Approfondimenti

I funerali di stato di Elisabetta II, il prezzo del pane al massimo storico e le altre notizie della giornata

Elisabetta II Funerali ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 19 settembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Oggi il Regno Unito ha dato l’ultimo saluto alla Regina Elisabetta II in un rito collettivo che segna il passaggio definitivo di un’epoca che va oltre i 70 anni dell’epoca elisabettiana. In Ucraina oggi la società che gestisce le centrali nucleari del paese ha denunciato un bombardamento russo vicino a uno di questi impianti, nella regione meridionale di Mykolaiv. Nel nordest, nella regione di Kharkiv, l’esercito di Zelensky ha annunciato di aver attraversato l’Oskil, un fiume di importanza strategica. Il grande enigma, per gli Stati Uniti, si chiama Vladimir Putin: fino a che punto il presidente russo è disposto a spingersi nella guerra in Ucraina? Il pane non è mai stato così caro: un aumento medio dei prezzi del 18% rispetto allo scorso anno, secondo la stima l’Istituto Europeo di statistiche Eurostat. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

I funerali di Elisabetta II e l’inizio di una nuova era

Nel Regno Unito oggi i funerali di stato della regina Elisabetta II. All’abbazia di Westminster c’è stata una cerimonia con circa duemila persone, tra cui centinaia di rappresentanti di paesi stranieri. Altre migliaia di persone hanno reso omaggio alla regina fuori dalla chiesa, con la processione partita dal parlamento e proseguita verso il castello di Windsor, dove c’è stata un’altra cerimonia – più ristretta – e dove Elisabetta è stata sepolta. Undici giorni fa la sua morte a 96 anni, di cui 70 vissuti alla guida del Regno unito.

(di Michele Migone)

L’affusto di cannone della Royal Navy su cui è stato trasportato il feretro di Elisabetta II per il suo ultimo viaggio da Londra a Windsor era stato usato nel 1901 per i funerali della Regina Vittoria per poi essere riutilizzato per gli altri funerali reali, compreso quello di Giorgio VI, il padre della monarca appena scomparsa. Ed è lo stesso che nel 1965 era stato utilizzato anche per i funerali di Winston Churchill, in un giornata simile a quella di oggi, per partecipazione e omaggio da parte degli inglesi all’uomo che aveva incarnato lo spirito della nazione nella lotta al nazismo.
Lo stesso affusto di cannone e più di 150 anni di storia britannica, se si considera la lunghezza del regno di Vittoria. L’ascesa dell’Impero, la colonizzazione, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, il declino e la scomparsa dell’Impero. Elisabetta è stata l’ultima sovrana britannica ad avere un legame diretto con quel passato, a respirarne l’atmosfera, a dovere fare i conti con i cambiamenti sociali e dei costumi della società inglese che le hanno imposto di ripensare e reinterpretare il ruolo della Monarchia per impedire che l’istituzione perdesse consenso e popolarità.
In fondo, il rito collettivo di oggi segna il passaggio definitivo di un’epoca che va oltre i 70 anni dell’epoca elisabettiana. Forse anche questo spiega la partecipazione popolare di questi giorni: nessuna nostalgia, l’omaggio a chi ha incarnato lo spirito del paese, ma anche una sottile inquietudine per quella che viene avvertita come una cesura. L’errore della Brexit, la spinte indipendentiste, una classe politica mediocre, l’assenza di un progetto futuro per il Paese e un passato che da oggi è definitivamente sepolto.

 

L’esercito ucraino attraversa il fiume Oskil

In Ucraina oggi la società che gestisce le centrali nucleari del paese ha denunciato un bombardamento russo vicino a uno di questi impianti, nella regione meridionale di Mykolaiv. Secondo l’azienda c’è stata un’esplosione a 300 metri dai reattori, che però non sarebbero stati danneggiati. Nessun commento finora dalle autorità russe. A est, nel Donbass, il sindaco filorusso di Donetsk ha detto che 13 persone sono morte per bombardamenti ucraini sulla città. Anche in questo caso nessun commento dall’altra parte del fronte, quella ucraina. Nel nordest, nella regione di Kharkiv, l’esercito di Zelensky ha annunciato di aver attraversato l’Oskil, un fiume di importanza strategica, una notizia quindi che se confermata sarebbe un nuovo successo della controffensiva ucraina in quella zona. La regione è quella in cui nei giorni scorsi le autorità di Kiev hanno denunciato la scoperta di centinaia di corpi seppelliti a Izium: “Una menzogna”, ha detto stamattina il portavoce di Putin. Il nostro inviato Emanuele Valenti oggi è stato proprio a Izium:


 

Fino a che punto Putin è disposto a spingersi nella guerra in Ucraina?

