Approfondimenti

Le lunghe trattative per una tregua a Gaza, l’accordo sul nuovo patto di stabilità e le altre notizie della giornata

Gentiloni Ecofin ANSA

Il racconto della giornata di mercoledì 20 dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Le trattative per una nuova tregua a Gaza si stanno complicando. Accordo all’unanimità sul nuovo patto di stabilità che entrerà in vigore entro il prossimo aprile. Mattarella ha tirato una bordata alla riforma della Costituzione che la destra radicale al potere sta cercando di imporre. Il Parlamento ha dato il via libera a una misura che vieta la pubblicazione “integrale o per estratti” delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini preliminari o all’udienza preliminare. Puntuale come il Natale, torna la polemica sul presepio, uno dei cavalli di battaglia della destra che stavolta diventa strumento di distrazione di massa. Samira Sabzian è stata impiccata per avere ucciso – dieci anni fa – il marito che era stata costretta a sposare quando aveva quindici anni.

I tempi per una nuova tregua a Gaza si allungano

(di Emanuele Valenti)

Le trattative per una nuova tregua a Gaza si stanno complicando e i tempi si stanno allungando.
Qatar ed Egitto continuano il loro lavoro di mediazione, soprattutto per quanto riguarda il rilascio degli ostaggi israealiani in cambio della liberazione di alcuni detenuti palestinesi.
Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è andato al Cairo per parlare con i vertici dei servizi segreti egiziani. Di solito Haniyeh lascia Doha, in Qatar, solo quando le cose sono quasi chiuse. Questo sembra indicare che il negoziato sia in una fase piuttosto avanzata, ma la chiusura non sembra ancora vicina. Israele ha chiesto il rilascio di donne, anziani e feriti. Hamas vorrebbe che nella lista dei detenuti palestinesi da liberare ci fossero anche alcuni miliziani accusati di reati gravi. Su questo stanno lavorando anche i servizi israeliani e quelli americani.

Questo dossier ovviamente è da affrontare in parallelo con quello per una tregua e per l’ingresso degli aiuti umanitari. Trattativa che è in corso al Palazzo di Vetro di New York. A metà pomeriggio le agenzie di stampa internazionali erano in possesso della bozza di risoluzione del consiglio di sicurezza scritta dagli Emirati Arabi e in questi giorni rivista più volte su richiesta americana: pause umanitarie, rispetto del diritto internazionale umanitario, liberazione di tutti gli ostaggi. L’amministrazione Biden ha fatto sapere di aver preso molto sul serio il negoziato. Ma finora la trattativa non si è sbloccata. Lo stesso presidente americano ha detto che un’intesa Israele-Hamas sugli ostaggi non è imminente, anche se si sta lavorando in quella direzione. Parole che confermano anche quanto i due piani siano strettamente legati tra loro. Il voto alla fine è stato posticipato un’altra volta. Al momento a domani.

Dietro ai tempi lunghi di questa trattativa il tentativo di evitare un altro veto americano, che sarebbe piuttosto scomodo per la stessa amministrazione Biden. Pare che gli americani non siano convinti, tra le altre cose, del meccanismo previsto dalla risoluzione per la distribuzione degli aiuti umanitari nella striscia. Per mettere le mani avanti Benjamin Netanyahu ha detto che la guerra andrà avanti e che non si fermerà fino alla completa, totale, eliminazione di Hamas. Parole che abbiamo sentito quasi tutti giorni. Fonti del governo israeliano hanno precisato però che l’ipotesi di una tregua di alcuni giorni rimane in piedi, ridimensionando quindi le parole del primo ministro.

L’Ecofin trova l’accordo sul nuovo patto di stabilità

(di Andrea Di Stefano)

Accordo all’unanimità sul nuovo patto di stabilità che, come ha sottolineato in conferenza stampa il commissario Paolo Gentiloni, entrerà in vigore entro il prossimo aprile. I dettagli legali sono ancora in corso di definizione ma l’accordo politico è stato raggiunto, ha sottolineato molto soddisfatta Nadia Calvino, ministro delle finanze di Madrid e presidente di turno dell’Ecofin. In sostanza la linea della Germania sembra essere passata al 90%: c’è l’obbligo di ridurre il deficit entro 4 anni all’1,5%, e a destinare almeno l’1% alla riduzione del debito. Per l’Italia si traduce in una manovra di bilancio annua di almeno 30 miliardi di euro. Unici elementi a favore del nuovo patto sono quelli per la determinazione del rapporto deficit/pil: le spese per interessi riconducibili a fasi critiche come quella attuali potranno essere in parte non contabilizzate nell’ammontare del deficit così come parte delle uscite per investimenti e difesa. Molto sarà discusso direttamente dalla commissione e dai tecnici con i singoli paesi: quindi un po’ di flessibilità ma nessuna revisioni dei tetti che nel caso del deficit viene addirittura abbassato all’1,5% a livello strutturale. Ma per comprendere le reali dimensioni dell’impatto bisognerà attendere i testi definitivi che dovranno essere poi approvati prima dal Consiglio e poi dal Parlamento.

La preoccupazione del Quirinale per la riforma meloniana della Costituzione

(di Luigi Ambrosio)

Mattarella col suo solito stile pacato ha tirato una bordata alla riforma della Costituzione che la destra radicale al potere sta cercando di imporre. “Dal rispetto della libertà di ciascuno discendono le democratiche istituzioni, l’equilibrio fra i poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento, l’imparzialità, principio guida della pubblica amministrazione, unitamente al suo dovere di efficienza e competenza” ha detto Mattarella.
Equilibrio dei poteri e ruolo fondamentale del Parlamento che vengono mortificati dalla riforma. Cosi come viene mortificato il ruolo del Capo dello stato, ma Mattarella su questo ha evitato lo scontro diretto con La Russa, che era seduto al suo fianco e solo ieri aveva detto che il Presidente della Repubblica ha troppi poteri che vanno ridimensionati.
Le parole di oggi confermano la preoccupazione del Quirinale, dopo il retroscena che era circolato stamattina secondo cui Mattarella non avrebbe alcuna intenzione di dimettersi prima della fine del suo settennato, nemmeno se la riforma venisse approvata.
Mattarella ora dovrà essere ascoltato dalle opposizioni, e dalla società civile che ancora non hanno iniziato a prendere iniziative decise contro la riforma, mentre Meloni è lanciatissima, è tornata a prometterla in tempi veloci anche lo scorso fine settimana ad Atreju.

La maggioranza (con Italia Viva e Azione) mette il bavaglio ai giornalisti

“Un pesante limite al diritto di cronaca e a quello di essere informati”. Federazione della Stampa e Ordine dei giornalisti sono insorti oggi contro la cosiddetta norma bavaglio a cui il Parlamento potrebbe presto dare il via libera. La misura, contenuta in un emendamento proposto da Azione, vieta la pubblicazione “integrale o per estratti” delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini preliminari o all’udienza preliminare. La legge non è stata ancora approvata, ma le associazioni dei giornalisti chiedono ora a Mattarella di non firmarla. Barbara Scaramucci di Articolo 21:


 

La polemica sul presepe per distrarre dai fallimenti del governo

(di Massimo Alberti)

Puntuale come il Natale, torna la polemica sul presepe. Uno dei cavalli di battaglia della destra. Parliamo di una rappresentazione che, tutto sommato, al di là del suo significato piace a laici e cattolici. Che la destra usa da sempre come simbolo identitario e tradizionalista. Se dall’opposizione veniva usato per attaccare il multiculturalismo, contro quelle scuole che, per sensibilità culturale, sceglievano diversamente, al governo anche questa diventa svolta autoritaria. Di fronte ad un’identità che evidentemente non è così solida, se ha bisogno di essere imposta. Ma se appunto, dall’opposizione, la polemica sul presepe serviva a creare consenso e spostare il terreno sui temi più identitari, al governo diventa strumento di distrazione di massa. Il rischio che che sottolineandolo si contribuisca al giochino, c’è. Ma è inevitabile che una legge così fatta, da parte del governo delle presunte libertà, faccia discutere perché tocca nel vivo tante sensibilità, nonché il lavoro quotidiano di chi nella scuola opera cercando di tenere unito un tessuto sociale sempre più complesso. E quei cattolici che non ci stanno a vedere la loro fede usata come clava politica. Le questioni rilevanti non mancherebbero: dagli scontri istituzionali su forma dello stato, giustizia, informazione, ai tagli, come alla sanità, che vedono il mondo sanitario in rivolta, a quelle degli stipendi poveri, ai tagli alle pensioni, all’assegno d’inclusione flop lasciando senza reddito centinaia di migliaia di famiglie, i fallimenti in Europa. Vuoi mettere sotto le feste una tregua portata dalla stella cometa. Potremmo dire: Muschio negli occhi.

L’Iran ha eseguito la pena di morte per Samira Sabzian

Samira Sabzian è stata impiccata per avere ucciso – dieci anni fa – il marito che era stata costretta a sposare quando aveva quindici anni. Il marito la maltrattava, lei si è ribellata e lo ha ucciso. La pena di morte per Samira Sabzian è stata eseguita all’alba nel carcere di Qarchak, in provincia di Teheran.
Non sono purtroppo serviti a nulla gli appelli per fermare il boia, appelli lanciati da diverse organizzazioni non governative già la settimana scorsa settimana, quando si era saputa la data dell’impiccagione, poi posticipata a stamattina.
Samira Sabzian aveva trent’anni. Era stata arrestata con l’accusa di avere ucciso suo marito nel 2014, insieme ad altre due persone ritenute complici, tra cui la sorella di 14 anni, poi liberata in seguito al pagamento di una cauzione. All’epoca dell’omicidio, Samira e il marito avevano due figli.
Alla morte del padre, e con l’arresto della madre, i ragazzi sono stati dati in custodia ai genitori del padre. Samira ha potuto vederli per la prima volta in 10 anni di carcerazione soltanto nei giorni scorsi, poco prima dell’esecuzione della condanna a morte. Mentre si trovava in prigione, la donna aveva deciso di non vedere i figli, che oggi hanno 10 e 17
anni, con la speranza di essere perdonata dalla famiglia del marito ucciso ma i parenti dell’uomo non hanno mostrato alcun segno di clemenza.
Secondo il codice penale della Repubblica soltanto la famiglia della vittima può scegliere se accettare la pena capitale o rifiutarla chiedendo un compenso finanziario, ma i genitori del marito ucciso dalla donna avevano chiesto che la pena di morte fosse eseguita.

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