Il racconto della giornata di mercoledì 22 febbraio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. L’attacco di Zelensky a Berlusconi ieri ha reso palese il fallimento della missione di Giorgia Meloni a Kiev, col leader di Forza Italia sempre più nervoso. “Difenderemo ogni millimetro del territorio NATO”: lo ha detto Biden in occasione della riunione con i capi di governo dei paesi più orientali dell’Alleanza Atlantica. L’appello di Yevgeny Prigozhin, intanto, mostra la profondità della frattura tra l’oligarca e il ministro della difesa Shoigu e segna una nuova distanza tra il padrone della Brigata Wagner e Vladimir Putin. QF Spa, la società che aveva rilevato lo stabilimento della Gkn a Campi Bisenzio, è stata messa in liquidazione come gli operai sospettavano che sarebbe accaduto. In Cisgiordania, a Nablus, 10 palestinesi sono stati uccisi, oltre 100 i feriti durante un incursione dell’esercito israeliano.
Il fallimento della missione di Meloni a Kiev e le tensioni con Berlusconi
(di Anna Bredice)
“Uomo di pace, ci vuole la Nato”. Le battute tra i parlamentari di Forza Italia si sprecavano oggi in Transatlantico, a dissimulare però un imbarazzo creato da un contrasto ormai evidente tra Berlusconi e Meloni sull’Ucraina. Chi ci fa le spese in qualche modo, perché deve sempre aggiustare le cose, è il ministro degli Esteri Tajani, che ancora oggi dice che il suo partito ogni volta ha votato contro la Russia e a favore dell’Ucraina. Tutto questo non toglie il fatto che l’attacco di Zelensky a Berlusconi ieri ha reso palese il fallimento della missione di Meloni a Kiev, andata in Ucraina per assicurare tutto l’appoggio possibile ora e dopo la guerra, ma è tornata a casa con la conferma che Zelesnky sembra vedere nell’Italia più la parte scura, e cioè Berlusconi amico di Putin, che quella chiara, Meloni che si affanna a promettere sostegno e vicinanza a Kiev. L’Italia continua ad essere per l’Ucraina e forse per l’Europa un paese inaffidabile sul fronte della guerra tra Russia e Ucraina. La domanda su Berlusconi era abbastanza prevedibile, eppure lo stupore di Meloni nel sentire una risposta così dura di Zelensky a mezzo metro da lei, quasi ad annullare quella dimostrazione di compattezza del Paese che lei aveva garantito, sembrerebbe voler dire che la delegazione italiana non ha saputo affrontare una tale evenienza. A questo si aggiunge anche la casualità del viaggio di Biden proprio nelle ore precedenti, che ha oscurato la missione italiana, la ricerca di Meloni di un incontro con il presidente americano, risolto in una telefonata. Ora alla presidente del Consiglio restano un po’ i cocci da rimettere insieme, riparare all’offesa in cui si è ritirato Berlusconi, perché non l’avrebbe difeso abbastanza dalle parole di Zelenski, ma è possibile che il contrasto tra i due andrà avanti così non solo sull’Ucraina ma anche su tanti altri temi.
Nessun vuole che il conflitto esca dai confini ucraini
(di Emanuele Valenti)
“Difenderemo ogni millimetro del territorio NATO”. Sono le parole di Biden, questo pomeriggio, in occasione della riunione con i capi di governo dei paesi più orientali dell’Alleanza Atlantica – dai paesi baltici fino alla Bulgaria. Alcuni avrebbero preferito un impegno maggiore di Washington per la loro sicurezza, nel caso di un attacco diretto da parte della Russia.
La questione verrà probabilmente discussa al prossimo vertice NATO, in estate, ma in questa tre giorni – Biden è ripartito poco fa per Washington – il presidente americano ha fatto capire che gli Stati Uniti ci sono.
Dall’altra parte, invece, significativa la visita del capo della diplomazia cinese Wang Yi a Mosca. Wang ha incontrato il ministro degli esteri Lavrov, il segretario del consiglio per la sicurezza nazionale Patrushev e poi Putin. I due paesi hanno detto espressamente che i loro rapporti saranno sempre più profondi, non solo economicamente. E l’inviato cinese ha sottolineato come nessuno li potrà influenzare.
In Russia è anche la vigilia della festa dei difensori della patria. Putin per pochi minuti è salito sul palco di una festa allo stadio di Mosca, dove ha ringraziato i soldati che combattono in Ucraina.
Importante, infine: il ministero della difesa russo ha precisato che nonostante la sospensione del tratto New Start sulle armi nucleari Mosca continuerà a rispettare i parametri per quanto riguarda i numeri del suo arsenale.
Nonostante la crescente distanza tra i due blocchi, soprattutto tra Russia e Stati Uniti – molto chiaro in questi giorni – e nonostante i combattimenti in Ucraina siano sempre più intensi, una cosa sembra essere ancora certa: il conflitto non dovrebbe uscire dai confini ucraini. Il primo a non volerlo è Putin.
Il padrone della Brigata Wagner e Vladimir Putin sempre più distanti
(di Michele Migone)
L’appello di Yevgeny Prigozhin mostra la profondità della frattura tra l’oligarca e il ministro della difesa Shoigu e segna una nuova distanza tra il padrone della Brigata Wagner e Vladimir Putin.
Prighozin ha iniziato a perdere la fiducia di Putin dopo aver fallito nella rapida conquista di Bakhmut. Per settimane, l’oligarca aveva presentato il suo esercito personale come l’unica formazione in grado di far fare progressi bellici alla Russia. Mentre le truppe regolari dell’esercito russo e dei separatisti perdevano centinaia di uomini e terreno sotto la controffensiva ucraina, mostrando l’incapacità dei generali russi di condurre la guerra, i mercenari della Wagner erano gli unici ad andare controcorrente, avanzando sul fronte di Bakhmut.
Prighozin aveva allora iniziato ad attaccare i vertici delle forze armate e il ministro Shoigu in persona. Le prime critiche erano state fatte dai blogger vicino all’oligarca. Poi era stati lui stesso, insieme al ceceno Kadyrov, a chiederne, di fatto, la testa. Per qualche settimana, il ministro della difesa sembrava sull’orlo di essere estromesso. Poi, le cose sono cambiate.
Nell’assalto a Bakhmut, la Brigata Wagner ha perso centinaia di uomini. La sua azione ha perso slancio, il trofeo non è stato conquistato. Putin, inquieto per il peso politico che Prighozin aveva raggiunto, ne ha approfittato per riequilibrare il rapporto di forze. Le quotazioni di Shoigu – a cui Putin è molto legato – sono risalite. Progressivamente il ruolo della Wagner sul fronte di guerra è stato ridimensionato. L’esercito ha preso il posto ai mercenari, ma ne ha mutuato alcuni metodi: si parla di arruolamenti tra detenuti delle prigioni anche per le milizie filorusse.
Prighozin ha cercato di ribattere: attraverso i suoi blogger ha tentato di far scoppiare uno scandalo sulla cresta di centinaia di dollari sulle uniformi dell’esercito praticata da alcuni alti ufficiali, coinvolgendo anche Shoigu. La risposta è stata una sua ulteriore marginalizzazione e il taglio delle forniture alla Wagner.
Ex Gkn, la QF di Borgomeo in liquidazione tra la rabbia degli operai
(di Massimo Alberti)
“Più che la spugna QF ha gettato la maschera” dicono oggi gli operai ex Gkn. Perché è andata proprio come avevano fiutato fin dall’inizio, quando un anno fa la QF di Borgomeo acquisiva l’azienda. L’ipotesi che il vero obbiettivo non fosse il rilancio, di settimana in settimana si è fatta più concreta con i fatti, o meglio i non fatti, di QF che, nonostante annunci e promesse, mai ha presentato il piano industriale. Cercando invece di metter le mani sulle ricchezza della fabbrica, le macchine e l’immobile, che il collettivo ha difeso con l’assemblea permanente. Il gioco è stato chiaro prima con la fine della cassa integrazione, cioè soldi pubblici che tenevano in piedi l’azienda, cioè i suoi lavoratori. Da lì QF ha fatto sparire anche gli stipendi. Ancor più quando, con la messa in mora da parte degli operai, a fronte dei decreti ingiuntivi sono iniziati i pignoramenti dei macchinari. Ora QF gioca la carta del liquidatore per provare a spremere ancora valore dallo stabilimento, dopo aver disertato per settimane i tavoli istituzionali senza mai lo straccio di una proposta. Ora la palla è tutta nel campo delle istituzioni, che fin qui però sono state a guardare QF che cercava di far passare il tempo sperando che cedessero per logoramento i lavoratori. Che invece, grazie al territorio ed alla società di mutuo soccorso creata, ancora resistono. La regione dice che continuerà a cercare un investitore e di avere altre proposte sul tavolo, ma si deve passare dal commissariamento da parte del governo. Ipotesi condivisa dai lavoratori, che chiedono di concretizzare l’unico piano sul tavolo: quello di fabbrica pubblica integrata, per salvare subito un’eccellenza industriale, il suo patrimonio di lavoro, e non lasciare alla speculazione immobiliare l’ennesimo scheletro vuoto.
10 palestinesi uccisi e oltre 100 feriti in Cisgiordania
In Cisgiordania, a Nablus, 10 palestinesi sono stati uccisi, oltre 100 i feriti durante un incursione dell’esercito israeliano. I militari di telaviv volevano catturare 2 miliziani del gruppo armato “la Tana dei Leoni” e uno della Jiad Islamica accusati di star preparando degli attentati. I blindati israeliani sono entrati a Nablus facendosi strada tra le bancarelle del mercato e hanno circondato l’abitazione dei 3 sospettati.
I tre prima di morire hanno usato i social per lanciare i loro testamento “siamo assediati, non deponiamo le armi, preferiamo morire, qualcuno continuerà la nostra lotta”. Immediatamente sono iniziati gli scontri. I militari israeliani hanno riferito di essere stati attaccati con ordigni esplosivi e sassi ed hanno aperto il fuoco. Tra le vittime palesinesi un uomo di 75 anni e diversi giovani. “La Tana dei leoni”, di cui facevano parte due dei ricercati, è un gruppo armato emergente composto prevalentemente da giovanissimi molto arrabbiati per le ingiustizie sociali, le frustrazioni e le umiliazioni subite. E non appartanegono alle tradizionali fazioni palestinesi come Olp, Hamas e Jiad. Il rischio ora è di un’ulteriore escalation e una nuova intifada.