Approfondimenti

Il Parlamento unito per ricordare David Sassoli, le conseguenze del COVID sugli interventi ordinarie le altre notizie della giornata

Parlamento Sassoli

Il racconto della giornata di martedì 11 gennaio 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. La crescita sulle prime dosi dichiarata dal generale Figliuolo c’è effettivamente stata, ma vale la pena capire perché. Il caso del tennista numero uno al Mondo Novak Djokovic non è stato l’unico in cui gli atleti non vaccinati o vaccino-scettici hanno fatto parlare di sé durante questi ormai due anni di pandemia, mentre per evitare la terza dose e ottenere il Super Green Pass si torna a parlare di COVID Party, anche in Italia. Da più voci nei giorni scorsi è stato lanciato l’allarme sulla ridotta capacità degli ospedali di eseguire gli interventi ordinari, data anche la paura che la situazione, per via dell’aumento dei ricoverati e delle terapie intensive COVID, peggiori ulteriormente. Grazie alle immagini delle telecamere e ai software per il riconoscimento facciale i volti degli aggressori della notte di capodanno in piazza Duomo cominciano ad essere collegati a dei nomi. 20 anni fa apriva a Guantanamo il carcere di massima sicurezza statunitense e, nonostante le promesse, Joe Biden non l’ha chiuso e le violazioni dei diritti umani continuano. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia col commento dell’epidemiologo Pierluigi Lopalco.

Il Parlamento ricorda David Sassoli e si prepara al voto per il Quirinale

(di Anna Bredice)

C’era un clima di concordia, di unità e rispetto nel pomeriggio alla Camera dei Deputati quando il Parlamento ha ricordato David Sassoli, anche Mario Draghi ha voluto esserci per parlare dei valori sostenuti dal presidente del Parlamento Europeo, inclusione, dialogo e accoglienza e ha chiuso il suo discorso con la frase “ora tocca a tutti noi continuare a farlo”. Qualcuno forse si è chiesto da quale luogo Draghi vorrà continuare a difendere quei valori, da Palazzo Chigi o dal Quirinale, così come alcuni uscendo hanno dichiarato di sperare che quella concordia si ripeta tra dodici giorni, quando inizierà il voto per il Quirinale. Ma di un’intesa il più larga possibile al momento non c’è nemmeno l’ombra, anzi dai Cinque Stelle arriva da alcune fonti la parola “buio”, se ci chiede che cosa emergerà stasera dalla riunione dei deputati, né al momento l’idea di un bis di Mattarella, come hanno chiesto i senatori, né il nome di Draghi o altri ancora. Il PD rimanda tutto a dopodomani, ma forse nemmeno giovedì, con la riunione congiunta della direzione e dei parlamentari si capirà la strategia di Letta. Oggi è sembrato non chiudere alla speranza che Mattarella ci ripensi, ma al momento appare una speranza più legata ad una situazione disperata se i contagi dovessero galoppare o andare troppo avanti con numerosi scrutini a vuoto. Berlusconi è a Roma, stasera vedrà i due capigruppo di Camera e Senato. La sua idea è di assicurarsi più voti possibili, anche al centro, tra i renziani, e magari nel voto segreto anche il favore di qualche ex renziano nel PD. Per questo Letta potrebbe considerare anche l’ipotesi di far uscire dall’aula tutti i parlamentari del partito, convinto che né Salvini né Meloni vogliano veramente Berlusconi. Ma alla fine, sempre intorno al Cavaliere girano le discussioni sul Quirinale, e forse è proprio quello che Berlusconi vuole, arrivare all’ultimo secondo e decidere lui e solo lui chi è il candidato giusto, al posto suo.

Le conseguenze del COVID sugli interventi ordinari

(di Guglielmo Vespignani)

Da più voci nei giorni scorsi è stato lanciato l’allarme sulla ridotta capacità degli ospedali di eseguire gli interventi ordinari, data anche la paura che la situazione, per via dell’aumento dei ricoverati e delle terapie intensive COVID, peggiori ulteriormente.
Oggi è stato il Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri a rimarcare, in una lettera aperta, la necessità di individuare “le soluzioni per evitare ulteriori ritardi e che i progressi raggiunti, in termini di guarigione e sopravvivenza per i malati oncologici, vengano vanificati“.
A fare loro eco è stata anche la Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi. Il presidente Francesco Cognetti ha sottolineato come lo stop alla chirurgia programmata generi lunghe liste d’attesa e lo slittamento di mesi di molti interventi, rischiando, come estrema conseguenza, il peggioramento delle patologie che colpiscono i pazienti.
Ma di che numeri stiamo parlando? Lo abbiamo chiesto al presidente della società italiana di chirurgia Francesco Basile, che ci ha dato un quadro della situazione in alcune regioni e ha provato a ipotizzare delle possibili vie d’uscita:

Sul lungo termine, conclude Basile, si potrebbero anche aumentare i posti a numero chiuso nelle facoltà di medicina, per avere in futuro più personale formato ed affrontare meglio le situazioni di criticità.

A cosa è davvero dovuto l’aumento delle prime dosi?

(di Massimo Alberti)

La crescita sulle prime dosi dichiarata dal generale Figliuolo c’è effettivamente stata. Ma vale la pena capire perché. Parliamo di circa 10mila dosi in più in media per ogni giorno, nel 2022, rispetto all’ultima settimana di dicembre. Dove, a sua volta, le prime dosi erano aumentate sempre di circa 10mila dosi in più al giorno rispetto alla settimana precedente, che a sua volta aveva mostrato un aumento, sempre nell’ordine delle 10mila dosi al giorno, sul periodo precedente dove invece le prime dosi erano state costanti.
L’inizio del trend di aumento costante delle prime dosi, insomma, è individuabile a partire da metà dicembre. Quando però si sono aperte anche le vaccinazioni sotto i 12 anni. Ed è questo il numero che ha contribuito a far crescere le prime dosi. Ad esempio ieri, a fronte di circa 64mila prime dosi somministrate, quelle nella fascia 5-12 anni, guardando la media mobile sulla settimana, sono state almeno 45mila. Se nel complesso anche le vaccinazioni dei bambini non decollano, siamo al 15% in poco meno di un mese, il problema principale resta sui circa 3 milioni e mezzo di over 40 non vaccinati, più di due milioni over 50 che saranno sottoposti ad obbligo.
Il Ministro della Salute Speranza aveva dato un obbiettivo tutto sommato razionale, il 5% di vaccinazioni spinte dalle restrizioni. Non si dovrebbe essere lontani, ma a distanza di quasi 6 mesi non è raggiunto. L’andamento di prime dosi, in concomitanza con l’introduzione dei vari provvedimenti – Green Pass, Green Pass al lavoro, Green Pass rafforzato, ed ora l’obbligo appunto – ha seguito andamenti piuttosto simili, di lieve crescita alla vigilia e all’indomani, per poi tornare a calare. Coinvolgendo da agosto, complessivamente, poche centinaia di migliaia in quelle fasce di età che stano sovraccaricando terapie intensive e reparti ordinari.

Gli atleti No Vax, da Novak Djokovic agli italiani Samuel Costa e Nicola Sansone

(di Guglielmo Vespignani)

Non ci sono state le adunate davanti al Parlamento serbo, né le racchette sventolate in aria che si sono viste a Bologna durante il corteo No Vax. Ma il caso del tennista numero uno al Mondo Novak Djokovic non è stata certamente l’unica volta in cui gli atleti non vaccinati o vaccino-scettici hanno fatto parlare di sé durante questi ormai due anni di pandemia.
Ma partiamo da oggi, anzi da domani, parlando di situazioni il cui esito è ancora incerto: lo sciatore altoatesino Samuel Costa, qualificato per le imminenti Olimpiadi di Pechino, al momento non si sta allenando con gli azzurri dello sci, in quanto la Federazione Nazionale Fisi non ammette atleti non vaccinati. “Sono allergico e ho l’esenzione ai vaccini dal 1994. Ho chiesto alla federazione come risolvere e nessuno mi ha risposto” la sua replica. Ma la Fisi non accetta esenzioni, e ora l’atleta rischia di saltare i Giochi Invernali, che avranno inizio il 4 di febbraio.
Tra le stelle della NBA il caso che ha tenuto banco è stato quello di Kylie Irving dei Brooklyn Nets: da ottobre il cestista è stato messo fuori squadra per la sua scelta di non vaccinarsi. “Non sono un No Vax, ma faccio ciò che è meglio per me e conosco le conseguenze” la posizione della guardia nata a Melbourne, che è tornato a giocare ma potrà disputare solo le gare in trasferta della propria squadra, dato l’obbligo vaccinale in vigore a New York.
Tornando in Europa e spostandoci sul campo di calcio, emblematica la storia di Joshua Kimmich: dopo essersi contagiato da non vaccinato, il centrocampista del Bayern Monaco a dicembre ha fatto il più netto dei dietrofront: “Non posso farlo subito, ma mi vaccinerò. Mi sento in colpa per non averlo fatto prima” ha detto il calciatore tedesco.
Atteggiamento ben diverso da quello che invece ha tenuto il calciatore del Bologna Nicola Sansone che fine dicembre, in un post su Instagram, si è lasciato andare ad uno sfogo pubblico con pochi precedenti per gli atleti professionisti: “Viviamo in un mondo di merda dove i diritti umani non contano un cazzo!!! Non esiste più la libertà di scelta!!!” le parole al veleno del centrocampista rossoblu.
Un’invettiva indotta probabilmente dalle nuove regole in vigore in Italia, che prevedono, anche per i calciatori di serie A, l’obbligo di Super Green Pass – quello per vaccinati o guariti – per scendere in campo.

I pericolosi COVID Party come alternativa alla terza dose per ottenere il Super Green Pass

(di Andrea Giulia Zighetti)

Bisogna stare attenti ai falsi allarmi, alle leggende metropolitane e alle sbruffonate sui canali Telegram dei No Vax. Ma che qualche caso esista – quanti non si sa – è fuori di dubbio e Radio Popolare è in grado di raccontarlo con storie di cui abbiamo avuto conoscenza diretta.

 Come quella di Paola – nome di fantasia – 54 anni, docente di italiano in una scuola superiore dell’hinterland a sud di Milano. 

Contraria ai vaccini, non solo quelli contro il Covid, a fine agosto si è chinata alle imposizioni del governo per non perdere lo stipendio, facendo le prime due dosi. 

Ma poco dopo Natale è andata a trovare un’amica infettata di COVID: apposta, spiega, sperando di contagiarsi ed evitare così almeno la terza fiala, grazie al Green Pass a cui hanno diritto i guariti. 

Una storia simile a quella di Michele, che abita in provincia di Macerata 29 anni, studente di architettura di 29 anni con curriculum europeo che nei giorni scorsi è andato a trovare un conoscente che sapeva essere positivo: anche lui, dice, per infettarsi e ottenere il Green Pass senza vaccino.
 
Poca cosa in confronto a quello che ci ha rivelato Paolo, impiegato in una banca in provincia di Treviso, che ha partecipato insieme ad altri a una festa di capodanno privata che si è tenuta in una baita di montagna in Veneto, a cui erano invitate altre dozzine di persone non vaccinate e senza tampone. Lo scopo, sempre lo stesso: prendersi la Omicron e quindi il certificato verde. 

Un obiettivo che ha invece fallito Giada, imprenditrice 50enne della provincia di Milano, che aveva organizzato un viaggio di gruppo insieme ad altri No Vax per partecipare alla festa di Capodanno dell’Associazione ‘liberi si nasce’ a Lignano Sabbiadoro: in questo caso l’evento infatti era stato comunicato sui social ed è stato vietato dall’amministrazione comunale. 

Non sappiamo se, poi, Giada ha trovato un altro modo per provare a contagiarsi.

Già 12 indagati per le aggressioni di Capodanno in piazza Duomo

Grazie alle immagini delle telecamere e ai software per il riconoscimento facciale i volti degli aggressori della notte di capodanno in piazza Duomo cominciano ad essere collegati a dei nomi. Le abitazioni di 18 giovani sono state perquisite alla ricerca di indumenti, telefonini e altre prove, a Milano e a Torino
Si tratta di ragazzi tra i 15 e i 21 anni, dieci italiani e otto di origine nordafricane. Gli indagati sono 12, accusati di violenza sessuale di gruppo, rapina e lesioni.
Il numero di ragazze che li ha denunciati è cresciuto rapidamente ed è arrivato a 9. Da questa mattina stanno parlando con i magistrati, davanti alle immagini degli indagati. Gli investigatori sono convinti che nei prossimi giorni le denunce aumenteranno.

(di Chiara Ronzani)

È un effetto domino. Dopo la prima denuncia, altre ne sono arrivate, altre probabilmente ne arriveranno. Gli investigatori l’avevano previsto ed erano tornati dalle donne che avevano fatto denunce per rapina quella notte: chiedendo se oltre al furto c’erano stati anche reati contro la persona.
L’abbiamo visto con il #metoo, con il cat calling – le molestie per strada – con il revenge porn: quando si creano le condizioni e una donna alza la voce, a cascata tantissime altre si rendono conto di non essere sole, e raccontano, e denunciano.
La violenza contro le donne si nutre di sommerso. Lo dicono i dati Istat: solo una su tre delle donne che ha subito violenza fisica o sessuale la considera un reato, solo il 12% la denuncia se l’autore è il partner, solo il 6% se altro aggressore.
Maggiore è il potere, meno è facile denunciare: solo lo 0,7% di chi è oggetto di ricatti sessuali sul luogo di lavoro denuncia.
Se la violenza è normalizzata, è difficile riconoscerla, nominarla, rappresentarla, è difficile essere credute, è difficile che chi ascolta non tenda a sminuirla. Se i violenti continuano ad agire indisturbati, è perché la società li lascia fare: i colleghi che fingono di non vedere, gli agenti che minimizzano, i giudici che non credono, gli astanti che non intervengono, i passeggeri che non alzano la voce, gli amici che ridono invece di dire basta.
Ma al momento giusto le cose possono cambiare: se una parla e altre la seguono, il tappo salta e il sommerso diventa una montagna finalmente visibile.

20 anni dopo il carcere di massima sicurezza statunitense a Guantanamo è ancora aperto

20 anni fa apriva a Guantanamo il carcere di massima sicurezza statunitense, simbolo degli abusi in nome della lotta al terrorismo. Nonostante le promesse, Joe Biden non l’ha chiuso e le violazioni dei diritti umani continuano.

(di Roberto Festa)

Nella prigione di Guantanamo, ci sono ancora 39 detenuti e 1.500 tra soldati e personale di assistenza. Joe Biden ha più volte promesso di chiudere la struttura, ma nulla è stato fatto e molti dei prigionieri al suo interno sono detenuti da anni senza che venga formalizzata alcuna accusa. Vent’anni dopo, la prigione di Guantanamo resta il simbolo forse più drammatico di abusi e storture della guerra al terrore americana. La prigione venne aperta in un’enclave di proprietà statunitense a Cuba, proprio per negare ai detenuti quei diritti costituzionali di cui avrebbero goduto sul territorio americano. Nel momento di massimo affollamente, la prigione ha ospitato 800 detenuti. I racconti di chi ne è uscito sono terrificanti: abusi di ogni tipo, violenze, torture, cancellazione dei più elementari diritti alla difesa. Questa stessa assenza di legge e di diritto circonda la sorte dei 39 che ancora restano a Guantanamo. Il Pentagono ha deciso il trasferimento di molti di questi in Paesi terzi, ma non si sa né quando né come. Altri restano in prigione, dopo 20 anni, senza essere accusati di nulla. L’amministrazione Biden dice di voler chiudere la prigione, ma intanto proprio il Pentagono sta costruendo nella base un edificio dove dal 2023 dovrebbero tenersi processi militari contro gli ultimi detenuti. Vent’anni dopo, Guantanamo è una macchia sulla democrazia americana, un tema imbarazzante di cui a Washington si preferisce non parlare, un corto circuito del diritto che, nell’affollamento quotidiano di notizie, si rischia di dimenticare. Il libro di un ex detenuto, Mansoor Adayfi, yemenita finito a Guantanamo per sbaglio, si intitola proprio Don’t Forget Us Here. Non dimenticateci qui.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

L’Italia ha raggiunto oggi un nuovo picco di contagi da inizio pandemia. Sono oltre 220mila i nuovi positivi. Si attendeva questo dato, perché era il primo realmente rappresentativo dell’attuale andamento epidemiologico, dopo il fine settimana e le feste natalizie. Le vittime accertate nelle ultime 24 ore sono state 294.
Dunque c’è stato oggi un nuovo record di casi, spinto dalla variante Omicron. A fronte però di numeri così alti nelle infezioni, al momento le terapie intensive stanno registrando solo un lieve aumento quotidiano e la curva è pressoché stabile. Questo deve rassicurarci, dice ai nostri microfoni l’epidemiologo Pierluigi Lopalco:

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