Approfondimenti

I primi risultati del voto negli USA, le tensioni tra Europa e Italia sull’accoglienza dei naufraghi e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di mercoledì 9 novembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Ci vorrà ancora qualche settimana per arrivare alla certificazione definitiva del risultato delle elezioni di midterm negli Stati Uniti, ma un senso sulla direzione del voto c’è già. I soldati russi si sono ritirati da Kherson, l’unico capoluogo di regione occupato dall’inizio dell’invasione in Ucraina. La vicenda delle navi di salvataggio delle Ong non si è ancora conclusa del tutto. Se i naufraghi della Geo Barents e dell’Umanity 1 sono sbarcati ieri sera a Catania, quelli a bordo della Ocean Viking di SOS Mediterranee sono in viaggio verso la Corsica, ma non sanno ancora dove sbarcheranno. Oggi, intanto, la Commissione Europea ha presentato a Bruxelles la riforma del patto di stabilità, le regole da rispettare per i bilanci degli Stati membri.

La tenuta dei democratici negli USA in attesa dei risultati definitivi

(di Roberto Festa)

Il quadro è ancora in movimento, potrebbero volerci giorni, forse settimane, per arrivare alla certificazione definitiva del risultato. C’è comunque un senso sulla direzione di questo midterm. La Camera è probabilmente destinata a passare ai repubblicani, anche se non con i numeri sperati. Poco fa è arrivata la notizia che Sean Patrick Maloney, uno degli uomini più potenti del Partito Democratico, ha riconosciuto la sconfitta. È un evento di rilievo, data la statura di questo politico dello Stato di New York. Comunque, la direzione alla Camera è questa: un prevalere, ma contenuto, dei repubblicani. Al Senato la situazione è più fluida. I democratici hanno conquistato un seggio importante, in Pennsylvania, con John Fetterman, ma lo scrutinio è ancora in corso in Nevada, Arizona e Georgia, con i democratici ben posizionati ma i giochi ancora aperti. In Georgia, tra l’altro, se nessun candidato raggiunge il 50% più uno dei voti, si va a un secondo voto, il 6 dicembre. Questa la ragione perché forse ci vorranno settimane per arrivare al risultato definitivo. Al Senato i partiti si giocano la maggioranza su uno-due seggi.

In queste ore si analizzano i flussi elettorali. Sicuramente, il voto delle donne, dei giovani, e di certi gruppi come afro-americani e ispanici, ha premiato ancora i democratici. Le prime analisi mostrano però che giovani, donne e soprattutto ispanici sono andati alle urne in misura minore, rispetto al 2020, le presidenziali di Biden e Trump, e questo spiegherebbe la tenuta, con qualche cedimento, dei democratici.
C’è secondo me un altro dato interessante, e riguarda la classe media dei sobborghi urbani, che alternativamente sceglieva democratici o repubblicani. Le prime analisi dei flussi elettorali mostrano che, si tratti dell’area metropolitana di Atlanta che vive un forte boom, si tratti dei sobborghi di Philadelphia o della Virginia settentrionale, che confina con Washington DC, questa borghesia suburbana è diventata un gruppo elettorale piuttosto affidabile per i democratici. Questa è una delle ragioni probabilmente che spiegano la tenuta dei democratici.

Stamane ci sono fonti che raccontano che Donald Trump è furibondo, chiuso nella sua casa di Mar a lago, se la prende con chi gli avrebbe consigliato di sostenere candidati poi risultati perdenti. Direi che con questo midterm entrano al Congresso, soprattutto alla Camera, un numero consistente di conservatori che in modi diversi appoggiano la visione politica di Trump e che sono stati simpatetici con la tesi dei brogli elettorali nel 2020. Ma le sfide cui Trump teneva di più, in Pennsylvania, Georgia, Michigan, Arizona, sono per lui perse. A questo va aggiunto il trionfo personale di Ron DeSantis. In Florida DeSantis si posiziona come certo candidato repubblicano per le presidenziali 2024. Di qui il possibile nervosismo di Trump, che dovrebbe presentare la sua candidatura per il 2024 martedì prossimo. Certo, se lo farà, non lo farà circondato da quell’atmosfera di trionfo che Donald Trump avrebbe sperato.

I russi si ritirano da Kherson

(di Emanuele Valenti)

Il ritiro dei russi da Kherson è importante e ci dice alcune cose. La prima: i russi si ritirano dall’unico capoluogo di regione occupato dall’inizio dell’invasione, oltretutto occupato nei primissimi giorni di guerra. Mosca conferma di essere in difficoltà e di non essere in grado di tenere tutti i territori annessi solo poche settimane fa. L’omonima regione di Kherson è una delle quattro regioni annesse da Putin. Hanno parlato di scelta dolorosa stretti alleati del Cremlino e anche diversi analisti militari russi.
La seconda: come hanno indicato fonti militari ucraine la situazione è ancora poco chiara. Non è certo che stiano uscendo da Kherson tutte le unità militari russe. La strategia potrebbe essere quella di spingere gli ucraini nell’area urbana e attaccarli poi dalla sponda orientale del fiume Dnipro. Per questo è probabile che al momento gli ucraini – che oggi sono a circa 30 chilometri dalla città – non entrino a Kherson.
La terza cosa, la geografia: il fiume Dnipro diventa a questo punto una barriera di difesa naturale per i russi nella regione di Kherson, che è esattamente sopra la Crimea. Impensabile al momento che la lascino, perché vorrebbe dire lasciare scoperto il territorio più importante preso agli ucraini in questi anni, la Crimea appunto (2014), dove oltretutto c’è la marina russa sul Mar Nero.
La quarta e ultima cosa, la diplomazia: abbiamo citato la prudenza espressa subito dagli ucraini. Non solo dai militari, ma anche dai politici. Ha chiesto per esempio cautela il consigliere di Zelensky Podolyak. Ma cosa farà Kyiv a questo punto? La riconquista di Kherson – se e quando arriverà – potrebbe aprire a un negoziato? O come hanno detto fino a ieri gli ucraini parleranno con Mosca solo quando i russi si saranno ritirati da tutti i territori occupati? Il negoziato o almeno il dialogo, magari in una prima fase non ufficiale, è una possibilità. Sappiamo che alcuni alleati occidentali vorrebbero proprio che a un certo punto la guerra si fermi e sappiamo anche che Mosca e Washington hanno mantenuto aperti i canali di comunicazione, soprattutto sulla questione delle armi nucleari.

La Commissione UE presenta la riforma del patto di stabilità

La riforma del patto di stabilità è stata presentata oggi a Bruxelles dalla Commissione. Non è ancora definitiva, perché – prima – deve passare anche dai governi. Il patto di stabilità – cioè le regole da rispettare per i bilanci degli stati – era stato sospeso per il COVID. L’anno prossimo tornerà in vigore, ma con regole diverse. Che avranno un peso notevole su quello che gli Stati dovranno fare.

(di Alessandro Principe)

Regole meno dure ma controlli più forti. Il senso potrebbe essere riassunto così. Vediamo in che modo. I due parametri principali rimangono: uno Stato non può fare più deficit del 3% del Pil. E non può avere un debito totale oltre il 60% del Pil. L’Italia, per dire, è attorno al 150%, la media dei paesi dell’euro è vicina al 100. Quindi non ha senso pretendere tagli draconiani che nessuno si può permettere in questo momento e che tanto non farebbe. Allora la Commissione dice: ci deve essere almeno un percorso di riduzione del debito. Darà a ogni Paese un piano di quattro anni. Il governo nazionale ne presenta uno suo. Si tratta. Bruxelles alla fine lo approva. E poi si parte. A quel punto la Commissione controlla. L’importante è che il debito scenda. I quattro anni possono diventare 7, ma la direzione deve essere quella. Altrimenti, possono essere sospesi i fondi europei, compresi quelli del Recovery Fund.
Come si legge nella relazione presentata oggi: “La Commissione controllerà costantemente l’attuazione dei piani. Gli Stati membri presenteranno relazioni annuali sullo stato di avanzamento dell’attuazione dei piani per facilitare un monitoraggio efficace e garantire la trasparenza”. Per fare il nostro caso, Meloni e Giorgetti devono essere in contatto costante con Bruxelles, che verifica che riforme e investimenti siano coerenti col piano concordato. Insomma se da un lato c’è più flessibilità rispetto al Patto originario, dall’altro un paese super indebitato come l’Italia rischia di trovarsi di fatto commissariato. Con buona pace delle aspirazioni nazionaliste del tipo: Europa, è finita la pacchia.

Francia e Commissione UE bacchettano l’Italia sul rispetto delle leggi internazionali

(di Massimo Alberti)

La vicenda delle navi di salvataggio delle Ong non si è ancora conclusa del tutto.
I naufraghi della Geo Barents e dell’Umanity 1 sono sbarcati ieri sera a Catania, ufficialmente dopo l’allarme dei medici per i rischi psicologici e di scabbia, ma c’è una nave che ancora non sa cosa fare. La Ocean Viking della ONG SOS Mediterranee si trova al largo della Sardegna: è diretta in Corsica, ma non è ancora chiaro dove sbarcherà le persone a bordo. Una mediazione con Parigi che da un lato boccia soronamente la linea del ministero dell’interno italiano, dall’altro lascia aperta la questione della gestione delle migrazioni in Europa e del rapporto con l’Italia.
Dal governo francese nonostante le apertura all’accoglienza dei 234 naufraghi della Ocean Viking, non è ancora arrivata alcuna autorizzazione ufficiale, anzi: il governo francese e la Commissione Europea hanno ribadito che l’Italia deve rispettare le leggi internazionali, che vorrebbe dire sbarcarli in Italia e solo poi trasferirli in Francia. Almeno fino a quando la nave, diretta in Corsica ufficialmente per sua scelta, non sarà in acque francesi. A quel punto la Francia, nel rispetto di quelle stesse norme, assegnerà il porto, probabilmente Marsiglia.
È solo un pezzo del probabile accordo tra Meloni e Macron che si sono visti in Egitto alla Cop 27. È quello che ha fatto esultare la destra: è cambiata l’aria in Europa, ha detto Salvini. Ma ieri era arrivato anche il precipitoso sbarco di tutti i naufraghi bloccati a Catania. È l’altro pezzo dell’accordo quello in base a cui Meloni ha dovuto di fatto rinnegare il decreto sullo “sbarco selettivo” dell’alter ego tecnico di Salvini, il ministro dell’interno Piantedosi, facendo invece scendere tutti.
Meloni ha dato la colpa ai medici – facendo infuriare l’ordine – ma non è palesemente stata solo questione sanitaria. Che poteva essere valida prima, parliamo di persone uscite vive dall’inferno dei lager libici, come tra qualche giorno, se il governo avesse voluto continuare a mostrare i muscoli. Meloni voleva certo farlo, scegliendo il blocco eclatante invece di ricalcare le orme di Lamorgese, che coi blocchi amministrativi faceva lo stesso, ma in silenzio. Ma ha dovuto recedere. La questione in Europa non è comunque ancora chiusa: Bruxelles ribadisce da un lato che tutti devono collaborare all’accoglienza, ma dall’altro che i naufraghi vanno sbarcati nel primo porto sicuro, cioè l’Italia. Che lunedì dovrà renderne conto al Consiglio Europeo.

Fontana ricandidato è una buona notizia per le opposizioni

(di Claudio Jampaglia)

L’addio di Moratti lo ha lasciato in corsa da solo e così, come se fosse stato tutto previsto, la ri-candidatura di Attilio Fontana è riufficializzata a sei mesi dalla disponibilità del presidente. Il ritornello dice “continuità” senza nemmeno una conferenza stampa e fa calare il velo sulle alternative mai ufficializzate come il leghista Massimo Garavaglia, ex assessore al bilancio e ex ministro, rimasto senza poltrona, e scemano anche le velleità del primo partito in Regione, Fratelli d’Italia che col suo 28% alle politiche anche in Lombardia avrebbe voluto pesare di più ma non aveva un candidato disponibile migliore del fratello La Russa.
Così Fontana viene salutato come “il miglior candidato per le opposizioni” dal capogruppo del Pd Fabio Pizzul e come “un candidato per perdere” da quello 5 Stelle Nicola Di Marco. Peccato che le due principali forze d’opposizione non si uniscano per provarci davvero. Perché in questo momento la destra ha i numeri per vincere anche con Fontana, nonostante sia più che deludente: inadatto e screditato, tra gaffe memorabili, casi imbarazzanti come le forniture dei camici del cognato o i fondi familiari per milioni di euro in Svizzera, legittimi, ma comunque inopportuni per un amministratore pubblico, i casi di malagestione come Aria, la centrale unica degli acquisti voluta da lui, oppure la dimenticata vicenda della Lombardia Film Commission con le condanne dei contabili della Lega per una truffa da 800 milioni di euro alla regione. Per non dire della Pedemontana, l’autostrada ribattezzata la Salerno-Reggio Calabria della Lega, 3 miliardi di euro accollati ai contribuenti grazie al fallimento della prima società e l’assorbimento della seconda società promosso dalla giunta Fontana. Per arrivare alla sanità fuori controllo col cambio di 2 assessori e 3 direttori generali. Chissà se sull’argomento avrà qualcosa da dire Letizia Moratti, l’unica sfidante per ora in corsa.

Addio alla cantante brasiliana Gal Costa

È morta la cantante Gal Costa, una delle voci più importanti e riconosciute della musica brasiliana. Il servizio di Monica Paes:


 

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