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Tratto dal podcast
Prisma di lun 08/06 (prima parte)
Italia | 2020-06-08
Le scuola in Italia riaprirà a settembre e in queste settimane si sta lavorando per organizzare quella che sarà la scuola italiana durante la lunga fase di convivenza col coronavirus COVID-19. Ne abbiamo parlato con Patrizio Bianchi, coordinatore del comitato di esperti istituito presso il Ministero dell’istruzione che deve indicare modi e criteri sulla riapertura della scuola a settembre.
L’intervista di Lorenza Ghidini e Claudio Jampaglia a Prisma.
Tornare tutti a scuola, ma con un tempo ridotto. Incremento dell’organico per l’anno prossimo, una revisione dei programmi delle materie.
Noi nel nostro rapporto abbiamo detto una cosa molto chiara. Il perno della scuola italiana è l’autonomia scolastica del 1997, l’idea che ogni scuola è ben radicata in un territorio. I territori italiani sono diversi e diverse sono le scuole di montagna e della Val d’Aosta da quelle delle città grandi come Napoli. Sono i dirigenti, i professori e gli organi collegiali che decideranno il mix delle cose. Noi abbiamo fatto la lista delle leve didattiche possibili e abbiamo chiesto al Ministro di vagliare la possibilità di togliere alcune norme che rendevano rigida la vita della scuola. Abbiamo fatto un’operazione di semplificazione e di facilitazione alla vita delle singole scuole, perché è nel territorio e nella singola scuola che si può capire qual è la combinazione migliore. Le faccio un esempio: una scuola di montagna che ha già pochissimi bambini non avrà un problema di spazio, gestirà la situazione in maniera molto diversa da un istituto tecnico che è al centro di Palermo. Il comitato tecnico scientifico della Protezione Civile ha dato una regola uguale per tutti: almeno un metro di distanza. Noi abbiamo messo tutti quegli elementi per semplificare e per facilitare la possibilità che la singola scuola, nella propria autonomia, possa usare tutte le leve possibili, ma questo dipenderà anche dalle linee guida che non vengono fatte da un comitato di esperti, ma dal Ministero.
Anche voi del comitato avevate parlato della possibilità di installare questi divisori in plexiglas?
No, nel nostro documento questa cosa non è citata. Questo sarà uno strumento che eventualmente, in situazioni estreme, sarà indicato dalle autorità sanitarie. Noi non ne abbiamo mai discusso. Tutto quello che riguarda il contenimento del virus non è materia della nostra commissione, ma è materia delle autorità sanitarie.
Noi abbiamo parlato di didattica, abbiamo parlato di una scuola che deve essere inclusiva, molto legata al territorio e molto autonoma. Questi sono i principi su cui noi ci siamo basati, che sono quelli non solo tratti dalla Costituzione, ma anche su quella norma sull’autonomia che in questo momento deve essere ancora il perno per riportare la scuola all’interno delle rispettive comunità locali.
Voi lavorerete fino alla fine di luglio.
Sì, stiamo lavorando con grandissima passione e a tempo pieno. Stiamo per fare un rapporto su quello che potrà essere la scuola oltre la pandemia. La pandemia ci ha messo di fronte a molti problemi che avevamo già. Il problema della dispersione scolastica c’era già in Italia, il problema che una parte del Paese è a rischio di povertà educativa c’era anche prima. Il fatto che da anni si diceva che si dovevano usare le nuove tecnologie per la didattica c’era. Ci siamo finiti dentro e adesso il rischio è di buttare via tutto. E invece bisogna valorizzare le cose. Noi siamo arrivati impreparati alla didattica a distanza. La didattica a distanza non è il sostituto o il surrogato di una didattica in presenza, ma uno strumento in più. Bisognerà lavorarci molto, soprattutto con i ragazzi più grandi che sono più abituati a usare gli strumenti. È la vita quotidiana che deve entrare di più nella scuola.
Lei ha usato spesso due parole, crescita e uguaglianza. Come si concretizzano?
Io nella mia vita ho messo insieme tre parole: educazione, crescita ed uguaglianza. Noi siamo in una fase storica in cui sta cambiando completamente il sistema di produzione. Una volta le competenze che venivano richieste ai lavoratori erano ripetitive e su quello è stata organizzata tutta la vita della società, anche quella della scuola. Nel giro degli ultimi 10-15 anni l’economia è cambiata e bisogna essere più creativi, essere capaci di lavorare più insieme ed essere capaci di utilizzare tutti gli strumenti. Questa è una scuola che diventa la base dello sviluppo. Se la scuola diventa base dello sviluppo, allora diventa anche matrice di eguaglianza. E allora le tre cose viaggiano assieme: educazione, cresciuta ed uguaglianza sono riconosciute ormai ovunque come la base di quello sviluppo che le Nazioni Unite chiamano sviluppo umano. Ed è su questo che dobbiamo andare a muoverci con la nuova scuola.
Per l’anno prossimo ci vorrà un incremento dell’organico secondo voi. In che percentuale?
Noi abbiamo fatto delle previsioni che però erano delle forbici molto larghe in previsione di quale sarà l’andamento della pandemia, che ovviamente non dipende dal nostro comitato e saranno le autorità a dirlo. L’Italia è un Paese molto grande che ha situazioni molto diverse. Noi abbiamo fatto un calcolo dove il perno era il 10%, ovviamente in più o in meno in ragione di come va la pandemia, e soprattutto in ragione delle scelte che le stesse scuole faranno di usare quei diversi mix di strumenti. Sono tutti calcoli che devono essere legati all’andamento della pandemia, perché se entriamo in una fase di pandemia con il rischio di ritorno è un conto, mentre un conto è se andiamo verso una situazione più tranquilla. Noi abbiamo semplicemente detto che bisogna fare uno strumento normativo che permetta, nel caso, di poter rendere disponibili per l’anno prossimo più insegnanti. Ancora una volta, lo ripeto, il lavoro che noi abbiamo fatto come commissione di consulenza al Ministro è di interventi normativi che permettano di attuare i singoli interventi che però sono nella disponibilità del governo.