Il racconto della giornata di martedì 9 maggio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Oggi è iniziato il confronto tra governo e opposizione sulla riforma della Costituzione in senso presidenzialista a cui punta la destra, ma serviranno anni perché arrivi a termine, se la maggioranza ce la farà. Intanto la maggioranza ha dato uno schiaffo alle lavoratrici cancellando di fatto “Opzione Donna”, il meccanismo per permettere alle donne di smettere prima di lavorare. Eni era a conoscenza degli effetti della crisi climatica, ma li ha ignorati: è l’accusa rivolta al gruppo petrolifero da Greenpeace e ReCommon. Israele ha avviato questa notte un’operazione militare a Gaza e una nuova escalation sembra più probabile col passare delle ore.
Il primo confronto tra governo e opposizione sulla riforma della Costituzione
Oggi è iniziato il confronto tra governo e opposizione sulla riforma della Costituzione in senso presidenzialista a cui punta la destra. Alla Camera Giorgia Meloni ha visto tutti i partiti di minoranza. Disponibilità al dialogo dalla delegazione centrista di Matteo Renzi e Carlo Calenda, contraria solo all’elezione diretta del Capo dello Stato. No anche a quella della Presidenza del Consiglio dal Movimento 5 stelle, che però si è mostrato pronto a discutere su come rendere più stabili i governi e chiede di farlo in una commissione formata ad hoc. “A noi più che lo strumento interessa la qualità del confronto” ha risposto la segretaria Pd Elly Schlein, anche lei contraria all’elezione diretta, sia per la Presidenza della Repubblica sia per quella del Consiglio.
Presidenzialismo sì, ma quanti?
Con che atteggiamento invece è arrivata Meloni a questo appuntamento e come comincia il suo tentativo di cambiare la Costituzione?
(di Luigi Ambrosio)
Presidenzialismo? Semi presidenzialismo? Premierato? Sì, ma premierato forte o debole? E poi che tipo di presidenzialismo? Alla francese, all’americana? E se poi alla fine fosse un cancellierato alla tedesca? Va bene, ma le autonomie delle regioni, le inseriamo? Giorgia Meloni ha fatto della riforma presidenzialista il punto forte della sua proposta politica.
Cambiare le architravi dello Stato. Archiviare il principio cardine voluto dai Costituenti che dopo la dittatura fascista vollero evitare di accentrare potere nelle mani di uno solo. Chiamare finalmente il popolo a eleggere direttamente chi li governerà. Un progetto che è l’anima della destra. Talmente importante che al primo giro di consultazioni si scopre che la destra di progetti ne ha addirittura tre. O forse sarebbe meglio dire che non si può permettere di imporne uno su tutti, in questo momento. Quel che conta è “attualizzare la Costituzione” come ha detto Lollobrigida. Ma in primo luogo a Fratelli d’Italia interessa vincere la partita. È tutto un giocare di tattica, per vedere le carte degli avversari, per cercare un terreno comune, per contare sulle divisioni che potrebbero nascere tra le opposizioni, e non sarebbe una novità, per dividerle. Ma la partita, Meloni la deve vincere anche in maggioranza, visto che nemmeno tra di loro gli alleati di governo sono d’accordo. E in ballo ci sono anche riforme connesse come le autonomie regionali o questioni più immediate, come le nomine, a cominciare da quelle della Rai.
Passare dai grandi principi alle lotte crude per il potere, come sempre quando si parla di riforme, è un attimo.
Un percorso lungo anni, se la maggioranza ce la farà
Il percorso della riforma voluta dalla destra quindi è avviato, ma serviranno anni perché arrivi a termine, se la maggioranza ce la farà.
(di Andrea Monti)
Le leggi che cambiano la Costituzione devono essere votate almeno due volte da ognuna delle due Camere, obbligate a far passare almeno tre mesi tra un sì e l’altro. Se alla fine il testo passa con una maggioranza di almeno i due terzi sia alla Camera sia al Senato, entra direttamente in vigore. Altrimenti ci sono altri tre mesi in cui un quinto dei membri di una delle Camere, cinque consigli regionali o 500mila tra elettori ed elettrici possono chiedere un referendum. È successo sia con la riforma del centrosinistra approvata nel 2001, sia con quelle di Berlusconi e Renzi respinte nel 2005 e 2016. Alle urne non è necessario raggiungere nessun quorum: qualsiasi sia l’affluenza, la legge è confermata se ottiene la maggioranza dei voti validi. Nel complesso quindi un percorso lungo: nell’ultimo caso – quello di Renzi – passarono due anni e otto mesi tra la presentazione in Parlamento del testo e il referendum che lo bocciò.
