Non sembri irriguardoso, visto che si tratta di una signora, cominciare dall’età: ma, uscito nei giorni scorsi, Sequana, il nuovo album di Souad Massi, arriva a due mesi dal compleanno della cantante algerina, che nell’agosto scorso ha compiuto cinquant’anni. Non che la fisionomia artistica di Souad Massi non si fosse da tempo pienamente espressa, ma Sequana è un album che testimonia di una splendida maturità artistica e che accompagna degnamente il superamento di una soglia importante nella vita e nella carriera di Souad Massi.
Di origini berbere, nata ad Algeri, cresciuta in un ambiente proletario come quello del quartiere di Bab El Oued, Souad Massi ha cominciato molto presto a cantare e a suonare la chitarra; negli anni novanta ha fatto parte di Atakor, un gruppo rock berbero piuttosto esposto per via del suo profilo politico e della sua popolarità: nel 1999, a seguito di ripetute minacce di morte, Souad Massi ha scelto di trasferirsi a Parigi, dove vive con le due figlie, e nel nuovo millennio ha sviluppato una carriera personale e pubblicato diversi album con molto successo e riconoscimenti importanti.
Nella canzone che dà il titolo all’album, Souad Massi si riferisce alla fase del Covid e alle difficoltà incontrate dalle figlie, e al suo sforzo di comunicare loro il senso della speranza e della bellezza della vita anche quando la vita non si presenta facile: Sequana è una divinità celtica associata alla Senna, a cui i Galli attribuivano virtù curative, e Souad Massi durante l’emergenza Covid trovava conforto nell’avvicinarsi al fiume che attraversa Parigi, e nel sentire la presenza dell’acqua.
L’album è curato dall’inglese Justin Adams, che come produttore ha lavorato fra l’altro con il gruppo touareg Tinariwen e con Robert Plant, il cantante dei Led Zeppelin: negli undici brani, quasi tutti interamente firmati da Souad Massi e cantati in arabo e francese (con qualche accenno di inglese), si ritrovano in un brillante assortimento le influenze che sono state decisive nella formazione artistica di Souad Massi.
Oltre all’eleganza della voce, il fascino delle canzoni di Souad Massi si deve ad un contegno e ad una qualità dei testi in cui non è difficile riconoscere il debito della cantante algerina con la lezione della canzone impegnata berbera degli Idir e degli Ait Menguellet.
Quando canta delle canzoni di gusto arabo-maghrebino, Souad Massi è nella sua specialità: ma non è da meno quando viene fuori il suo background rock, in maniera più sottile come in Hurt, o più rude come in Twam, in cui sembra di sentire aleggiare lo spirito di Rachid Taha; o quando traspare la sua passione giovanile per il folk e la musica popolare d’oltre Atlantico; scritta e interpretata con Piers Faccini, Mirage ci porta invece in una atmosfera blues-rock “del deserto”; Dessine-moi un pays parla di chi affronta il mare per cercare a rischio di morire una vita migliore.
L’album si chiude con Victor, una canzone dedicata a Victor Jara, il cantante cileno torturato e assassinato durante il golpe di Pinochet del ’73, che Souad Massi aveva ascoltato nell’adolescenza: l’immedesimazione la porta a scegliere di cantare con un timbro grave.
Souad Massi ha sostenuto nel 2019 l’Hirak, il movimento popolare di protesta in Algeria, che poi è rifluito ed è stato represso. Ma sulla copertina Souad Massi ha gli occhi coperti da due margherite, un fiore spontaneo che anche nelle condizioni più difficili riesce a farsi strada per fiorire.