Approfondimenti

Lo sdegno per le immagini della strage del Mottarone, l’incontro tra Biden e Putin e le altre notizie della giornata

Biden Putin ANSA

Il racconto della giornata di mercoledì 16 giugno 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Sta facendo discutere la scelta di alcune testate di pubblicare il video del disastro del Mottarone, immagini che hanno suscitato lo sdegno della Procura di Verbania e della sindaca di Stresa. Il centrodestra ha avviato gli approfondimenti sui candidati, ma si tratta del gioco d’interdizione di Giorgia Meloni. Nell’anno della pandemia la povertà assoluta in Italia è aumentata, appena mitigata dal reddito di cittadinanza che un pezzo di governo vorrebbe togliere. Infine l’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia.

Lo sdegno dopo la diffusione delle immagini della tragedia del Mottarone

Prosegue l’inchiesta sul disastro del Mottarone. All’alba i carabinieri di Verbania sono entrati nella sede della Leitner, la società di Vipiteno che si occupa della manutenzione della funivia. Gli inquirenti hanno acquisito i documenti relativi all’impianto di Stresa e ai lavori di manutenzione svolti negli anni.
Intanto, sta facendo discutere la scelta di alcune testate di pubblicare il video dell’incidente dello scorso 23 maggio. Il Tg3 in primis e poi a ruota altre TV e siti online hanno diffuso oggi le immagini, riprese dalle telecamere di sorveglianza dell’impianto. Il video mostra il momento in cui si stacca la cabina, con i volti delle persone un attimo prima della catastrofe, ma senza aggiungere elementi nuovi rispetto al racconto già reso noto dagli inquirenti. La pubblicazione ha suscitato lo sdegno della procura di Verbania e della sindaca di Stresa, Marcella Severino, ai nostri microfoni:

In queste ore politica e opinione pubblica stanno criticando la scelta di diffondere il video del Mottarone. Poco fa ha parlato anche il presidente Rai Marcello Foa che si è detto colpito dalle immagini trasmesse dal servizio pubblico. Critico anche l’Ordine dei giornalisti. “Il nostro settore oggi è profondamente disorientato. Sono sorpreso dalla Rai”, dice il presidente lombardo Alessandro Galimberti:


 

Il faccia a faccia tra Biden e Putin a Ginevra

Joe Biden sta parlando, per ora ha detto che l’agenda internazionale di questa amministrazione è per il popolo americano, un tema, quello della politica estera per il cittadino, su cui lui ha insistito molto in campagna elettorale. Il tono iniziale appare fermo, ma conciliante. Biden ha anche affrontato il tema cybersicurezza. Ha detto che gli Stati Uniti identificano 16 cyber infrastutture che devono restare off limits, che sono fondamentali e non possono essere attaccate, se si vogliono evitare dure reazioni americane. E ha sostanzialmente chiesto a Putin di fare di più per limitare l’azione degli hackers, che Washongton pensa siano di provenienza russa. “Un conto sono le parole, un’altra le azioni”, ha detto Biden. Sarà molto interessante vedere come Biden risponderà, se risponderà, alle accuse che poco fa Vladimir Putin ha fatto agli Stati Uniti. Pressato sulla questione dei diritti umani, e della repressione degli oppositori, Putin si è lanciato in un atto di accusa molto pesante contro Washington, ricordando Guantanamo, gli assassini con i droni, la repressione da parte della polizia americana di Black Lives Matter e dell’assalto al Congresso del 6 gennaio. Biden doveva parlare subito dopo la fine della conferenza stampa di Putin, c’è stato un ritardo che lascia intendere che probabilmente gli Stati Uniti hanno valutato come rispondere al presidente russo che ha osato quello che per Washinton non è osabile. E cioè mettere sullo stesso piano un’autocrazia con un’antica democrazia come gli Stati Uniti. Detto questo, è ovvio che per Biden questo summit è stato politicamente più difficile da gestire, rispetto a Putin. A Putin bastava un palcoscenico mondiale, su cui confrontarsi alla pari con gli Stati Uniti. E infatti molti, negli Stati Uniti, non solo repubblicani ma anche democratici, hanno messo in guardia Biden. Il summit potrebbe infatti avere un solo effetto: legittimare il presidente russo, che Biden ha definito nel passato un killer privo di anima. Biden ha deciso, ugualmente, di incontrare il suo omologo russo. Non sembra, al momento, che abbia ottenuto molto, SE NON VAGHE RASSICURAZIONI sulla questione degli hackers e il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Ciò che potrebbe portare a una serie di critiche, una volta che Biden sarà rientrato a Washington.