Nella guerra resta fondamentale il sostegno occidentale e in particolare americano alle forze di Kiev. Nelle scorse ore il New York Times ha scritto che il presidente ucraino Zelensky ha chiesto a quello statunitense Biden armi più potenti, che però finora non lo ha accontentato.

(di Roberto Festa)

Il grande enigma, per gli Stati Uniti, si chiama Vladimir Putin. Fino a dove, fino a che punto, il presidente russo è disposto a spingersi nella guerra in Ucraina. Sinora la strategia dell’amministrazione Biden è stata graduale. Graduale aumento di forniture militari, di collaborazione di intelligence. Questo ha permesso, secondo l’amministrazione Biden, di contenere la rabbia di Mosca e dotare Kyev dei mezzi militari necessari. Gli ultimi eventi cambiano le cose. I russi perdono terreno, la guerra non va bene per Putin, cresce il dissenso interno. Di qui, il timore per le prossime mosse del Cremlino. Biden, in un’intervista a CBS, ha detto che l’uso di armi nucleari trasformerebbe la Russia in uno Stato ancora più pariah di quanto non sia già oggi. L’intelligence americana non pensa comunque che, per il momento, esista davvero un rischio nucleare. Quello che Washington teme è piuttosto che Putin, sempre più in un angolo, allarghi l’offensiva militare. Distruggendo centri abitati, infrastrutture ucraine vitali, arrivando a colpire oltre i confini ucraini: in Polonia, in Romania. Sarebbe quell’escalation, quella possibile terza guerra mondiale che Biden ha sempre detto di voler evitare. Per questo il presidente americano sta resistendo alle richieste di Zelensky di inviare a Kiev sistemi missilistici a lungo raggio, gli ATACMS, con gittata fino a 300 km. Dopo aver sentito il Pentagono, Biden ha deciso che per le attuali esigenze di guerra ucraine, gli Himars già inviati da Washington sono sufficienti. Il timore di Biden – e dei militari americani – è che con nuovi, ancora più sofisticati strumenti offensivi, Kyev allarghi la guerra alla Crimea e colpisca obiettivi interni russi. Il presidente deve però resistere. Resistere alle richieste di Kiev, ma resistere a quei settori democratici e repubblicani che gli chiedono di armare gli ucraini in modo decisivo prima che l’arrivo dell’inverno congeli il conflitto. Per ora Biden ha detto no. L’imprevedibilità della reazione di Mosca, gigante ferito e indebolito, è un rischio che il presidente non vuole correre.

La battaglia di Piazza del Popolo tra il centrodestra e il centrosinistra

(di Luigi Ambrosio)

La battaglia di piazza del Popolo. Giovedì ci terranno il comizio finale Giorgia Meloni e alleati. Venerdì faranno lo stesso il PD di Enrico Letta e alleati.
È la piazza più impegnativa perché se non la riempi, si vede. È la piazza che si prende chi vuole la prova di forza, quella delle decine di migliaia di persone. La piazza dei sindacati nelle grandi vertenze nazionali. La piazza di chi azzarda, tipo Calenda alle comunali dell’anno scorso. La piazza di chi si sente forte e vincente. La destra era andata a riempirla nel 2018, al momento del massimo splendore di Salvini. Ora torna lì dopo che nel weekend trascorso Meloni ha gettato la maschera sui diritti e sull’Europa.
Per il PD è una sfida diversa: riempire piazza del Popolo per dire a tutti e in primis a se stesso che esiste ancora e continuerà ad esistere, anche in caso di sconfitta.
Letta deve guardarsi da Conte, che punta alla remuntada andando al Sud a inondare di promesse elettorali le persone che incontra, senza badare troppo alla concreta possibilità di realizzarle, e Conte chiuderà la campagna elettorale a piazza Santi Apostoli.
Santi Apostoli è una storica piazza della sinistra che però non ha sempre portato fortuna. È la piazza del flop di Pisapia quando tentò il salto nazionale dopo avere fatto il sindaco di Milano. È la piazza della notte di tragedia delle elezioni del 2006, quando Prodi pensava di avere già vinto e invece venne ripreso da Berlusconi.
Prodi è tornato a parlare proprio oggi. Ha detto due cose. Una battuta sul Conte di sinistra: “Una natura che non gli avevo mai conosciuto”. E un avvertimento a Letta: il PD fino ad ora non ha cantato in coro. Tradotto: si sta preparando il congresso, stanno lavorando per farlo fuori. Ma questo è il dopo, quando le piazze si saranno svuotate e le urne si saranno riempite, per riprendere la celebre battuta di Pietro Nenni.

Il pane non è mai stato così caro

(di Massimo Alberti)

Il pane non è mai stato così caro. Un aumento medio dei prezzi del 18% rispetto allo scorso anno, stima l’Istituto Europeo di statistiche Eurostat. Alimento base ed essenziale, ma anche simbolo dei guai dell’economia: sia di come i rincari stanno colpendo le fasce più deboli, sia delle cause generali dell’inflazione, che vanno dalle speculazioni finanziarie agli aumenti dell’energia.
Non parliamo solo del bene alimentare di prima necessità per eccellenza, ma anche di un indicatore delle disuguaglianze, che somma le cause di inflazione di questi mesi. Ad iniziare dalla materia prima principale, il grano, trattato come un qualsiasi prodotto finanziario coi massimi raggiunti a maggio sui mercati dei futures, ma sui cui ha pesato anche la carenza dei mesi scorsi per lo stop dell’export da Ucraina e Russia causa invasione, di cui hanno approfittato, alzando i prezzi, altri paesi esportatori come Canada e Usa. Idem per i fertilizzanti usati in agricoltura. Sullo sfondo i costi dell’energia, che colpiscono tutta la filiera appunto dalla materia prima, alla panificazione con le bollette degli esercenti anche decuplicate. E’ così che si arriva a quel 18% di media europea rispetto ad una crescita del 3% dello scorso anno. Coldiretti a novembre stimava una media nazionale di 3,2 euro al kilo. Ma la mappa delle città è articolata con prezzi diversi e in alcuni casi anche raddoppiati, Assoutenti stima che si possa arrivare anche a 10 euro massimi, in alcuni forni di Ferrara, fino a scendere sotto i 3 euro a Napoli. L’aumento in Italia è minore della media Eurostat, ma da noi il prezzo era già elevato, rileva ancora Coldiretti: oltre il 15% sopra la media europea. Ma il nostro Pil è sotto media europea, e la spesa media per consumi alimentari solo poco superiore. Da qui si capisce come mai il prezzo del pane abbia dunque una forte incidenza, che ovviamente pesa soprattutto sui redditi più bassi. Perciò le associazioni di consumatori ritengono inadeguati gli interventi del governo che ci sono stati finora, e chiedono interventi urgenti sui prezzi dei generi di prima necessità. Anche secondo l’economista Francesco Saraceno, dirigente del Centro di Ricerca in Economia dell’istituto Sciences-Po di Parigi, le misure di sostegno introdotte dai governi non sono sufficienti nel togliere il peso dei rincari dalle spalle dei cittadini più poveri. “Le banche centrali si tolgano paraocchi ideologici per evitare rendite e speculazioni, e i governi agiscano perché la lotta all’inflazione è anche lotta alle diseguaglianze e va fatta redistribuendo reddito” dice ai nostri microfoni. “Occorrono misure mirate e temporanee, anche attraverso un controllo pubblico dei prezzi di beni di prima necessità. In parte qualche governo sta già provando a farlo ma certo non è sufficiente”, aggiunge il Prof. Saraceno che conclude: “In Italia assistiamo ad un dibattito surreale sullo scostamento di bilancio: negli altri paesi europei sono tutti ben consapevoli che per intervenire a protezione delle fasce più deboli della popolazione occorra fare nuovo debito. Solo da noi non è così”.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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