Il racconto della giornata di martedì 11 luglio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Improvvisazione e corsa contro il tempo: sembrano ancora questi gli elementi che accompagnano il governo nella gestione un po’ confusa delle rate del Pnrr. Il nuovo report dell’Ocse sui salari italiani fotografa la debolezza sindacale e si rivela, indirettamente, un duro atto d’accusa contro le imprese italiane. “La Nato inviterà l’ucraina a raggiungere l’Alleanza Atlantica quando le condizioni saranno soddisfatte”: questo è il passaggio del testo del comunicato del vertice di Vilnius relativo all’adesione di Kiev e che ha irritato il presidente Zelensky. In Israele oggi è stato “Il Giorno della Resistenza” contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Netanyahu.
La vaga promessa di Biden per l’Ucraina nella Nato
“La Nato inviterà l’ucraina a raggiungere l’Alleanza Atlantica quando le condizioni saranno soddisfatte”: questo è il passaggio del testo del comunicato del vertice di Vilnius relativo all’adesione di Kiev e che ha irritato il presidente Zelensky. Nel testo si sottolinea che l’Ucraina ha compiuto progressi sostanziali nel suo percorso di integrazione, ma che deve fare ancora molto sulle necessarie riforme nel settore democratico e della sicure. “Quindi – come ha ribadito il segretario generale Stoltenberg – non c’è una timeline per il processo d’ingresso nella Nato”. Alla fine è prevalsa la posizione di Joe Biden che vuole evitare un’ulteriore escalation con la Russia.
(di Roberto Festa)
Porte aperte all’Ucraina. Ma nessun invito ufficiale a entrare nell’Alleanza. Si potrebbe sintetizzare così la posizione di Joe Biden nei confronti della possibile adesione di Kyev alla Nato. II presidente ucraino Volodymir Zelensky arriva in queste ore al summit NATO di Vilnius dopo un’intensa campagna di pubbliche relazioni. La sua richiesta di permettere all’Ucraina di entrare, in tempi brevi e certi, nell’alleanza atlantica è sostenuta da Polonia, Repubblica Ceca, in parte anche dalla Gran Bretagna. Biden, in questi mesi, ha concesso molto. Dopo iniziali dubbi e dinieghi, sono arrivati a Kyev, direttamente da Washington o dagli alleati, i jet F-16, i missili Patriot, i sistemi missilistici a lungo raggio, infine le bombe a grappolo. Ma, sull’adesione alla NATO, Biden resta irremovibile. Come ha spiegato in un’intervista a CNN domenica, il presidente americano vuole evitare quello che si è cercato di evitare per 75 anni. E cioè, una guerra con la Russia. L’articolo 5 della Carta della NATO impone infatti che ogni membro difenda un altro, nel caso questi venga attaccato. Se l’Ucraina entrasse nella NATO, gli Stati Uniti si troverebbero quindi automaticamente in guerra con la Russia. Ciò che, per l’appunto, si vuole assolutamente evitare. Biden a questo vertice ha del resto già avuto quello che voleva. Rimuovere il no della Turchia all’adesione della Svezia all’alleanza. E la definizione, dopo decenni, di nuovi piani do difesa militare per l’alleanza. Quello che Biden può dunque concedere, al momento, all’Ucraina è la promessa molto vaga di un percorso per l’adesione di Kyev. Percorso che durerebbe anni, e che non è quello che Zelensky chiede.
(di Chawki Senouci)
Per il presidente Zelensky questo vertice doveva premiare i 500 giorni di resistenza dell’Ucraina all’invasione russa. Tutte le condizioni sembravano riunite per un invito formale di Kiev nella Nato e un calendario. Zelensky contava su solidi appoggi, dalla Gran Bretagna alla Polonia alla Lituania che ospita il Vertice. Ma c’era il veto dell’azionista di maggioranza, cioè gli Stati Uniti e il parere negativa della vecchia Europa.
Prima di partire per Vilnius il presidente ucraino, con un tweet, ha espresso tutte le sue frustrazioni: “È inaudito e assurdo che non ci sia un calendario né per l’invito né per l’adesione dell’Ucraina alla Nato”. Questa sera, nella capitale lituana, ha parlato in piazza di fronte a migliaia di persone che lo hanno accolto con applausi, grida di sostegno e bandiere ucraine e della Nato. “La Nato – ha detto – renderà l’Ucraina più sicura e l’Ucraina renderà la Nato più forte”.
Domani alle 11.30 è prevista una conferenza stampa congiunta di Zelensky e del Segretario della Nato Stoltenberg. Sicuramente nel frattempo, cioè questa notte, Zelensky tenterà di ottenere qualche promessa più sostanziosa da portare a Kiev.
L’improvvisazione del governo nella gestione delle rate del Pnrr
(di Anna Bredice)
Improvvisazione e corsa contro il tempo: sembrano ancora questi gli elementi che accompagnano il governo nella gestione un po’ confusa delle rate del Pnrr. Dopo una cabina di regia di circa mezz’ora, il ministro Fitto convoca una conferenza stampa per annunciare che 10 dei 27 obiettivi da raggiungere per ottenere la quarta data sono stati rimodulati, ovvero i progetti cambiano anche solo nei tempi di attuazione, poi aggiunge che le modifiche sono stati inviate a Bruxelles e accettate. Chissà perché tutto questo avviene poche ore dopo aver saputo che la quarta rata è ad alto rischio proprio perché 17 dei 27 progetti non erano ancora pronti. Se la terza rata ammonta a 10 miliardi, attesi a giorni, per la quarta in ballo ci sono 16 miliardi, ma Fitto non ha saputo dire quando arriveranno. Ad oggi sono state presentate le rimodulazioni ai programmi, smentendo anche che la scadenza fosse il 30 giugno, ma la fretta con cui è stata convocata la cabina di regia e l’accanimento con cui Fitto contestava i giornalisti, forse conferma quella scadenza. Quindi i 16 miliardi non è detto che arrivino entro fine anno, potrebbe slittare tutto all’anno prossimo. Le rimodulazioni riguardano alcuni progetti sulla transizione ecologica, le colonnine per l’idrogeno ad esempio, poi gli asili nido, per i quali c’è più tempo in sostanza per fare i bandi. Continua il silenzio di Giorgia Meloni, non solo sul Pnrr, anche su tutto il resto, le uscite, le frasi, gli scandali e le inchieste che riguardano i suoi ministri. L’opposizione chiede che Meloni vada in aula al più presto per parlare dei ritardi dei fondi. Non basta la presenza di Fitto che il 18 dovrebbe spiegare i ritardi nelle scadenze della terza e quarta rata. Tutta l’opposizione chiede la presenza della presidente del Consiglio.
Cosa ci dice l’ultimo rapporto Ocse sui salari italiani e i sindacati
(di Massimo Alberti)
I dati Ocse sui salari italiani non sono certo nuovi. Resta scolpito il report sul calo trentennale, unico paese in Europa col segno meno. Il report odierno, indirettamente, è un duro atto d’accusa contro le imprese italiane, e fotografa la debolezza sindacale. La principale causa dei bassi salari e della loro perdita di potere d’acquisto reale è identificata dall’organizzazione nel mancato rinnovo dei contratti. L’Italia è il paese dei contratti scaduti, oltre il 60% sono da rinnovare, riguarda milioni di lavoratori. Tenuti in ostaggio dalle imprese e con sindacati non in grado di esercitare forza di trattativa e conflittuale tale da strappare i rinnovi, considerato la vasta copertura in dei contratti nazionali. L’adeguamento agli indici Istat al netto dei beni energetici consentirebbe di recuperare almeno una buona parte dei soldi perduti, ma senza rinnovi, non c’è. 2 elementi che rendono lo stop ai rinnovi imposto dalle associazioni datoriali particolarmente grave: il primo è che l’inflazione che ha eroso i salari, come ormai noto, deriva proprio dai profitti. Il secondo è che la stessa Ocse, nei precedenti rapporti, evidenzia come la quota profitto delle imprese italiane sia, al contrario, la più alta nell’Europa industrializzata, proprio a scapito della quota salari. Come ciò sia accaduto, non è una novità, frutto di un sistema legislativo e di regolamentazione dei contratti che ha permesso alle imprese di prosperare sul basso costo del lavoro,povero e precario. Micromprese e economia basata sul settori a basso valore aggiunto sono gli altri problemi strutturali. i continui tagli del cuneo fiscale non sono evidentemente una risposta efficace. Salario minimo e mercato del lavoro più rigido, le risposte che potrebbe dare la politica, che però ha scelto la direzione opposta. E così dati come quelli Ocse tornano puntuali a segnalare il cuore del problema dell’economia italiana.
Il “giorno della resistenza” contro la riforma di Netanyahu in Israele
In Israele oggi è stato “Il Giorno della Resistenza”. Migliaia di persone hanno manifestato a Tel Aviv, Gersualemme, Haifa, contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu. Le manifestazioni sono ancora in corso, in particolare quella all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove si sono riunite almeno 15mila persone. La polizia ha cercato di limitare la protesta al Terminal 1. I manifestanti hanno invece occupato il Terminal 3, più grande e destinato ai voli internazionali. Ci sono stati scontri con la polizia e arresti. Proteste anche davanti al consolato americano di Tel Aviv, dove la gente ha chiesto agli Stati Uniti di Joe Biden di tagliare gli aiuti militari a Israele. In queste ore la protesta si sta allargando ai membri dell’esercito e dell’intelligence, che potrebbero arrivare a sospendere le loro funzioni. La polizia ha compiuto oggi 73 arresti, ma non è riuscita a reprimere l’indignazione nei confronti di una misura che cancellerebbe i poteri di controllo dell’autorità giudiziaria sulle scelte del governo. La riforma ha ottenuto ieri il primo voto da parte del Parlamento israeliano. Per il passaggio definitivo ci vorranno altri due voti. Davanti alla Knesset abbiamo raggiunto Claudia Rosenzwaig, docente universitaria che da mesi partecipa alle proteste: