«Integriamo le feste musulmane con le nostre». Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, lo ha proposto qualche giorno fa durante un suo intervento all’Istituto dei Ciechi, a Milano. Scola stava parlando di integrazione, società plurale, laicità.
Il riferimento specifico del cardinale era alle scuole: «non togliere il presepio – ha detto Scola – ma casomai, se incrementano i bambini musulmani, prendere una loro festa e inserirla nella dimensione pubblica». Secondo l’arcivescovo di Milano è questo il compito di una «società plurale e inclusiva».
Ma il cardinale Scola – in un altro passaggio del suo intervento – ha negato l’idea più consolidata di laicità: sono un «critico della laicità francese, secondo la famosa legge del 1905», ha sostenuto riferendosi al testo che oltre un secolo fa ha introdotto in Francia la netta separazione tra le chiese e lo stato.
Le parole di Scola, in particolare quelle sulle “feste musulmane”, sono state considerate come un’apertura da parte del cardinale verso le altre religioni. Il pluralismo religioso dell’arcivescovo di Milano, però, si gioca tutto a danno della laicità dello spazio pubblico. La scuola, pubblica, diventerebbe ancor di più luogo di ostentazione e pratica del simbolo religioso (il presepio cattolico e la festa musulmana). E la laicità, che ritiene che lo spazio pubblico debba essere esente dai simboli religiosi, finirebbe per essere limitata e con essa anche i diritti che garantisce.
Di questi temi, e altro, hanno discusso a Memos monsignor Pietro Coda, teologo e preside dell’Istituto Universitario “Sophia”, e Giulio Giorello, filosofo della scienza all’Università degli Studi di Milano.
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