Lo schiaffo del governo alle lavoratrici
(di Massimo Alberti)
Lo schiaffo del governo alle lavoratrici. La maggioranza ha di fatto cancellato “Opzione Donna” il meccanismo per permettere alle donne di smettere prima di lavorare. Bocciate le mozioni delle opposizioni che ne chiedevano il ripristino, la maggioranza ha approvato un generico impegno a contrastare il divario pensionistico di genere, ma compatibilmente con la finanza pubblica. Dopo però mesi di tagli e restrizioni. Nella manovra del governo Meloni, parte rilevante dei tagli e dei risparmi arrivava dalle pensioni. Quelle più consistenti erano il taglio della rivalutazione oltre i 2.100 euro e la cosiddetta quota 103. Ma una fetta importante arrivava anche dalla revisione di opzione donna. Che penalizzava, appunto proprio le lavoratrici, su cui il governo ha fatto cassa. Di fatto alzando loro l’età per la pensione e relegandola ad un gruppo ristretto di poche migliaia di possibili beneficiarie: 60 anni, un anno di sconto per ogni figlio fino a 2. Ma solo per donne con invalidità civile oltre il 74%, o che assistono parenti con handicap, licenziate o dipendenti di imprese con aperto un tavoli di crisi. Insomma, la fine sancita ora dal voto del parlamento, era già scritta. Di fatto sulle pensioni è stato quindi sospeso il principio per cui le donne hanno diritto ad un anticipo rispetto agli uomini. Quota 103 infatti è accessibile ai nati nel 59, 60 o 61 e ha iniziato a lavorare entro l’82. Addirittura erano otto le finestre per gli uomini, 5 per le donne per una possibilità di cui, eliminando le differenze di genere, hanno usufruito soprattutto uomini senza interruzioni di carriera. Una penalizzazione ulteriore, insomma, per chi già è penalizzato nel mercato del lavoro da salari in media più bassi, dovuti alla quota maggiore di part-time più o meno involontario, alla precarietà, e appunto alla discontinuità lavorativa dovuta al ruolo di cura, od alla maternità. Tutto per risparmiare poche centinaia di milioni. Creando un grave problema di iniquità, per cui i differenziali di reddito da pensione tra uomini e donne arrivano al 40%. Gran risultato per la prima donna a guidare un governo.
Le accuse mosse contro Eni da Greenpeace e ReCommon
Eni era a conoscenza degli effetti della crisi climatica, ma li ha ignorati. È l’accusa rivolta al gruppo petrolifero da Greenpeace e ReCommon. Le associazioni, insieme a dodici cittadini italiani, hanno fatto causa alla società e ai suoi azionisti pubblici, ministero dell’Economia e Cassa depositi e prestiti. Le accuse si basano su alcuni studi, commissionati da Eni, che già tra gli anni ‘70 e ‘80 evidenziavano come fosse a conoscenza degli effetti del consumo di combustibili fossili sul pianeta. “L’operato di Eni è in aperta violazione degli accordi sul clima di Parigi”, dicono Greenpeace e ReCommon che ora puntano a portare il gruppo petrolifero di fronte a un giudice, come già accaduto alla Shell in Olanda. Si tratta della prima causa civile in Italia contro un’azienda per motivi climatici. Antonio Tricarico di ReCommon:
La nuova operazione militare di Israele a Gaza
Israele ha avviato questa notte un’operazione militare a Gaza, definita dall’esercito di anti-terrorismo, durante la quale già 15 persone sono state uccise. Questa notte un raid aereo ha colpito le abitazioni di alcuni esponenti della jihad islamica, uccidendo però anche le loro famiglie, per un totale di 3 militanti e 10 civili uccisi, compresi 4 bambini. Nel pomeriggio un altro attacco, nel sud della striscia di Gaza, ha ucciso altri due militanti della jihad.
La comunità internazionale, dall’Onu all’Unione Europea, ha condannato Israele per la morte dei civili chiedendo alle due parti di evitare l’escalation. Hamas, però, ha annunciato che gli attacchi verranno vendicati e che la risposta sarà dura e unitaria. Israele ha a sua volta minacciato di uccidere i leader di Hamas a Gaza se l’organizzazione dovesse attaccare lo Stato ebraico.
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante una riunione di Gabinetto a Tel Aviv, ha detto che Israele è nel mezzo di una campagna e l’esercito è pronto a tutto. “Suggerisco ai nostri nemici di non scherzare con noi”, ha detto il premier.