Il racconto della giornata di mercoledì 3 aprile 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. La Nato sta studiando la creazione di un fondo da 100 miliardi di dollari a Kiev per far fronte al possibile disimpegno statunitense in caso di vittoria di Trump. Sta aumentando l’isolamento internazionale di Tel Aviv e del governo Netaniahu dopo l’uccisione di 7 operatori umanitari internazionali, ma la guerra a Gaza non si ferma. Al via alla Camera le mozioni di sfiducia a Matteo Salvini e Daniela Santanchè dall’esito scontato. Oggi il padre di Ilaria Salis, Roberto Salis, ha incontrato Elly Schlein al Nazareno. Domani Confindustria eleggerà il suo nuovo presidente: l’emiliano Emanuele Orsini, rimasto unico candidato dopo il ritiro di Edoardo Garrone.
Più soldi e più armi dalla Nato a Kiev
Più soldi e più armi a Kiev per vincere la guerra contro la Russia. I ministri degli esteri dei paesi della Nato si sono riuniti oggi a Bruxelles, un incontro preparatorio del vertice del prossimo luglio di Washington. Il segretario generale Stoltenberg ha ribadito la linea dell’alleanza ed è tornato a chiedere un maggiore sforzo in termini di forniture di armi. Il fattore tempo è considerato cruciale: la Nato sta studiando la creazione di un fondo da 100 miliardi di dollari a Kiev per far fronte al possibile disimpegno statunitense in caso di vittoria di Trump ma quel giorno è lontano e ancora oggi un gruppo di alti ufficiali ucraini ha definito imminente la possibilità di uno sfondamento del fronte da parte delle forze di Mosca. Emanuele Valenti:
Netaniahu sempre più isolato a livello internazionale
Nel corso della riunione il segretario generale della Nato ha usato anche parole particolarmente dure a proposito della condotta di guerra israeliana a Gaza. “Nella Striscia vediamo una catastrofe umanitaria”, ha detto Stoltenberg, che ha condannato l’uccisione ieri da parte dell’esercito israeliano di 7 operatori umanitari internazionali che stavano portando aiuti alla popolazione. In generale, l’episodio sta accrescendo l’isolamento internazionale di Tel Aviv e del governo Netaniahu. La Polonia (era polacco uno degli operatori uccisi) ha convocato per chiarimenti l’ambasciatore israeliano a Varsavia. Il premier spagnolo Sanchez ha definito insufficiente la ricostruzione israeliana dell’incidente. Monta la polemica anche in Gran Bretagna e ancora risuonano le parole di condanna di Joe Biden. Come viene vissuta in Israele questa fase della guerra? Eric Salerno, giornalista ed esperto di Medio Oriente:
La guerra a Gaza continua intanto a fare vittime, decine nelle ultime 24 ore secondo fonti palestinesi. Due erano giornalisti, il che porta a 140 il numero di reporter uccisi nella striscia dal 7 ottobre a oggi: più del doppio di quanti ne sono stati uccisi in tutto il mondo nel 2022 (prima cioè dello scoppio di quest’ultima guerra). All’indomani della strage degli operatori internazionali, 13 organizzazioni non governative hanno diffuso un appello per chiedere un immediato cessate il fuoco: nessun luogo è sicuro a Gaza, il tempo per proteggere i civili sta finendo, vi si legge. Marco de Ponte, è il direttore dell’ong Action Aid:
L’esito scontato delle mozioni di sfiducia a Salvini e Santanchè
(di Anna Bredice)
Intorno alle 4 del pomeriggio, poco prima che iniziasse la discussione sulla mozione che ha come oggetto proprio lui, Matteo Salvini si è preso anche il gusto di rispondere al Question time alla Camera dei deputati su tutt’altro argomento e poi andarsene, salutando i suoi colleghi. Tanto per lui e per il resto della maggioranza l’esito è scontato. La mozione di sfiducia non passerà, i pur presenti malumori dei meloniani sulla linea filo putiniana di Salvini, che sta dando così tanti pensieri a meloni nei rapporti con il resto dell’Europa oggi non contano, conta solo ricompattare la maggioranza e passare oltre, soprattutto guardare alle europee senza troppe tensioni e accontentarsi del minimo sindacale concesso da Salvini ieri, e cioè che l’oggetto del contendere della mozione di sfiducia, i rapporti economici con il governo di Mosca sarebbero stati stracciati nel momento in cui Putin ha invaso l’Ucraina. Giorgia Meloni si accontenta di questo, ma non vuole però metterci la faccia nella difesa del suo alleato, oggi non è in aula, ma non lo è neppure Salvini. L’importante per il governo è che tutto finisca in fretta e il voto arrivi in tarda serata senza grandi clamori, come accadrà del resto visto che il voto nominale è iniziato solo da poco. Durante la discussione le opposizioni hanno anche espresso posizioni diverse, i cinque stelle sono stati accusati anche da Italia viva di aver difeso Putin quando capo del governo era Giuseppe Conte e di averlo sostenuto criticando gli armamenti a Kiev. Ascoltando gli interventi della maggioranza, sul banco degli imputati sembrano esserci andati i partiti di opposizione. La mozione contro Salvini avrà un esito scontato, così come quella contro Santanchè che si voterà domattina. Anche in quel caso, la ministra non ci sarà, probabilmente nemmeno Meloni e poi si attenderà il rinvio a giudizio, solo dopo questo le cose potranno cambiare.