Salvini e Meloni pensano solo alla loro lotta per la supremazia nella coalizione

(di Michele Migone)

Li chiamano approfondimenti sui candidati. In realtà, è il gioco d’interdizione di Giorgia Meloni. Non che i nomi sondati convincessero lo stesso Matteo Salvini, ma, alla fine, non aveva altre carte da mettere sul tavolo. La Meloni può così giocare al gatto con il topo. Lei ha piazzato il suo candidato a Roma. Ora può aumentare le difficoltà del numero uno della Lega a trovare i nomi giusti per Milano, Bologna e Napoli. Evidenziare così i suoi limiti di leader della coalizione. Il capo è chi decide e Giorgia Meloni con la sua tattica sta dimostrando che Salvini non è in grado di farlo. Alla fine del vertice un comunicato stringato: il Centrodestra ha scelto per la Regione Calabria il tandem Occhiuto-Spirlì. Per gli altri nomi, si deve ancora aspettare. Approfondimenti che si concluderanno in pochi giorni perché “qualcuno” – ha detto Salvini – “vuole incontrare i candidati”. Tradotto: nessuno li conosce. Una frase che conferma quella che appare ormai come una chiara realtà: senza il Sì di Giorgia Meloni, il centrodestra, ma soprattutto Salvini, non fa un passo. Federazione, Partito Unico, sorpasso nei sondaggi di Fratelli d’Italia sulla Lega, nessun candidato credibile nelle grandi città: Salvini e Meloni pensano solo alla loro lotta per la supremazia nella coalizione. Per ora, nessun danno per l’alleanza di Destra. Lo dice la somma dei tre partiti nei sondaggi. Ma se andrà male alle amministrative, solo la posizione di Salvini ne soffrirà?

In Italia mai così poveri dal 2005

(di Massimo Alberti)

Mai così poveri dal 2005. Come previsto, nell’anno della pandemia la povertà assoluta in Italia è aumentata, appena mitigata dal reddito di cittadinanza che un pezzo di governo vorrebbe togliere. Per la prima volta al nord ci sono più poveri che al sud. Tra cassa integrazione, poche tutele, precarietà e bassi salari, cresce anche il numero di persone che pur lavorando sono sotto la soglia di povertà.
Si tratta del dato peggiore dal 2005. Nel 2020, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie e oltre 5,6 milioni di individui, il 9.4% della popolazione italiana. Nel 2019 erano il 7,7%. Ovvero, hanno una capacità di spesa inferiore al paniere di beni essenziali Istat, poco più di 1300 euro al nord, di 1200 al centro, di 1000 al sud per una famiglia di 3 persone. Guardando le classi d’età il dato più rilevante è l’aumento tra i minori: 1 milione 337mila, il 13,5%. Sul piano geografico il nord mostra il peggioramento più marcato, passando dal 6,8% al 9,3% e con oltre 2 milioni 500mila poveri assoluti, supera i 2 milioni 259mila nel Mezzogiorno. Cresce anche l’incidenza tra i cittadini stranieri residenti che sale al 29,3%, e tra chi ha un titolo di studio più basso. Altro dato molto rilevante è l’aumento tra chi lavora: cassa integrazione tra le più basse d’europa, poche tutele per precari e autonomi, nero, lavoretti e politica di bassi salari: risultato è un’incidenza passata dal 5,5% al 7,3% nelle famiglie con persona di riferimento occupata. Per chi è inquadrato nei livelli più bassi si passa dal 10,2% al 13,2%, fra i lavoratori in proprio dal 5,2% al 7,6%. Il reddito di cittadinanza, al centro di un durissimo attacco che arriva anche dalla maggioranza di governo, se prima della pandemia aveva fatto calare il numero dei poveri, ha avuto il merito – insieme al reddito di emergenza – di tamponare la situazione. L’indice di intensità della povertà assoluta è in calo di un punto e mezzo. Insomma ci sono più poveri, ma lo sono un po’ meno. Infine, per quanto riguarda la povertà relativa, calcolata sulla capacità di spesa procapite (circa 800 euro al mese) famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni.

“La storia dell’epidemia nella bergamasca verrà riscritta”

“Di fare la zona rossa non se ne parla”. All’ex direttore medico dell’ospedale di Alzano Lombardo Giuseppe Marzulli glielo dissero già la sera del 23 febbraio, quando lui aveva predisposto l’ospedale di Alzano per la grande chiusura. “Bloccammo il ricambio del personale, ci aspettavamo la zona rossa, subito, quella sera del 23 febbraio. Non il 2, il 3 o il 4 marzo quando ormai non sarebbe servita a nulla”. A Codogno due giorni prima, il 21 febbraio, la zona rossa fu decretata subito, perché ad Alzano sarebbe dovuta andare diversamente? Erano già due i positivi all’interno della struttura, altri pazienti avevano sintomi. La storia andò diversamente e ora dalla Procura di Bergamo emergono nuovi particolari inquietanti che chiamano in causa direttamente l’Ast di Bergamo.”È una storia che verrà riscritta dalle indagini quella dell’epidemia nella bergamasca” ci dice Marzulli in questa intervista. Lo abbiamo incontrato a casa sua nella bergamasca, ancora molto provato da questo anno terribile. Anche Marzulli ha avuto il Covid, ha perso amici e colleghi, oggi è in pensione. È stato l’unico con incarichi di responsabilità ad aver detto no ad ordini che riteneva sbagliati. Come la riapertura dell’ospedale di Alzano. Quello della bergamasca è considerato il cluster più mortale d’Europa. Perché furono così tanti morti in quel territorio? [LEGGI L’INTERVISTA]

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

1.400 nuovi positivi e 52 vittime nel bollettino quotidiano sulla pandemia in Italia. Il tasso di positività è dello 0,6%. Sono dati leggermente peggiori rispetto a ieri. Sono 101.855 le persone attualmente positive al COVID in Italia (-4.051 rispetto a ieri): non succedeva dalla metà dello scorso ottobre. La percentuale di casi di variante Delta, l’indiana, è passata in un mese dall’1,8% al 3,4%.

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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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