Il racconto della giornata di venerdì 3 maggio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Accordo entro una settimana o scatta l’invasione di terra a Rafah: è la minaccia del premier israeliano Benjamin Netanyahu, mentre sulla guerra in Ucraina le parole di Macron arrivano a Roma accolte dal gelo da parte del governo, ancora di più dall’opposizione. Nuovo record del numero degli occupati: a marzo, su base mensile, il tasso di occupazione sale al 62,1% e si avvicina ai 24 milioni di occupati. Non solo le braccia, ma anche la testa: Stellantis continua a spostare fuori dall’Italia, e dall’Europa, consistenti pezzi di produzione e di progettazione. La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Daniela Santanchè e per altre due persone e per due società nel filone del caso Visibilia.
Accordo entro una settimana o scatta l’invasione di terra a Rafah
Accordo entro una settimana o scatta l’invasione di terra a Rafah. È la minaccia del premier israeliano Benjamin Netanyahu, mentre al Cairo i negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi proseguono, senza registrare grandi progressi. Oggi erano in Egitto una delegazione di Hamas e il capo della CIA Burns.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso una nota oggi, definendo l’operazione in preparazione nella città affollata di profughi un “possibile bagno di sangue”. Anche i gazawi sperano nella tregua, anche perché nessun piano di evacuazione dei civili dalla città è stato seriamente allestito, mentre la città viene costantemente bombardata dall’esercito: dei sette morti di stanotte, quattro erano bambini.
La settimana intanto si è conclusa e la Corte Penale Internazionale non ha emesso, fino ad ora, i mandati di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti dei vertici del governo israeliano e, probabilmente, di quelli di Hamas. Di questa possibilità parlano con insistenza da tutta la settimana i media di Tel Aviv.
Le proteste degli universitari contro la guerra di Israele a Gaza vengono intanto represse un po’ ovunque. Stamattina a Parigi è stato sgomberato l’accampamento allestito all’Istituto di politica, Sciences Po. Il presidente Macron ha ribadito che sulla questione sarà usata massima fermezza, ora e in futuro. E si è concluso con uno sgombero anche il presidio alla New York University.
Il gelo di Roma davanti alle parole di Macron sull’Ucraina
(di Anna Bredice)
Le parole di Macron arrivano a Roma accolte dal gelo da parte del governo, ancora di più dall’opposizione. Un ulteriore ostacolo nella linea da tenere nei confronti della guerra in Ucraina, sulla quale Giorgia Meloni teme di rimanere l’unica a Palazzo Chigi con il cerino in mano: filo atlantista, fedele a Kiev, alla ricerca di un equilibrio in Europa che non la esponga troppo prima delle europee e poi capo del governo alla guida del G7. Gli altri suoi alleati stanno cercando una via di uscita. Quella di Salvini è ormai nota, il filo putinismo l’ha trasformato in campagna pacifista, arrivando al paradosso di candidare un “generale per la pace”, ha detto. Tajani si arrampica come può come ministro degli Esteri da un lato e come leader di Forza Italia che con Berlusconi era più a favore di Putin che di Zelensky. Oggi Tajani ha detto che di soldati in ucraina “non se ne parla nemmeno”. È così per il momento, perché ora in discussione c’è l’ennesimo decreto sulle armi da portare approvato al G7 in Italia che si terrà dopo le europee. Come gli altri, secretato e senza discussione e voto in Parlamento, che invece è ciò che chiedono le opposizioni, Verdi e Sinistra italiana per primi. Nei sondaggi la stragrande maggioranza degli italiani chiede una soluzione di pace nel conflitto attraverso la diplomazia e non le armi e di questo tutti i partiti ne devono tenere conto in vista delle europee. Per questo nemmeno Meloni vorrebbe dedicare troppe parole e comizi a favore delle armi all’Ucraina. Sarebbero impopolari, oltre che dare adito a Salvini per continuare ad attaccarla. Nell’opposizione è il Pd il partito che vive più contraddizione su questo tema. Le parole di Marco Tarquinio di cui si conoscono da anni le posizioni, ma ora candidato, creano polemiche da parte di chi invece chiede un sostegno ulteriore di armi a Kiev, ad esempio Lorenzo Guerini ed altri parlamentari, non molti a dire il vero, che sono più distanti dalla posizione di Elly Schlein, che in ogni caso finora ha sempre confermato gli aiuti militare a Zelensky.
Chiesto il rinvio a giudizio per Daniela Santanchè
La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Daniela Santanchè e per altre due persone, tra cui il compagno della ministra Dimitri Kunz, e per due società nel filone del caso Visibilia sulla presunta truffa aggravata ai danni dell’Inps sulla gestione della cassa integrazione nel periodo covid. Secondo l’accusa Santanchè e il compagno avrebbero richiesto e ottenuto “indebitamente”, per un totale di 13 dipendenti, la cassa Covid pur facendoli lavorare.
(di Luigi Ambrosio)
Ora la maggioranza di governo si chiude a riccio e difende Daniela Santanchè, in nome del garantismo. “È solo una richiesta di rinvio a giudizio, non un rinvio a giudizio”, dice a stretto giro il coordinatore di Forza Italia Tajani, dopo che il Pd ha chiesto le dimissioni della ministra del turismo.
Una schermaglia destinata a finire nel nulla, almeno per ora. Il guaio vero arriverà quando Santanchè dovesse essere effettivamente rinviata a giudizio.
“Non c’è alcun imbarazzo nel governo” ha detto Tajani. Forse imbarazzo no, ma un problema politico sì, e molto dipenderà non solo dall’accoglimento della richiesta di rinvio a giudizio ma anche e anzi soprattutto dall’esito delle elezioni europee. Meloni nega di voler fare rimpasti. Se però la Lega dovesse calare molto e Forza Italia rafforzarsi, potrebbe essere l’occasione per regolare qualche conto. Nel frattempo, barricate. Ed è proprio Forza Italia a cercare di capitalizzare. È sicuramente un caso, ma proprio nel giorno della richiesta di rinvio a giudizio per la ministra del turismo viene rilanciata la battaglia per la separazione delle carriere dei magistrati. Il Disegno di Legge Costituzionale verrà presentato, è l’annuncio, entro le elezioni europee. Perfetto argomento da campagna elettorale.
Stellantis cerca ingeneri fuori dall’Italia per risparmiare sul costo del lavoro
(di Massimo Alberti)
Non solo le braccia, ma anche la testa: Stellantis continua a spostare fuori dall’Italia, e dall’Europa, consistenti pezzi di produzione e di progettazione. Ora è alla ricerca di ingegneri, ma lo fa in Marocco, Brasile e India per risparmiare sul costo del lavoro.
In Italia i sindacati chiedono ancora al governo di convocare l’amministratore delegato Tavares. Se le produzioni, anche dei nuovi modelli elettrici, si spostano verso l’est Europa o la Turchia, Stellantis sposterà anche gran parte della sua progettazione nell’ottica di una competizione sul costo del lavoro che si fa sempre più spietata. Secondo quanto riporta Bloomberg, il gruppo franco-italiano, almeno sulla carta, starebbe cercando ran parte dei propri ingegneri in Marocco, India e Brasile, dove la paga per la stessa mansione è il 20/30% di quella in Europa o Stati Uniti. Dove Stellantis il mese scorso ha licenziato circa 400 ingegneri in Michigan per cercarli in Messico. L’obiettivo sarebbe quello di avere almeno due terzi degli ingegneri in Paesi a basso costo del lavoro, secondo quanto riportato dal sito finanziario. Il momento di calo della domanda di veicoli elettrici, la concorrenza cinese, la necessità di abbassare i prezzi per un consumo di massa, sta portando un po’ tutti a scelte in questa direzione: dal taglio di dipendenti (e dei prezzi di listino) di Tesla o Volksvagen, che a sua volta sta delocalizzando le produzioni, o Bmw che sta gradualmente spostando in India le progettazioni. Insomma per l’automotive europeo non tira una bella aria, elettrico o endotermico che sia il motore. E mentre il ministro delle attività produttive Urso continua a lanciare appelli disperati per cercare produttori che investano in Italia, i sindacati chiedono nuovamente al governo di convocare l’amministratore delegato di Stellantis Tavares, a fronte del costante disimpegno negli stabilimenti italiani.
Le luci e le ombre di un sistema produttivo che vive diverse difficoltà
(di Massimo Alberti)
Nuovo record del numero degli occupati. A marzo, su base mensile, il tasso di occupazione sale al 62,1% e si avvicina ai 24 milioni di occupati. Su base annua la crescita è dovuta soprattutto ai contratti a tutele crescenti ed al lavoro autonomo, mentre calano i contratti a tempo determinato. Nel primo trimestre gli occupati sono stati 56 mila in più rispetto al trimestre precedente. Calano però le persone che cercano lavoro, andando ad aumentare il numero degli inattivi.
Lontani dal gridare al miracolo come fa il governo, gli ultimi dati sul lavoro Istat mostrano le luci e le ombre di un sistema produttivo che vive diverse difficoltà. Quale crescita stiamo quindi vedendo? Intanto qualche segno di rallentamento: nel primo trimestre dell’anno la crescita è dimezzata rispetto al primo trimestre 2023. Altra dinamica ormai stabile è l’aumento dei contratti a tutele crescenti rispetto a quelli a tempo: da un lato le forme di precariato si spostano su altro tipo di rapporti ancor più instabili come le collaborazioni, infatti cresce il lavoro autonomo,dall’altro le aziende cercano di tenersi strette figure specifiche che non trovano sul mercato, e che spesso riguardano lavoratori più anziani. Unito all’allungarsi della vita lavorativa, si traduce in crescita dell’occupazione over 50, con un paradosso: l’aumento degli inattivi, cioè di chi non ha un lavoro e non lo cerca, sale proprio in questa fascia anagrafica. In altri termini; sopra i 50 se sei già dentro ci resti, altrimenti hai ben poche possibilità di trovare nuovi lavori. Le aziende preferiscono lavoratori meno costosi, come le fasce giovanili, soprattutto in settori a basso valore aggiunto come il turismo, frutto anche delle dinamiche innescate dagli incentivi che il governo ha appena incrementato col nuovo decreto. La crescita quantitativa dell’occupazione insomma continua a non tradursi in redistribuzione di ricchezza ma semmai la concentra, e questo è ormai un dato strutturale del contesto italiano, fatto di bassi salari e gonfiato dai sussidi.
Libertà di stampa, l’Italia scende alla 46esima posizione
Oggi è la giornata mondiale per la libertà di stampa e Reporter senza frontiere ha pubblicato la sua classifica annuale sui paesi del mondo. Ai primi posti quelli scandinavi, agli ultimi Iran, Corea del Nord, Afghanistan, Siria ed Eritrea. L’Italia scende dalla 41esima alla 46esima posizione ed è 19esima sui 27 stati dell’Unione Europea, avvicinandosi all’Ungheria.
Oltre alla concentrazione nel controllo dell’informazione, come nel recente caso dell’Agi, pesano gli interventi della politica nella limitazione della libertà di espressione, anche con lo strumento della querela, usato in modo disinvolto come strumento di intimidazione.