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Tratto dal podcast
Prisma di ven 11/09
Coronavirus | 2020-09-11
In questi giorni, dopo la proposta della Francia di abbassare a 7 giorni la durata del periodo di quarantena, anche in Italia si sta discutendo della possibilità di ridurre la quarantena da 14 a 10 giorni. Quali sono i rischi di una mossa del genere? Ne abbiamo parlato con Antonella D’Arminio Monforte, primario di malattie infettive e malattie tropicali presso l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano nonché docente di Malattie Infettive all’Università Statale.
L’intervista di Claudio Jampaglia a Prisma.
Quando e come si è contagiosi col coronavirus?
Il coronavirus è un virus e, come tutti i virus, si comporta con una contagiosità che va dal periodo di incubazione, ma soprattutto dagli ultimi giorni del periodo di incubazione, fino ad un tot di giorni dopo l’inizio dei sintomi, perché poi c’è il sistema immunitario che in qualche modo controlla la replicazione del virus. Questo è l’andamento tipico della fase acuta di una malattia virale e non solo. La contagiosità massima è nel periodo in cui il soggetto non ha ancora i sintomi, ma li sta sviluppando, e nei giorni immediatamente successivi.
È vero anche che per questo virus lo zoccolo duro sono le infezioni asintomatiche o paucisintomatiche, coloro che non hanno sintomi o li hanno così lievi da non venir neanche evidenziati e che, invece, continuano ad infettare inconsapevolmente. L’isolamento del contatto stretto in via precauzionale serve per aspettare che si sviluppino i sintomi o di capire se si ha avuto la fortuna di non aver contratto l’infezione.
Quando deve aspettare questo soggetto? Questo soggetto è un soggetto sano con una vita sociale e lavorativa normale che ha avuto la sfortuna di incrociare un positivo al COVID-19. Il massimo possibile dell’incubazione arriva a 14 giorni, quindi per essere certi al 100% – che poi il 100% in medicina non esiste – che non si sia ha contratto l’infezione si dovrebbe stare isolati per 14 giorni: indossare la mascherina in casa, dormire in una stanza isolata e usare un bagno proprio o pianificare il suo utilizzo, tutte cose che non sono proprio così agevoli. E, ovviamente, anche interrompere la vita lavorativa, ancora più complicato per categorie più fragili.
Il governo francese ha valutato che i rischi/benefici non pendono dalla parte del beneficio e quindi ha deciso di ridurre il periodo di incubazione. È vero che nella stragrande maggioranza dei casi il periodo medio è di 5-6 giorni, ma la media come sappiamo vuol dire che ci sono casi per cui il periodo è più breve e casi in cui è più lungo.
Lei quindi è perplessa?
Sì, sono perplessa. Capisco le esigenze e capisco che oltre alla valutazione scientifica c’è anche una valutazione sull’impatto sociale ed economico, ma anche psicologico sul singolo. Capisco che sia molto difficile definire una riduzione del periodo di isolamento e capisco che possa essere qualcosa che ha un senso, soprattutto ora con la situazione epidemiologica attuale.
Mancando una evidenza scientifica ed essendo la misurazione della quarantena una misurazione di carattere statistico, possiamo dire che di fatto si tratta di una scelta politica di medio buonsenso?
Sì, mi sembra un riassunto abbastanza rispondente a quello che penso.
L’Istituto Superiore di Sanità ci ha detto che abbiamo gli stessi numeri di febbraio, e questo allarma ovviamente l’opinione pubblica, ma che la situazione è completamente diversa. Lei sul campo ha questa evidenza?
A febbraio i casi aumentavano in maniera logaritmica di giorno in giorno. Noi qua siamo in presenza di un numero di casi su un numero di tampone molto elevato che oscilla ma è più o meno stazionario. La differenza sta nella ricerca attiva che facciamo ora, e che a febbraio non facevamo perché era successo tutto all’improvviso. La ricerca attiva che facciamo è come andare a scavare sempre di più nella ricerca delle persone asintomatiche o paucisintomatiche, ed è una ricerca estremamente positiva.
Lei crede nella possibilità di processare ancora più tamponi in breve tempo?
Sì, anche noi abbiamo acquisito una macchina che processa molto più velocemente i tamponi. All’inizio dell’epidemia servivano 48 ore per avere l’esito dei tamponi, eravamo proprio su un altro pianeta. La cosa fondamentale che abbiamo fatto è stato attuare delle misure di prevenzione che per la maggior parte delle persone sono ancora in atto, mentre in Francia o Spagna continuano ad avere 7-8mila casi al giorno. Secondo me questo indica che abbiamo fatto un ottimo lockdown, sicuramente meglio di queste due nazioni, e ora la stragrande maggioranza delle persone sta ancora attuando delle misure di protezione individuale che ci preservano dall’aumento esponenziale dei casi.
(Potete ascoltare l’intervista a partire dal minuto 13)