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Il rischio di un allargamento del conflitto in Medio Oriente, la sfida delle elezioni europee e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di martedì 9 gennaio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Nel giorno in cui il segretario di stato americano Blinken ha incontrato Tel Aviv il primo ministro israeliano Netanyahu e il gabinetto di guerra, il rischio di un allargamento del conflitto sembra sempre più reale. Il puzzle italiano delle elezioni europee è ancora tutto da definire e anche Meloni si trova davanti a una scelta importante. È saltato il tavolo tra governo e ArcelorMittal per il futuro dell’ex Ilva e l’eredità del disastro creato con la vendita dell’acciaieria alla famiglia Riva continua a pesare sull’ambiente.

Blinken torna in Israele mentre il conflitto rischia di espandersi

Il segretario di stato americano Anthony Blinken ha incontrato oggi a Tel Aviv il primo ministro israeliano Netanyahu e il gabinetto di guerra. Blinken è arrivato in Israele dopo un viaggio di diverse tappe nel mondo arabo, con l’obiettivo di evitare un allargamento del conflitto. Il segretario di stato Statunitense ha anche chiesto a Netanyahu di limitare gli attacchi ai civili a Gaza, ma da parte del governo israeliano non sembra esserci nessuna intenzione in questo senso. Su twitter, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano ha scritto “Signor segretario Blinken, non è questo il tempo di parlare dolcemente con Hamas. Questo è il tempo di usare un grosso bastone”. Anche il ministro della difesa Gallant ha ribadito che il conflitto continuerà fino alla distruzione di Hamas e che, anzi, nell’area di Khan Younis, nel sud della striscia, le operazioni militari si intensificheranno. Ugo Tramballi, editorialista del Sole24Ore, a lungo inviato in Israele e Palestina:

Blinken avrebbe anche chiesto a Israele di permettere all’ONU di entrare nel nord di Gaza per osservare la situazione in quell’area. Permesso che Israele avrebbe accordato. Allo stesso tempo, però, l’ambasciatore israeliano all’ONU, durante una riunione del consiglio di sicurezza, si è scagliato contro le Nazioni Unite dicendo che “non hanno ragione di esistere” perché “pensano solo alle persone di Gaza” aggiungendo che queste “hanno votato per hamas”.
Mentre Blinken era a colloquio con i funzionari israeliani, a Gaza i bombardamenti non si sono fermati. Più di 100 persone sono state uccise oggi, oltre 23mila sono le vittime dal 7 ottobre. I combattimenti si sono pericolosamente avvicinati all’ospedale di Al Aqsa, uno dei pochi rimasti funzionanti nel centro, e oltre 600 tra pazienti e medici sono stati costretti ad evacuare. Anche a Rafah la situazione è sempre più critica, come ci ha raccontato Mohammad, sfollato a Rafah da Jabalia:


 

La sfida delle europee e il dilemma di Meloni

(di Anna Bredice)

Nel 2014 Matteo Renzi stravinse con il 40%, nel 2019 fu la volta di Matteo Salvini che vinse con il 34%. Le elezioni europee sono state croce e delizia per parecchi leader politici. I due appena citati nel giro di pochi anni persero molto: il governo e i voti. Ora tocca a Giorgia Meloni decidere che fare. Sull’onda del grande successo delle politiche e dei sondaggi che la premiano deve scegliere se fare un bis con le europee, confermando la sua leadership anche a dispetto dei suoi alleati, che hanno già annunciato un passo indietro. È il caso di Salvini e si attende la decisione di Tajani, che forse arriverà in occasione del trentennale di Forza Italia. Renzi ha già detto che si candiderà capolista, ma Giorgia Meloni sembra preferire un’altra sfida, quella con Elly Schlein, l’avversaria dell’opposizione con la quale misurare la sua leadership di destra, in maniera netta, destra contro sinistra, per consolidare la sua forza nel governo e come leader di partito.
Per Giorgia Meloni sarebbe già una specie di prova di elezione diretta del Presidente del Consiglio come vorrebbe con la sua riforma del premierato, un’elezione a metà mandato con il vento che per ora soffia bene per lei. Se questo è il suo obiettivo a lungo termine, il rischio sul governo a breve periodo potrebbe essere di sbilanciare troppo l’equilibrio della coalizione, infastidendo ancora di più i due alleati Salvini e Tajani.
Il contesto politico delle europee è intrecciato anche alle regionali, un puzzle ancora più complicato perché la Lega, che aveva fatto cinque anni fa l’en plein in parecchie regioni con un suo candidato, ora non vuole che sia Fratelli d’Italia a conquistarsi anche questo merito, scegliendo il candidato perché partito più forte. È il caso della Sardegna, ma anche dell’Umbria. C’è il Piemonte dove il governatore è di Forza Italia, il piatto più ricco è il Veneto dove si voterà nel 2025. Il partito di Meloni ha già lanciato il suo nome, la Lega non vuole rinunciare, sarebbe il terzo mandato per Zaia. Ci vorrebbe una legge per aggiungere un nuovo mandato agli attuali due e Meloni non sembra entusiasta, ha detto che è tema del Parlamento. Il PD è molto interessato al tema, visto che Bonaccini in Emilia-Romagna e De Luca in Campania sono entrambi al secondo mandato.

Ex Ilva, rottura tra ArcelorMittal e governo

L’eredità del disastro creato con la vendita dell’Ilva alla famiglia Riva continua a pesare sull’ambiente, i lavoratori e lo Stato che di rinvio in rinvio si ritrova a dover mettere soldi in un’azienda nel frattempo sempre più depauperata dai soci franco-indiani. Degli impegni assunti nel 2017 poco o nulla è rimasto mentre il MEF tramite Invitalia è già stato costretto a iniettare centinaia di milioni di euro per garantire la sopravvivenza dell’impianto. Ora le strade percorribili non sono molte: il commissariamento di Acciaierie d’Italia, l’aumento di capitale senza ArcelorMittal o il ricorso al tribunale per inadempienza del socio con relativo sequestro delle azioni e nomina di un amministratore da parte del tribunale. In tutti i casi la nazionalizzazione sarà obbligata con un esborso non inferiore a quel 1,2 miliardi ventilato ieri dal governo. Sulla porta potrebbe esserci Arvedi, che ha già rilevato nel 2022 l’AST di Terni dai tedeschi di Thyssen e che non ha fatto mistero di essere pronta a intervenire sull’Ilva a determinate condizioni. Ma l’ambientalizzazione dell’Ilva è un capitolo troppo complesso e costoso per lasciarlo a un socio privato anche se di impronta molto diversa da quella dei predatori franco-indiani.

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    La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono stati i buoni pasto: “Abbiamo chiesto 1,50 euro in più, non la luna, ma l’azienda ci ha detto di volerli spalmare sui prossimi tre anni”. Il caro-vita però non aspetta e insieme ad altre questioni come il premio di risultato insufficiente, i ritmi di lavoro e il clima interno hanno portato a uno stallo nelle trattative per il rinnovo del contratto e a questa giornata di sciopero nazionale. Secondo i delegati in piazza l’adesione è stata dell’80% negli store più grandi e del 70% in quelli più piccoli. Il gruppo Feltrinelli ha ribadito la sua posizione: “Siamo aperti a proseguire la negoziazione con l’obiettivo di giungere a una soluzione condivisa e sostenibile sulle questioni ancora aperte”. Oggi ci sono stati una decina di presidi in altrettante città italiane convocati da Cgil, Cisl e Uil di categoria, noi siamo stati a quello di Milano, dove la manifestazione fuori dalla Fondazione Feltrinelli in via Pasubio è diventata un corteo fino agli uffici Feltrinelli di via Quadrio. Le interviste sono di Roberto Maggioni.

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