La sanità impoverita, l’inflazione che azzanna i salari bassi, il precariato che si allarga e impedisce di esercitare il diritto di sciopero, l’industria in crisi. Lo sciopero generale di oggi indetto da Cgil, Uil e sindacalismo di base ha raccontato che i tagli della manovra del governo, l’obbiettivo dello sciopero generale, sono già una realtà concreta. Il governo puntava su un fallimento che non c’è stato. Lo sciopero certo non ha bloccato il paese, ma la partecipazione è stata comunque significativa. Ha dato voce a milioni di persone in difficoltà, ma per scalfire l’indifferenza del governo lo stesso sindacato sembra consapevole che serva una mobilitazione ancora più larga.
Le piazze di oggi meritano soprattutto ascolto, al di là dei numeri. La giornata ha raccontato un paese stremato, nei due estremi: le sofferenze enormi che si vivono dentro e fuori i luoghi di lavoro, raccontate da chi c’era, ma anche nella stanchezza di chi, per le più varie ragioni, non ha voluto o potuto esserci. C’è un tema che è, tardivamente ma meglio che mai, deflagrato: la consapevolezza che il diritto reale di sciopero sia diventato privilegio per pochi. Le voci dalle piazze lo hanno lanciato come un grido di allarme: si era lì anche per chi non ci poteva essere, per un salario troppo basso per permettersi di lasciare una paga, per un lavoro troppo precario per rischiare di perderlo. Lo stesso Landini lo ha sottolineato.
La mobilitazione è riuscita, con i suoi pregi e i suoi limiti: soprattutto dove il sindacato è ancora radicato come nell’industria, a macchia di leopardo in scuola e sanità, molto meno nel terziario. Il paese non si è fermato, è un fatto. Ma oggi si è comunque visto che un’organizzazione di massa, pur nelle sue difficoltà e contraddizioni, c’è. E può aprire spazi dove studenti, associazioni, realtà di base possono portare quelle ragioni che vanno oltre i temi strettamente sindacali. Non è certo la “rivolta sociale”, ma in un momento così difficile, in un tessuto sfilacciato ed individualista, dove sguazza un governo che questi spazi non fa mistero di volerli limitare, la voglia di ritrovarsi, anche solo per tenere viva la mobilitazione collettiva, non è neppure poca. Serve certo un cambio di marcia deciso e non solo lessicale, che abbandoni anni di politiche concertative, perché anche al sindacato deve essere chiaro che non può farcela da solo. I segnali dati oggi vanno coltivati subito, dalla casa al lavoro alla salute i problemi si accumulano, prima che quella stanchezza spenga la voglia di partecipare al cambiamento che, oggi lo ha dimostrato, ancora diffusa, resiste. Anche per chi non c’era.