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Se ne va Jonah Lomu, l’inarrestabile

Alla fine ci è riuscita una rara e grave forma di sindrome nefrosica, ma anche la malattia ha fatto una fatica boia a fermare The Unstoppable. Siona Tali “Jonah” Lomu è morto per un arresto cardiaco a Auckland, la città in cui era nato 40 anni fa. Una notizia che impone il lutto a tifosi e appassionati di palla ovale di tutto il mondo: se ne va il piu forte di sempre, il commento unanime.

Per capire la straordinarietà del personaggio, la sua unicità nella storia recente del rugby e dello sport più in generale bastano poche date. Ad esempio il 26 giugno 1994, quando a 19 anni e un mese divenne il più giovane convocato di sempre della nazionale neozelandese per un test match, oppure l’anno 1995, quello del Mondiale che si tenne in Sud Africa appena uscito dall’Apartheid. Allora Jonah era già inarrestabile: a 4 minuti dal via della semifinale contro l’Inghilterra accelera dai 25 metri sulla sinistra, abbatte tre avversari, calpesta i maestri della specialità e va in meta. In finale gli All Blacks perdono con il Sud Africa di Invictus, ma Jonah è ormai una star.

Pochi mesi dopo gli è diagnostica una disfunzione renale. Intanto si impone su ogni campo anche con il club, gli Auckland Blues. Dominare è inevitabile per un uomo di 1 metro e 96 per 119 chili, capace di correre i 100 metri in 10”8.

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Partecipa da protagonista alla Coppa del Mondo del 1999, poi la situazione precipita. È costretto a fermarsi e attendere per anni, tra la solidarietà di tutto l’ambiente dello sport, un trapianto di rene. Torna in campo due volte, non si arrende alla malattia. Ma non può fare a meno di interminabili ricoveri e di un nuovo trapianto.

Due edizioni gli sono sufficienti per divenire il miglior realizzatore della storia della Coppa del Mondo, solo eguagliato da Bryan Habana quest’anno. Numeri straordinari, così come straordinario era ammirare il controllo di quei muscoli in campo e l’infinita determinazione che mai deformava il suo volto pacifico, tranne che al momento dell’Haka.

Pochi anni di attività e tanta sfortuna non sfiorano la leggenda di Jonah Lomu, cresciuto nei sobborghi più degradati di Auckland. Era figlio di un’assimilazione mai riuscita delle popolazioni indigene, portò a lungo un solo ciuffo di capelli in testa perché così faceva un tempo nel Pacifico. Suo padre Semisi era pescatore e pilone della nazionale di Tonga, prima di prendere una nave per la capitale neozelandese.

Jonah era cresciuto in una baracca di legno e aveva imparato a convivere con la violenza quotidiana, suo zio era stato ucciso a colpi di machete che lui era un bambino e il cugino sfigurato per sempre. Si conclude così la storia del più forte giocatore di rugby di sempre, di un ragazzo salvato dallo sport. Che lui ha ricambiato, con gli interessi.

  • Autore articolo
    Dario Falcini
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    Ilaria Grando ha pubblicato il suo primo romanzo, Lettere minuscole, un romanzo sul dolore e una riflessione sulla scrittura che segue la natura caotica di una mente intrappolata per imprimere sulla pagina la memoria del corpo e ritrovare il senso. Protagonisti sono la voce, femminile, malata; il tempo, indeciso, confuso; la scrittura, multiforme, instabile In una successione di frammenti incalzanti, l'autrice ha ricostruito le versioni di sé che ha ospitato, ricercando le radici del proprio malessere. Dal rapporto difficile con il corpo oggetto di desiderio, alla fine della relazione con elle; dalla depressione, alla terapia, fino all’incontro con esse a Milano. Ilaria Grando è stata ospite della puntata di oggi di Cult per una chiacchierata con Ira Rubini su questo esordio letterario.

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