Il problema per il governo italiano è come evitare l’umiliazione. Come garantire all’Iran la contropartita richiesta da Teheran, che consiste nel no all’estradizione di Abedini negli Stati Uniti e la conseguente liberazione. La cosa non può apparire come uno scambio di prigionieri. Anche se di questo si tratta. Anche se molti, ipocritamente, lo tacciono.
Washington accusa Mohammad Abedini di avere trafficato in tecnologie per droni militari che hanno ucciso tre soldati statunitensi in Siria. Subito dopo Cecilia Sala è stata presa in ostaggio.
L’accordo Roma-Teheran è stato raggiunto percorrendo una via molto stretta. Da un lato non si doveva irritare l’alleato americano, che si trova oltretutto nella delicata fase di transizione tra la presidenza Biden e quella Trump, quindi erano due i via libera necessari. Dall’altro Roma non deve passare per il soggetto imbelle che cede al ricatto, impotente. Il ministro della Giustizia può, di sua iniziativa, disporre la scarcerazione ma, terzo elemento di complessità, non è così pacifico, in uno Stato di diritto, scavalcare la magistratura, e fino a oggi il Procuratore Generale di Milano ha detto no alla scarcerazione di Abedini, in attesa della prima udienza che si occuperà del suo caso, il 15 gennaio. Tutto si giocherà sui tempi e sui modi. Domani c’è la conferenza stampa di Giorgia Meloni. Sempre domani arriva Biden, il quale resterà tre giorni a in Italia. Il 15 c’è l’udienza a Milano. Il 20 si insedia Trump alla Casa Bianca. Roma ha promesso a Teheran che Abedini non finirà in un carcere degli Stati Uniti. O i giudici di Milano o, ipotesi prevalente, il ministro dovranno negare l’estradizione. Magari quando l’attenzione mediatica si sarà abbassata e a Washington saranno impegnati con altro.
Scambio Sala-Abedini: come ne uscirà il governo italiano?
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Autore articolo
Luigi Ambrosio