e altri Paesi dell’area, in questi anni. Il giudice piuttosto – sulla base di una valutazione dei fondamentali diritti dell’uomo – riconosce il diritto dell’individuo di godere in autonomia di “ogni tipo di attività ricreazione che non danneggi gli altri”.
La causa è stata portata davanti alla Corte da quattro persone legate a un gruppo anticrimine, México Unido Contra la Delincuencia (MUCD). I quattro hanno richiesto all’agenzia messicana che si occupa della regolamentazione nel consumo delle droghe una licenza per poter coltivare marijuana a casa loro. L’atteso rifiuto ha fatto arrivare il caso davanti alla Corte Suprema. Non si tratta ancora di una piena legalizzazione, ma della possibilità per i quattro di produrre marijuana a casa propria. Perché la legalizzazione diventi “legge dello Stato”, è necessario che i giudici votino in questo senso per almeno cinque volte.
Il sì dei giudici è destinato ad avere enormi influenze in Messico, un Paese con leggi molto restrittive sull’uso della droga e devastato da una guerra tra differenti cartelli che negli ultimi anni ha fatto migliaia di morti. Nonostante l’approccio proibizionista, sostenuto dagli Stati Uniti e fatto proprio anche dall’attuale presidente Enrique Peña Nieto, sono stati scarsi i risultati nella lotta contro corruzione, criminalità, violenza. “E’ un dramma che va al di là delle nostre forze”, ha commentato uno degli avvocati che ha sostenuto la causa della liberalizzazione davanti alla Corte.
L’assenza di concreti risultati sta dunque conducendo a una revisione complessiva delle strategie sin qui adottate. Prima della sentenza messicana, c’è stata la legge di legalizzazione in Uruguay, nel 2013, che ha condotto alla creazione di una piccola ma ben presente “industria della marijuana”. Il Cile, quest’anno, ha inaugurato una politica di apertura all’uso della marijuana per “fini medici”. La Bolivia consente la coltivazione della coca e in Brasile è in discussione la legalizzazione di marijuana, cocaina e altre droghe. Juan Manuel Santos, il presidente colombiano, ha ordinato che vengano sospesi i voli aerei su campagne e montagne per irrorare il territorio e i raccolti di coca con potenti erbicidi. “Danneggiano e criminalizzano i contadini più poveri”, ha detto Santos.
Ora arriva la decisione del Messico, che va peraltro nella direzione di una lenta decriminalizzazione anche in alcuni Stati americani: Colorado, Oregon, Washington, District of Columbia. In Messico l’uso della marijuana resta comunque molto basso. Solo il 2% dei messicani, secondo una ricerca, ha fumato marijuana nel corso del 2014. Gran parte dell’opinione pubblica, secondo i sondaggi effettuati prima della sentenza della Corte, resta decisamente contraria alla sua legalizzazione.