Il racconto della giornata di venerdì 13 gennaio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. È tregua tra benzinai e governo: i sindacati dei gestori congelano lo sciopero previsto il 25 e 26 gennaio, dopo l’incontro di oggi con i ministri competenti. E intanto Lega e Forza Italia temono i risultati delle prossime elezioni regionali, la prima vera prova dopo le politiche. Brutto segnale per il sistema produttivo italiano: a novembre 2022 la produzione industriale è scesa dello 0,3% sul mese precedente e del 3,7% annuo. Il governo brasiliano ha chiesto di indagare l’ex presidente Bolsonaro per tentato golpe, dopo che nella casa dell’ex ministro della giustizia Torres sono stati trovati documenti che ipotizzerebbero il ribaltamento del risultato delle elezioni di ottobre vinte da Lula tramite un decreto. I tentativi di destabilizzazione e di colpo di stato da parte dell’estrema destra in tutto il mondo hanno una matrice comune: si tratta della retorica dell’insurrezione tra virgolette “dal basso”.
Tregua tra governo e benzinai: congelato lo sciopero del 25 e 26 gennaio
Per ora è tregua tra benzinai e governo: i sindacati dei gestori congelano lo sciopero previsto il 25 e 26 gennaio, dopo l’incontro di oggi con i ministri competenti. La decisione definitiva arriverà dopo un altro incontro, martedì prossimo.
I gestori hanno incassato le scuse del governo che aveva scaricato su di loro la responsabilità dell’aumento dei prezzi, seguita alla cancellazione dello sconto sulle accise. I sindacati rivaluteranno lo sciopero – proclamato dopo il decreto che impone di esporre il prezzo medio dei carburanti – sulla base delle rassicurazioni che il governo darà appunto martedì.
Un nuovo sconto sulle accise non è all’orizzonte, ma potrebbe scattare una sorta di tetto: usando una norma che già esiste e consente di ridurre le accise se il prezzo supera almeno del 2% il valore indicato nel documento di economia e finanza, o in caso i maggiori incassi derivanti dall’Iva. Incassi che Meloni ha negato, ieri intervistata a reti unificate, ma che ci sono già stati nel 2022 per almeno 21 miliardi, proprio grazie all’aumento del prezzo del petrolio.
Se per ora con i gestori dunque ci sono margini per ricucire, gli strascichi restano nella maggioranza, con un pezzo che sulla benzina ha apertamente remato contro Meloni.
Salvini e Berlusconi temono la prima prova elettorale dopo le politiche
(di Anna Bredice)
Il congelamento dello sciopero è stato accolto con sollievo a Palazzo Chigi. Il rischio di proteste e sit-in dei benzinai a due settimane dalle regionali hanno fatto tremare il governo e costretto Giorgia Meloni ad assicurare sulle due tv principali che correrà ai ripari. Benzinai, tassisti, autotrasportatori sono settori che la destra ha sempre considerato come suoi bacini elettorali. Salvini ha utilizzato le proteste dei tassisti per mettere in difficoltà i due ultimi governi, settori che hanno probabilmente votato a settembre a destra e che ora nelle due regioni più importanti tornano alle urne. Le regionali sono la prima prova elettorale dopo le politiche, lo sono soprattutto per gli alleati di Giorgia Meloni, Forza Italia e Lega, in affanno nell’inseguimento della presidente del Consiglio, sempre in primo piano. I sondaggi vedono una distanza molto larga tra il primo partito, Fratelli di Italia, primo sia in Lombardia che nel Lazio, e il secondo che nella regione del Nord è la Lega, nel Lazio Forza Italia. La paura è di perdere ancora consensi, a vantaggio di Giorgia Meloni, cosa che potrebbe portare poi nel governo a maggiori rivendicazioni da parte di Berlusconi e Salvini. Se il capo della Lega lo sta facendo dal primo giorno con l’immigrazione, facendo ogni volta il controcanto a Meloni, Berlusconi si è fatto sentire ora con il tema carburante. Ma anche per Giorgia Meloni esistono dei rischi: sono già parecchie le promesse al suo elettorato di destra disattese, il limite al contante nei pagamenti con il pos, poi il decreto rave, ora la benzina e nel prossimo futuro il Mes, tema che ha a che fare con le attese dell’Europa. Giorgia Meloni ha fatto intendere che il Parlamento potrebbe ratificarlo, l’Italia è l’unico paese che manca al voto, ma solo qualche mese fa diceva esattamente il contrario.
Il rallentamento della produzione industriale in Italia
(di Massimo Alberti)
Brutto segnale per il sistema produttivo italiano. A novembre 2022 la produzione industriale è scesa dello 0,3% sul mese precedente, e del 3,7% annuo. Il rallentamento di produzione dovuto ai prezzi dell’energia, il calo della domanda, hanno inciso su un dato che conferma i timori di recessione nei prossimi mesi, e potrebbe allontanare l’Italia dall’andamento degli altri paesi industrializzati europei.
Oltre al settore energetico, sono la manifattura e la chimica a frenare la produzione industriale italiana, ed è una pessima notizia. “È un segnale allarmante per l’effetto che inevitabilmente avrà su tutte le filiere produttive a valle” dice il presidente di Federchimica, produttore di beni intermedi per eccellenza e spia di come sta girando nell’industria.
Il contesto è quello che è: la stretta monetaria della banca centrale che frena gli investimenti, il prezzo che resta molto elevato – almeno in Italia – dei beni energetici, l’inflazione più alta che nel resto d’Europa che frena la domanda. Difficile, in questo quadro, pensare ad una crescita. I rapporti dei centri studi delle banche sono cupi. Per Mediobanca è possibile una lieve recessione, e l’inflazione dilagante può smorzare i consumi. “Non ci aspettiamo un significativo miglioramento delle prospettive per l’industria nei prossimi mesi”, scrive Andrea Volpi, direttore del centro studi di Intesa Sanpaolo. “Le indagini di fiducia restano su livelli recessivi e indicano che gli ordinativi continuano a calare e il supporto proveniente dalle commesse inevase sta iniziando a diminuire” continua l’analisi, concludendo che la recessione a inizio 2023 appare probabile. E così se nel resto d’Europa, dove i governi hanno agito tempestivamente proprio sul fronte energetico, le previsioni si fanno via via meno pessimiste, il cammino dell’Italia sembra prendere una direzione diversa.
Brasile, il governo chiede di indagare Bolsonaro per tentato golpe
L’ex presidente brasiliano Bolsonaro potrebbe aver pianificato un colpo di stato già prima dell’assalto alle istituzioni di Brasilia di domenica scorsa. Oggi, infatti, il governo brasiliano ha chiesto di indagare l’ex presidente Bolsonaro per tentato golpe, dopo che nella casa dell’ex ministro della giustizia Torres sono stati trovati documenti che ipotizzerebbero il ribaltamento del risultato delle elezioni di ottobre vinte da Lula tramite un decreto. Un piano precedente al assalto portato avanti dai suoi sostenitori.
Il governo brasiliano ha anche annunciato che la prossima settimana chiederà agli Stati Uniti l’estradizione di Anderson Torres, ex ministro della Giustizia di Bolsonaro. “Torres ha annunciato che si sarebbe presentato a Brasilia – ha detto l’attuale Ministro della Giustizia Flavio Dino – ma ciò non è avvenuto e poiché c’è un ordine di arresto aspetteremo fino a lunedì e poi chiederemo la sua estradizione”. Sentiamo il nostro collaboratore da Rio de Janeiro Luigi Spera:
Secondo i media brasiliani la procura generale brasiliana avrebbe intenzione di inviare una missione ufficiale negli Stati Uniti per confrontarsi con le autorità giudiziarie locali sul tentativo di golpe a Brasilia. L’aspettativa dell’incontro è che i funzionari del Dipartimento di giustizia americano trasmettano la loro “esperienza” su come si è svolto a Washington il processo successivo all’invasione di Capitol Hill del 2021 da parte dei sostenitori di Donald Trump. Un’ulteriore dimostrazione del filo rosso che lega i due eventi.
Da Washington a Brasilia a Roma, il metodo insurrezionalista delle destre radicali mondiali
(di Luigi Ambrosio)
I tentativi di destabilizzazione e di colpo di stato da parte dell’estrema destra in tutto il mondo hanno una matrice comune. Si tratta della retorica dell’insurrezione tra virgolette “dal basso”.
È la teoria cosiddetta del “popolo contro le élite”. Elaborata negli ambienti della destra radicale statunitense, quella che ha contribuito a creare il fenomeno Trump, e poi adottata ovunque, l’ideologia -e l’immaginario- di una rivolta di popolo contro il potere da fenomeno social della metà degli anni ’10 si è trasformata in uno strumento concreto, violento, di azione. Uno strumento nelle mani dell’estrema destra.
Quello che abbiamo visto a Brasilia -i manifestanti che fanno l’assalto fisico ai palazzi delle istituzioni- è la fotocopia di quanto accaduto a Washington due anni fa. Un tentativo di insurrezione che ha modalità simili ad altri tentativi di aggressione ai simboli della democrazia. Progettati, come in Germania, dove 25 persone sono state arrestate lo scorso mese di dicembre per avere pianificato un assalto al Parlamento. O realizzati, come la devastazione della sede alla Cgil da parte di esponenti di Forza Nuova durante una manifestazione no vax a Roma nell’ottobre del 2021.
L’humus culturale è comune. Sfiducia e l’odio per le istituzioni democratiche e complottismo: le elezioni rubate, i governi mai eletti dal popolo, le teorie antivacciniste e quelle contro Big Pharma. La simpatia per i regimi autocratici, su tutti ovviamente la Russia di Putin.
Complottismo, fake news e fatti alternativi. È il contesto ideologico che fornisce il terreno di coltura di tutte le destre radicali in tutto il mondo occidentale.
Perché Soledar è così importante per la Russia?
A Soledar “la battaglia continua”. Lo sostiene lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine, continuando a negare l’annuncio fatto dal Ministero della Difesa russo che in mattinata ha annunciato la presa della cittadina a 10 km da Bakhmut. Ma secondo diversi reporter sul posto, è in corso da questa mattina il ritiro della truppe ucraine, in quella che sembra essere una ritirata organizzata e senza panico.
L’ufficio presidenziale ucraino ha descritto la situazione a Bakhmut e Soledar come una “battaglia di Verdun nel 21esimo secolo”. Paragonando gli scontri nell’est del paese con la più lunga battaglia della Prima guerra mondiale e che ha portato a enormi perdite.
Ma perché Soledar è così importante per la Russia? L’abbiamo chiesto al nostro collaboratore Sabato Angieri a lungo inviato in Ucraina:
Le proteste degli attivisti del clima a Luetzerath non si fermano
Non si fermano le proteste a Luetzerath, in Germania, dove da giorni è in corso un’occupazione degli attivisti per il clima tedeschi per evitare che il villaggio si trasformi in un sito per l’estrazione del carbone. Oggi c’era anche Greta Thunberg, che ha parlato di violenza scandalosa da parte della polizia che sta tentando di sgomberare il villaggio. Prevista una grande marcia per domani. Le proteste stanno mettendo in difficoltà anche il governo ed in particolare i Verdi: oggi il Ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck ha ribadito la necessità di usare più carbone per far fronte alla crisi energetica. Abbiamo chiesto un parere su questa vicenda a Maria Grazia Midulla, responsabile clima ed energia del WWF in Italia: