Il racconto della giornata di lunedì 11 dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. In queste ore intensi combattimenti e bombardamenti nelle due principali città della Striscia, Gaza City e Khan Yunis. Zelensky cerca in tutti i modi di mantenere solida l’alleanza con l’Occidente, ma l’operazione non è scontata. Giorgia Meloni parlando del Mes spiega che non si può dire nulla se non si conosce il contesto: il governo italiano trova il modo per rinviare ancora la decisione. Dalla COP28 un grande passo indietro: l’espressione “Phase Out”, che avrebbe indicato l’abbandono graduale dei combustibili fossili, è sparita dall’ultima bozza che ora le parti stanno discutendo.
Gaza: continuano i bombardamenti a Gaza City e Khan Yunis
In queste ore ci sono intensi combattimenti e bombardamenti nelle due principali città della Striscia, Gaza City e Khan Yunis. Questa sera il ministro della difesa israeliano ha detto che nel nord Hamas è stata quasi sconfitta. Mentre nel sud – quindi Khan Yunis – i militari israeliani stanno cercando di colpire le roccaforti del gruppo palestinese. Nelle ultime 24 ore ci sarebbero state decine di vittime. Dall’inizio della guerra – dicono le autorità locali – i morti sono più di 18mila. Oltre 100 invece i soldati israeliani rimasti uccisi dall’inizio dell’operazione di terra. Le agenzie umanitarie hanno ribadito che il sistema degli aiuti non regge più e che il flusso di profughi interni verso Rafah – sul confine egiziano – non è più sostenibile. L’amministrazione Biden ha fatto sapere di essere al lavoro non per una tregua generale ma per delle pause umanitarie.
Nel sud del Libano almeno due vittime civili per il fuoco israeliano. Tra ieri e oggi Netanyahu ha ribadito che la guerra andrà avanti. I media israeliani parlano ancora di uno o due mesi di operazioni militari. In tutto questo la società israeliana non riesce a proporre alternative, come ci ha raccontato Zvi Shuldiner analista e pacifista israeliano, partendo dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso:
Zelensky al Pentagono: “Putin va fermato adesso, ne va della sicurezza di tutta l’Europa”
Sono giorni molto delicati per il futuro della guerra in Ucraina. Zelensky sta cercando in tutti i modi di mantenere solida l’alleanza con l’Occidente, con Europa e Stati Uniti. Ma l’operazione non è scontata. A metà settimana i leader UE dovranno votare il via libera al negoziato per l’ingresso di Kyiv nell’Unione Europea e l’ungherese Orban si è già messo di traverso. Negli Stati Uniti, invece, molti repubblicani continuano a opporsi a un nuovo pacchetto di aiuti militari. Per cercare si sbloccare la situazione Zelensky è andato a Washington per la terza volta dall’inizio della guerra.
(di Emanuele Valenti)
“Putin va fermato adesso, ne va della sicurezza di tutta l’Europa”. Così Volodymyr Zelensky davanti a dei funzionari del Pentagono al fianco del segretario alla difesa Austin. Il presidente ucraino, che domani sarà al Congresso e alla Casa Bianca, ha aggiunto che davanti a deputati e senatori spiegherà i piani militari di Kyiv per il 2024.
Il momento è molto delicato, forse decisivo. Senza le armi americane gli ucraini non possono più ottenere risultati sul campo di battaglia ma a Washington non sono tutti convinti. Molti repubblicani, alla vigilia di un anno elettorale con Trump probabilmente in campo, fanno resistenza. Biden ha proposto un piano da 60 miliardi di dollari, oltre ai 111 dati finora. Per votare a favore – cosa non scontata – i repubblicani vogliono norme più rigide sull’immigrazione, soprattutto per i migranti che entrano dal confine messicano. Questa è la trattativa, questo è lo scambio, dal quale potrebbe dipendere il futuro della guerra tra Russia e Ucraina. Una variabile sulla quale gli ucraini non hanno alcun controllo. Ecco il perché di questo terzo viaggio di Zelensky a Washington, come quello dello scorso settembre molto lontano dalla trasferta da eroe del dicembre 2022.