L’incontro tra Roberto Salis e Elly Schlein al Nazareno
Oggi il padre di Ilaria Salis, Roberto Salis, ha incontrato Elly Schlein al Nazareno. Per alcune ore è circolata l’ipotesi che Ilaria Salis, detenuta a Budapest in condizioni durissime, fosse candidata alle europee col Pd. Una ipotesi confermata da fonti Pd che hanno descritto una iniziativa della segretaria Schlein che avrebbe incontrato però l’opposizione di diversi settori del partito. Poco fa Schlein ha smentito: “L’ipotesi non è in campo -ha detto la segretaria- non facciamo totonomi su un caso così delicato”.
Se ci siano state pressioni su Schlein per evitare la candidatura non è trapelato dal Nazareno, quel che è emerge è che le perplessita erano trasversali: dall’area riformista a quella Orlando a sinistra.
A pesare, oltre ai capi di accusa nei confronti di Salis, i rischi di possibili reazioni dei governi ungherese e italiano. Una eventuale elezione al Parlamento europeo darebbe a Ilaria Salis l’immunità parlamentare ma nei giorni scorsi Roberto Salis aveva espresso i timori per una eventuale bocciatura alle elezioni.
Emanuele Orsini verso la presidenza di Confindustria
Domani Confindustria eleggerà il suo nuovo presidente: l’emiliano Emanuele Orsini, rimasto unico candidato dopo il ritiro del presidente di Erg e del Sole 24 ore Edoardo Garrone. Sarà Orsini dunque il successore di Carlo Bonomi, che lascia un’associazione divisa e indebolita, quanto iper-tutelata dalla politica.
(di Massimo Alberti)
Il tribolato percorso che porta Confindustria alla nuova guida rispecchia anni in cui la gestione Bonomi ha visto non pochi scontri interni. L’ex uomo di Assolombarda lascia un’associazione divisa, indebolita sotto molti aspetti, che ha interpretato il suo tempo in modo controverso. Bonomi non era industriale in senso stretto, ma gestore d’impresa attraverso una lunga catena di controllate. Il suo mandato ha sancito la fine dell’epoca degli imprenditori che, pur con tutte le ambiguità, mettevano al centro il prodotto, rappresentando invece il nuovo corso di una pezzo di imprenditoria che dall’industria sposta i propri affari verso la finanza. Una posizione spesso orientata a difesa dell’azione di fondi esteri, che portano via il lavoro dall’Italia, indebolendone il tessuto, che a tutelare l’impresa. Ponendosi come mediatore tra i nuovi padroni della finanza internazionale, che di fatto gestiscono,e spesso possiedono le produzioni materiali, e i tessuti produttivi locali. Per tenersi buona la fetta più tradizionale degli imprenditori, ha puntato tutto sull’avidità, ottenendo risultati non solo per merito suo. Complici i governi -Draghi prima, Meloni poi col suo “non si disturba chi produce” – che di fondo ne condividevano la visione, ha voracemente puntato ad ottenere sempre di più dalla politica: un sussidistan di sgravi, sconti, incentivi, un mercato del lavoro sempre più precario che non a caso ha portato l’Italia ad essere il paese Europeo con la più alta quota di profitti rispetto ai salari. Sempre nel nome, ovvio, dell’«interesse pubblico» e del «bene comune», sostenuto da politica e media in questa narrazione. E mentre Bonomi si offriva come presidente della Lega Calcio, l’Italia ha imboccato la strada della deindustrializzazione. La latitanza di Confindustria su vicende come la transizione, se non in termini di conservazione, è simbolo di un paese che da tempo ha smesso di aver voglia di investire ed innovare. L’emiliano Emanuele Orsini è il classico piccolo-medio imprenditore del territorio, sostenuto dagli industriali del nord est in contrapposizione ai grossi nomi del nord ovest. Sulla carta è un profilo radicalmente diverso, se non opposto, certo più pragmatico e rappresentativo del tessuto italiano. Basterà a cambiare corso?
Dopo una campagna elettorale fatta di lettere anonime, dossier, scambi di accuse, veleni trascinati dalla gestione Bonomi, di fronte ad una conta ed alla prospettiva di una presidenza nata già debole, gli imprenditori come sempre si sono ricompattati, almeno per ora e il passo indietro di Edoardo Garrone, presidente di Erg e del Sole 24 Ore è per certi versi una sorpresa. Sostenuto, appunto dai grossi nomi dell’industria del nord ovest, tra cui Marcegaglia di cui fu già vice, oltre che dall’establishment dell’organizzazione. La sua era vista come una sorta di candidatura politica e di rappresentanza, in qualche modo in continuità con quella di Bonomi. Il passo indietro è sintomo che l’orientamento è stato invece verso una candidatura che rispecchia, nel bene e nel male, il mondo della piccola e media impresa che costituisce il tessuto italiano. Come Orsini lo interpreterà è tutto da vedere, perché il mantra dei “fondi pubblici” non basta più. Certo, c’è una transizione da gestire e su questo Orsini, con esperienza in diversi settori industriali, si propone di giocare non solo sulla difensiva, almeno a parole, per quanto preoccupato “dagli obblighi imposti dall’Europa”. Ma le sfide del mondo che cambia sono diverse: quelle dei salari, del welfare aziendale, dei tempi di lavoro, su cui proprio la piccola e media impresa ha mostrato in questi anni un atteggiamento ambivalente, tra conservazione e pragmatismo: di fronte a milioni di lavoratori che attendono i rinnovi contrattuali, di fatto frenando i consumi interni, già a suo tempo Federlegno, da cui Orsini proviene, ruppe clamorosamente con la linea di Bonomi, Oltre alle dichiarazioni di circostanza un po’ consuete, sarà la prova dei fatti a dire se gli industriali italiani intendono davvero cambiare strada e scegliere se l’Italia continuerà a puntare sulla competizione, perdente, sul costo del lavoro o tornare davvero a fare impresa.