Durante i primi anni in cui iniziava a produrre e distribuire serie originali, la piattaforma Netflix sceglieva progetti ambiziosi, particolari, perfino sperimentali, e senza badare a spese. Difficilmente cancellava un suo show a metà della corsa: per attirare l’attenzione di critici e potenziali spettatori cercava serie che facessero parlare di sé, per la qualità o per il tema, o per entrambi.
Tra questi primi progetti c’era anche Sense8: la storia di otto persone, in otto diverse e lontane parti del mondo, che un giorno improvvisamente sviluppano una misteriosa connessione psichica che permette loro di vedersi e di parlarsi, ma anche di condividere sentimenti, emozioni e sensazioni, e di accedere alle abilità e conoscenze l’uno dell’altro.
Un poliziotto di Chicago, una hacker di San Francisco, una dj islandese a Londra, una businesswoman artista marziale di Seul, un autista di matatu di Nairobi, un ladro di Berlino, una ricercatrice chimica di Mumbai, un attore di Città del Messico: ognuno di loro ha una storia (che, in modo molto intelligente, corrisponde anche un genere narrativo) e tutti insieme si trovano a dover fronteggiare una misteriosa organizzazione che dà loro la caccia.
A creare la serie sono le sorelle Lana e Lilly Wachowski – cineaste transgender, già autrici, pre-transizione, della trilogia di Matrix – con J. Michael Straczynski – noto fumettista e creatore negli anni 90 della serie Babylon 5 – con l’aiuto alla regia di frequenti collaboratori (come James McTeigue che diresse per loro V per Vendetta, o Tom Tykwer, che co-firmò Cloud Atlas).
La seconda stagione di Sense8 è arrivata l’anno scorso, funestata pochi giorni dopo dall’annuncio imprevisto della cancellazione, che peraltro lasciava la trama completamente in sospeso: troppo costosa (è girata in tutto il mondo, nelle stesse location in cui è ambientata, con la necessità di continui voli intercontinentali per spostare cast e crew) e non abbastanza mainstream, con i suoi temi d’amore universale, le scene di sesso esplicito, il ritmo più concentrato sulla restituzione delle emozioni che su una narrazione canonica.
Netflix nel frattempo è cambiata, vuole spendere poco e raggiungere il pubblico più ampio possibile: dal suo punto di vista, una serie così diversa (in tutti i sensi) era sacrificabile. Non aveva previsto, però, le proteste che avrebbe scatenato in tutto il mondo: per un mese, incessantemente, i fan hanno inondato la piattaforma di preghiere, e i social network di richieste di una terza stagione, testimoniando quanto Sense8 sia riuscita a stringere, con ciascuno di loro, una connessione profonda e irrinunciabile; e Netflix ha dovuto cedere, annunciando la produzione di un finale da due ore e mezza, disponibile dall’8 giugno, che proverà almeno a dare un senso di chiusura alle tante questioni in sospeso.
Meglio di niente, si dicono i fan preparando i fazzoletti e sperando fino all’ultimo che per Sense8 non finisca qui: perché di eroi con il superpotere dell’empatia, di una filosofia che mette la comprensione totale e la condivisione con l’altro al primo posto, di una storia che teorizza come inevitabile passo evolutivo per la sopravvivenza umana la capacità di solidarizzare tra noi e di condividere le nostre conoscenze per salvarci, abbiamo bisogno più che mai.
*giornalista per Film TV.