Questa sera la Casa Bianca ha promesso che gli Stati Uniti saranno sempre al fianco dell’Ucraina e che il nuovo pacchetto di aiuti verrà approvato entro fine anno. Questo è ovviamente da confermare, così come è da capire l’eventuale modalità, visto che sulla carta tra pochi giorni il Congresso dovrebbe fermarsi per la pausa natalizia.
Meloni rinvia il voto sul Mes
(di Anna Bredice)
Ora la parola magica è: “contesto”. Giorgia Meloni parlando del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, spiega che non si può dire nulla se non si conosce il contesto nel quale utilizzare questo strumento. E così agganciandosi alla necessità di capire di più, cosa che avrebbe dovuto fare in questo anno abbondante nel quale si attende solo la decisione dell’Italia, il governo italiano trova il modo per rinviare ancora la decisione, facendo slittare forse il voto a gennaio. La discussione in Parlamento su questo tema è fissata verso la fine di questa settimana, ma l’urgenza di approvare dei decreti in scadenza e poi l’arrivo della manovra economica fa pensare a molti che del Mes se ne parlerà l’anno prossimo, anche perché dalla Lega si è alzato un muro, se arriva in aula voteranno contro.
Intanto una posizione chiara Giorgia Meloni ancora non la prende e ci gira intorno, dice che il dibattito su questo tema è molto ideologico, italiano e anche strumentale. In realtà vorrebbe un modo per uscirne fuori a testa alta, magari cercando di ottenere qualche modifica al Patto di stabilità, prendersene il merito e in cambio cedere sul Mes, senza pagarne troppo i danni dal punto di elettorale. Matteo Salvini ha già dimostrato che condurrà la sua perenne campagna per le europee attaccando Bruxelles. Meloni deve cercare di non subire troppo e così oggi attacca il Pd accusando i passati governi di non aver mai utilizzato i soldi del Mes.
Elly Schlein le risponde quasi in diretta, un botta e risposta che già fa intravedere lo scambio che avverrà nel fine settimana quando da una parte Meloni animerà la festa del suo partito Atreju e dall’altra Schlein organizzerà un forum con Prodi e Letta. Si parlerà di Europa con due visioni distinte. Schlein risponde a Meloni dicendo che Bruxelles sta aspettando il voto dell’Italia sulle modifiche del Mes, gli altri paesi hanno già deciso e ratificato, manca solo Roma e senza questo via libera questo strumento non può entrare in vigore.
COP28: richieste blande sui combustibili fossili
(di Martina Stefanoni)
Se ne è discusso per giorni, sembrava si fosse arrivati a buon punto, ma dopo le pressioni dei paesi dell’OPEC dalla COP28 è arrivato un grande passo indietro. L’espressione “Phase Out”, che avrebbe indicato l’abbandono graduale dei combustibili fossili, dall’ultima bozza che ora le parti stanno discutendo è sparita. Nel testo, si legge così: la presidenza chiede di “ridurre sia il consumo che la produzione di combustibili fossili, in modo giusto, ordinato ed equo, in modo da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050”. Un richiesta blanda e in alcun modo rivoluzionaria come sarebbe stato invece chiedere l’abbandono della produzione. Il documento – che dovrà essere approvato dai 190 paesi presenti al vertice di Dubai – definisce una serie di azioni facoltative che i paesi “potrebbero” intraprendere per ridurre le emissioni. In più, nel testo si esortano le parti ad “accelerare nelle tecnologie a zero e a basse emissioni” facendo riferimento, tra le altre, anche al nucleare.
Il punto centrale, però, resta quello dei combustibili fossili. Solo l’abbandono di quest’ultimi, in tempi brevi secondo la scienza, potrà permettere di ottenere progressi significativi nella lotta al cambiamento climatico. E la rappresentazione plastica della drammaticità di questa decisione arriva dai paesi che sono direttamente colpiti dal cambiamento climatico. “Senza phase out firmiamo la nostra condanna a morte” ha detto ministro dell’ambiente di Samoa, rappresentante delle nazioni insulari del Pacifico. Dello stesso avviso le isole Marshall: “non andremo silenziosamente nelle nostre tombe d’acqua” ha detto il ministro John Silk.
Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia: