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Gaza sotto assedio, il potere d’acquisto dei salari fermo al 2009 e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di lunedì 9 ottobre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. È il terzo giorno di guerra tra Israele e Gaza. La striscia è totalmente sotto assedio: non arriva né elettricità, né acqua né gas. L’ordine è arrivato dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che ha detto “stiamo combattendo contro animali umani”. Per tutto il giorno sono continuati i raid aerei sulla striscia. Le retribuzioni reali sono tornate al livello del 2009, con una differenza media del 12% tra la cifra delle buste paga e il loro valore reale a causa dell’inflazione. Sempre più giudici decidono di non applicare il decreto Cutro poiché non rispetta le direttive comunitarie sulla detenzione dei migranti.

L’assedio di Israele a Gaza

(di Martina Stefanoni)
I raid aerei hanno colpito tutta la striscia di Gaza, con particolare concentrazione sul nord e il nord est. Poco fa è arrivata notizia anche della distruzione dell’unico ospedale nell’area che accoglieva tutti i feriti della zona. Il numero dei palestinesi uccisi è salito a 560, con quasi tremila feriti, ma sono numeri ancora molto parziali e, soprattutto che continuano a crescere.
Oggi un bombardamento ha colpito il campo profughi di Jabalia, nel nord della striscia, mentre era in corso il mercato cittadino ed era quindi particolarmente affollato.
Nel campo profughi di Jabalia abbiamo raggiunto Mohammad. Nell’intervista che vi faremo sentire ora, si sente anche un bombardamento che colpisce le case vicino alla sua.

 

Come sentivate dalle parole di Mohammad, gli abitanti della striscia si aspettano un ingresso via terra da parte di Israele con i carri armati che da tutto il giorno si stanno ammassando lungo il confine. Il timore è che un’offensiva via terra possa risultare in un bagno di sangue perché come sappiamo la striscia di Gaza è una delle zone più densamente popolate del pianeta, le case sono tutte attaccate l’una all’altra e i civili non hanno alcuna via di fuga. Secondo media israeliani, che citano anche fonti usa, in una telefonata con il presidente Usa Joe Biden, il premier Netanyhau avrebbe detto a Biden, che gli chiedeva degli ostaggi: “Dobbiamo entrare a Gaza, Non possiamo trattare ora”. Il presidente americano non avrebbe cercato di convincerlo a non procedere. Biden avrebbe anche chiesto a Netanhyau delucidazioni con la situazione in Libano, dopo che l’esercito israeliano ha attaccato le postazioni degli Hezbollah dopo l’infiltrazione di miliziani nel suo territorio, negata dal gruppo, ma rivendicata poi dalla jihad islamica. L’esercito ha anche fatto sapere che due colpi di mortaio sono stati sparati dal Libano verso Israele.
Hamas durante il giorno ha ripreso a lanciare razzi anche verso Gerusalemme, dove da metà pomeriggio è risuonata l’allarme e dove ci sarebbero diversi feriti. I morti da parte israeliana intanto hanno raggiunto quota 900, con più di due mila feriti. Sul tema degli ostaggi, a cui accennavamo poco fa, il portavoce dell’esercito israeliano ha detto che sono in possesso delle “le coordinate di tutti gli ostaggi israeliani a Gaza”. Aggiungendo: “La guerra è cominciata male per noi, ma finirà molto male per l’altra parte”. Pochi minuti fa, però, Hamas ha detto che “inizieranno a giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso”.
La situazione resta anche particolarmente tesa negli insediamenti israeliani vicino alla striscia, dove continuano i combattimenti tra esercito e miliziani di Hamas. Abbiamo raggiunto a Kiryat Gat, a poco più di mezz’ora di auto dalla striscia di Gaza, Davide Levi, un cittadino israeliano.

 

Medio Oriente. Escalation inevitabile, ma l’allargamento del conflitto non è scontato

(di Emanuele Valenti)
“Siamo solo all’inizio. La nostra risposta ad Hamas cambierà il Medio Oriente”.
Lo ha detto Benjamin Netanyahu, parlando ai sindaci delle località del sud di Israele, quelle in prima linea in questa guerra.
Non sappiamo se sarà veramente così, se questo conflitto cambierà sul serio la regione, ma di sicuro siamo di fronte a un evento senza precedenti, siamo in territorio sconosciuto. Questo suggerisce che la fine delle violenze non è vicina.
Israele non aveva mai subito un attacco di questo tipo. Negli ultimi 50 anni i suoi servizi di sicurezza non erano mai stati presi così alla sprovvista. Non c’erano mai stati così tanti morti. E per tutto quello che abbiamo detto finora i numeri saliranno ancora.

Nonostante la perenne guerra a bassa intensità con gli Hezbollah libanesi e i loro sponsor iraniani, in questi anni soprattutto in Siria, e nonostante gli scambi di fuoco anche oggi lungo il confine tra Israele e Libano, non sembra che gli israeliani vogliano allargare il conflitto. Rispetto al passato hanno anche rapporti migliori con i paesi arabi. Con alcuni hanno riallacciato relazioni diplomatiche. Con altri – Arabia Saudita – potrebbero farlo.
Un azione molto più forte rispetto al passato contro Hamas a Gaza – già in essere – potrebbe però complicare questo processo. E l’incognita si chiama Iran.

Il Wall Street Journal, citando fonti dentro Hamas, ha scritto che l’Iran ha dato il via libera all’attacco di sabato.
Tehran – che ha sempre supportato l’organizzazione palestinese – ha negato. E anche gli Stati Uniti, così come alcuni analisti israeliani, hanno detto che Hamas potrebbe aver agito e deciso in autonomia.

Di sicuro da una prospettiva internazionale quello che sta succedendo in Medio Oriente è una conferma di un mondo che funziona sulla base di equilibri diversi, o almeno in mutamento. Dove alcuni attori, statali e non, agiscono in autonomia, senza temere le conseguenze delle loro azioni, anche se estreme.
In questi anni – seppur in contesti radicalmente diversi – abbiamo già visto l’invasione russa dell’Ucraina, le minacce cinesi a Taiwan, un crescente nazionalismo in India e anche lo stesso governo israeliano che si è spostato all’estrema destra. Ora la mossa di Hamas.
Conferme di un mondo sempre più multipolare ancora in assestamento.

Il potere d’acquisto dei salari torna ai livelli del 2009

Le retribuzioni reali sono tornaste al livello del 2009. A causa dell’inflazioni la differenza tra la cifra delle buste paga e il suo valore reale è stato diverso nei vari settori, ma in media è del 12%. È uno dei dati portati oggi dall’Istat in Parlamento nella audizione sulla Nadef. L’economia italiana sarà ancora debole nei prossimi mesi. È l’analisi del presidente dell’Istat Chelli.
“Elementi di freno alla crescita – ha spiegato – sono legati a condizioni di accesso al credito più rigide per famiglie e imprese e al lento recupero del potere d’acquisto delle famiglie”, come i dati sui salari dimostrano.

Oltre a questo, bisogna tenere conto anche delle questioni internazionali che possono influire anche sulla nostra economia, ha aggiunto Chelli.

La crisi in Medio Oriente sta già avendo degli effetti sui mercati: su quello dell’energia, anzitutto, con l’aumento dei prezzi di gas e petrolio, e su quello dei beni rifugio – come l’oro – che aumentano. Lo spread tra i titoli italiani e tedeschi oggi è salito a quota 208.

AUDIO

Un altro giudice boccia il decreto Cutro

(di Anna Bredice)
“Siamo motivati ad impugnare le decisioni dei giudici perché siamo convinti della bontà delle decisioni prese”. Lo ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi a proposito delle decisioni di ben tre giudici che hanno disapplicato il decreto e riportato in libertà alcuni migranti. Quel ministro dell’Interno che per primo segnò la svolta repressiva del governo Meloni dicendo, quando ancora si cercavano i corpi dei bambini in mare a Cutro, che la colpa era dei genitori irresponsabili. Un decreto repressivo che prevede la detenzione di tutti i migranti nei Cpr, compresi i richiedenti asilo, e che giudice dopo giudice, non solo a Catania, viene fatto a pezzi proprio in questa parte, un punto che non rispetterebbe le direttive comunitarie. Uno dei provvedimenti simbolo di un governo che chiude le frontiere rischia in queste settimane di esser disapplicato dai Tribunali, è un fatto grave per la destra che per deviare l’attenzione dal possibile fallimento del decreto continua a puntare i riflettori sulla giudice Iolanda Apostolico per la partecipazione alla manifestazione, ma la giudice ancora oggi ha raccolto la solidarietà e la difesa da parte del Tribunale di Catania. Il ministro dell’Interno rifiuta il termine “dossieraggio”, spiegando che la polizia non c’entra nulla, ma si ferma lì, non dà nessuna altra spiegazione, né sulla versione del carabiniere che avrebbe ripreso e confessato pochi giorni fa di aver fatto il video e neppure dice perché è stato conservato quel filmato e come e quando è finito in mano a Salvini. Domande che sono nell’esposto presentato da Bonelli dei verdi, un atto che la Procura di Roma ha deciso di passare ad un Tribunale in Sicilia, non quello di Catania per incompatibilità, ma sarà un altro a dover indagare.

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    Il femminicida non è un malato, ma un figlio sano del patriarcato, cresciuto in una cultura che considera la donna un essere inferiore. Da proteggere, sminuire, controllare, e nei casi più estremi, da picchiare o uccidere. In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa, spesso per mano di chi dovrebbe amarla. E oltre agli omicidi, un sommerso di violenze – dal catcalling alla violenza psicologica – pesa sulle donne, mentre la società si interroga troppo poco sulle sue responsabilità. Da questa riflessione nasce il progetto ideato dal Teatro Carcano, scritto da otto autori uomini e interpretato da Alessio Boni e Omar Pedrini, un viaggio nella mente del carnefice per analizzare il retaggio culturale che alimenta la violenza di genere. Inaugurato il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo spettacolo è un atto di autocoscienza collettiva che punta a smantellare le radici patriarcali della nostra cultura. Ospite a Cult, Alessio Boni ne ha parlato con Ira Rubini.

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